L’assoluzione di Mannino e il processo Trattativa Ingroia: «Tesi accordo Stato-mafia resta in piedi»

Nessun ko. La tesi dei pm palermitani sull’esistenza di un patto scellerato tra mafia e Stato resta in piedi. Di più. Paradossalmente l’assoluzione di Calogero Mannino decisa oggi dal gup di Palermo Marina Petruzzella, rafforza questo teorema accusatorio. Insomma nessun contraccolpo sul filone principale del processo in corso davanti alla Corte d’Assise di Palermo e che vede imputati dieci tra politici, mafiosi e ufficiali dell’Arma. Antonio Ingroia, padre di quel processo e oggi avvocato, ne è convinto. «Un giudizio su questa sentenza è prematuro, bisognerà attendere il deposito delle motivazioni» spiega a MeridioNews. Salvo poi aggiungere che si tratta di «un bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto». Perché per l’ex pm antimafia di Palermo quella del gup «non è stata un’assoluzione piena, come può pensare chi è un po’ digiuno di diritto». Il riferimento è all’articolo 530 secondo comma del codice penale. In soldoni, l’ex ministro democristiano è stato scagionato per «insufficienza di prove» spiega Ingroia. Insomma «non un’assoluzione perché il fatto non sussiste. Il giudice, al contrario, dice che la trattativa c’è stata, il reato esiste, ma non fu compiuto da Mannino, a carico del quale non ci sono elementi». La conseguenza logica per il leader di Azione civile è che la sentenza del giudice Petruzzella «non pregiudica affatto l’altro processo», il filone principale.

Restano le accuse, pesanti, dell’ex ministro democristiano a carico di alcuni pm. «Sono stato perseguitato da un capriccio accusatorio» messo in piedi da alcuni pubblici ministeri che «si muovono per pregiudizi e ostinazione» ha detto Mannino commentando a caldo la sentenza. Una posizione inaccettabile per Ingroia, secondo cui, al contrario, occorre «ristabilire la verità: non c’è mai stata alcuna persecuzione, purtroppo Berlusconi ha insegnato a gridare al complotto. Al contrario l’accusa ha svolto le funzioni che le sono proprie, la Procura ha ritenuto che vi fossero degli elementi e il gup li ha confermati con il rinvio a giudizio». Per quanto poi riguarda le accuse a Nino Di Matteo, Ingroia non ha dubbi. «Le trovo un attacco ingeneroso nei confronti di un magistrato da sempre in prima linea nella lotta a Cosa nostra, condannato a morte da Riina» dice.

Senza contare che il pm antimafia «non ha emesso alcuna sentenza – aggiunge -. Le condanne sono arrivate dai giudici della Corte d’Assise di Caltanissetta e sono state poi confermate in più gradi di giudizio». Sullo sfondo delle parole di Mannino e del «diluvio di dichiarazioni di politici» a commento della sentenza di assoluzione resta per Ingroia un dato. «Un attacco sistematico nei confronti di certi magistrati, di quelli che si ostinano a cercare la verità, a processare politici, burocrati e colletti bianchi. Uomini – aggiunge – che secondo la politica non hanno capito che certi processi non si devono fare». L’ex pm antimafia non usa giri di parole. «C’è, purtroppo, un clima, prevalente e vincente, di condizionamento dei magistrati, sacche di resistenza tra la società civile, i media e persino il Csm». Una dimostrazione? «L’accerchiamento nei confronti di Di Matteo, oggetto di procedimenti disciplinari. Questo attacco uno se lo aspetta dalla mafia, non certo dallo Stato, ma se la trattativa tra Cosa nostra e pezzi di istituzione c’è stata…» dice lasciando in sospeso la frase.


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