Mannino: «Perseguitato da capriccio accusatorio» «Il pm Di Matteo? Ha fatto condannare innocenti»

«Perseguitato da un capriccio accusatorio». Dopo la sentenza del gup di Palermo, Marina Petruzzella, che lo ha assolto per «non aver commesso il fatto» nell’ambito del processo stralcio sulla presunta trattativa Stato-mafia, Calogero Mannino, si toglie qualche sassolino dalle scarpe. Per lui il dispositivo della sentenza letta dopo un’ora di camera di consiglio e oltre due anni di processo «restituisce serenità a me e alla mia famiglia», ma soprattutto ridà «credibilità e verità» al sistema giustizia. Nessuna «polemica» nei confronti la magistratura, si affretta a precisare nel «giorno più bello degli ultimi anni», ma delle «constatazioni» perché ci sono alcuni pubblici ministeri che «si muovono per pregiudizi e ostinazione» spiega a MeridioNews.

Mannino rispondeva di minaccia a corpo politico dello Stato e a differenza degli altri imputati aveva scelto il rito abbreviato. Per l’ex ministro democristiano la Procura aveva chiesto una condanna a nove anni e l’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Perché, secondo l’accusa, rappresentata dal procuratore aggiunto Vittorio Teresi, e dai pm Roberto Tartaglia, Nino Di Matteo e Francesco Del Bene, non vi erano «dubbi sulla comprovata responsabilità dell’imputato». In sostanza, era la teoria accusatoria, Mannino fu «l’ispiratore principale del contatto tra Mori, De Donno, e Cosa nostra». Il motivo? Evitare la condanna a morte di Cosa nostra. Eccolo, per la Procura, l’obiettivo della trattativa per Mannino.

«Nella mia coscienza ho sempre saputo che saremmo arrivati a questo risultato – dice – perché le parole dell’accusa erano svolazzanti. Non c’era nessun fatto e nessuna prova a suffragare quella tesi». Una tesi «ridicola», perché «ridicolo è pensare che io potessi ispirare l’Arma dei carabinieri, che ha una tradizione antica ed è fedele nei secoli». Teorie «fantasiose» a tal punto che, secondo Mannino, nell’atto di rinvio a giudizio del gup Piergiorgio Morosini «lui stesso si poneva il problema della prove e affidava ai pubblici ministeri l’incarico di dimostrare che vi fossero».

Eppure su questa vicenda giudiziaria potrebbe non essere ancora stata scritta la parola fine. «Impugneremo la sentenza. Andiamo avanti» hanno detto a caldo i pm Nino Di Matteo, Roberto Tartaglia e Vittorio Teresi. Una dichiarazione di guerra a cui è seguita la parziale “frenata” del capo della Procura di Palermo, Francesco Lo Voi: «Valuteremo dopo averne letto le motivazioni». Certo, l’impugnazione è «probabile», ma se «non si leggono le motivazioni della sentenza non ha senso anticipare giudizi» avverte Lo Voi. Per Mannino, però, la posizione dei pm palermitani e l’annuncio del ricorso è «la prova della loro ostinazione persecutoria». Poi la stoccata a Di Matteo: «È il pm dei processi di Caltanissetta, in cui sono stati condannati degli innocenti. Eppure nessuno gli chiede conto e ragione di ciò». 

Resta la gioia per la sentenza di assoluzione. «Non ho rimorsi, in questa vicenda ho fatto l’esatto contrario di quello che sostengono i pm, con la loro tesi priva di riscontri. Io ho sempre servito lo Stato e la Repubblica italiana con grande lealtà». Adesso, però, è tempo di ringraziamenti. «A chi dico grazie? Allo Spirito Santo che ha illuminato un giudice, facendogli trovare il coraggio di resistere alle pressioni ambientali, ai miei legali e a tutta la mia famiglia che in questi anni mi è rimasta sempre accanto». La fine di un incubo. Almeno per ora.


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