LA CITTÀ INVISIBILE / Il blu non si addice a Robin Hood

La prima tappa è a viale Kennedy, alle 9.30 di una qualsiasi mattina d’estate. Una lunga fila di automobili sul lato della strada, un minaccioso rettilineo da percorrere lentamente, sotto il sole, alla ricerca di un posto dove lasciare la macchina. Un signore in canottiera, arrampicato sullo spartitraffico, si sbraccia per segnalare un parcheggio libero. È un abusivo. Aiuta ad incastrare l’auto nello spazio disponibile, intasca il denaro e ringrazia. Non chiede un prezzo fisso, ma solo una diplomatica «offerta». Un euro – qui lo sanno tutti – potrà bastare per fare il bagno tranquilli.

Seconda tappa: una traversa di Corso Sicilia, ore 11 della stessa mattina. Alle spalle della Fiera, macchine in fila per entrare nei parcheggi. Anche qui un posteggiatore fa segno di venire avanti. Prende le chiavi, annota l’orario d’arrivo. La macchina sarà sorvegliata per 70 centesimi l’ora. Non ci sono abusivi, qui: il servizio è perfettamente regolare e, al momento del pagamento, viene rilasciata la ricevuta.

Terza tappa. Via Giacomo Leopardi, ore 11.30. Si procede guardando sulla destra, per occupare il primo parcheggio disponibile. Ma qui non è facile trovarne uno: gli spazi sono tutti pieni, molte auto sostano in doppia fila. Allora si imbocca una traversa, si torna indietro e si ricomincia. Con la speranza che prima o poi si liberi un posto sulle strisce blu. Un automobilista previdente avrà sempre in macchina il tagliando prepagato: 52 centesimi l’ora. Un’accortezza indispensabile, per chi vuole fermarsi in centro: la multa, in caso contrario, è praticamente sicura.

L’ultima tappa è in via Eleonora D’Angiò, a mezzogiorno. Di fronte al teatro Ambasciatori c’è un grande parcheggio a strisce blu. Qui, anche in orario di massimo traffico, di spazio libero ce n’è fin troppo. Su una trentina di posti a pagamento, appena quattro sono occupati. E solo una delle auto in sosta espone il tagliando prepagato. Gli altri – basta aspettare per capirlo – si sono fermati solo per qualche minuto: il tempo per prendere un caffè al bar, o per comprare un’aspirina alla farmacia di fronte.

Quattro strade di Catania, quattro modi diversi di parcheggiare e far parcheggiare: l’antico e discreto rituale degli abusivi; il servizio di una cooperativa privata; l’affannosa ricerca di uno spicchio di strada segnato in blu, dove lasciare la macchina per infilarsi in un negozio o un ufficio del centro; lo strano deserto di altre strade e piazze, anch’esse rigate di blu, in un qualsiasi quartiere residenziale. Quattro modi diversi di affrontare un problema che, certo, non è solo catanese. Ma che a Catania, forse, presenta qualche risvolto singolare. E impone di farsi qualche domanda.

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Partiamo dai numeri. Catania è la città italiana con il più alto indice di auto rispetto ai residenti: 276.000 vetture, una ogni 1,16 abitanti. Ad esse si aggiungono le 80.000 macchine che ogni giorno arrivano in centro dalla provincia. Ufficialmente, la città dispone di 25.000 parcheggi regolamentati: strisce bianche (gratuite), strisce blu (a pagamento), strisce gialle (un migliaio, riservate agli invalidi). Poi, ovviamente, ci sono i parcheggi liberi: praticamente tutti i posti dove non c’è un divieto di sosta. Difficile calcolare con esattezza quanti siano. L’unica cosa certa è che non bastano mai.

Gli abusivi, su questo, campano da sempre. Pippo è uno di loro. «Io non chiedo soldi – dice subito – nessuno è obbligato a darmene. Però in genere mi faccio dare un euro per le macchine e cinquanta centesimi per i motorini». E che succede a chi non paga? «Io non gli guardo la macchina. Quindi, se gliela rubano o la graffiano, a me non importa». Il messaggio è forte e chiaro. Ma perché fa questo lavoro? «Non ho titoli di studio, sono disoccupato ed ho famiglia. Quindi mi arrangio».

Impossibile dire in quanti siano, a Catania, ad arrangiarsi come Pippo. La Polizia municipale, ogni tanto, raccoglie la protesta di qualche cittadino «stanco di pagare il pizzo». E poi? Al comando ci assicurano che si usa il pugno di ferro: «La situazione dei parcheggiatori abusivi è costantemente monitorata. Se si riscontrano infrazioni, scattano subito le sanzioni previste». Quali sanzioni? Proviamo a chiederlo a un vigile che lavora in strada. Per esempio questo, in servizio in via Etnea: «Multare gli abusivi? Mah, è molto difficile che succeda. Noi sappiamo chi sono, dove stanno e cosa fanno. Li lasciamo lavorare in santa pace, purché non creino problemi grossi». Al Comune, qualche anno fa, si pensò di risolvere la questione dei parcheggi partendo proprio dagli abusivi. «L’idea dell’ultima giunta Bianco – ricorda Saro D’Agata, attuale capogruppo dei Ds al Consiglio comunale – era proprio quella di regolarizzare gli abusivi, creando delle cooperative per farli rientrare nella legalità. Ma non si fece in tempo a portarla avanti». E gli abusivi come Pippo, dunque, sono ancora in tanti.

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Qualche cooperativa di posteggiatori messi in regola, però, esiste. Solo che non ha nulla a che fare con il Comune. Per esempio c’è quella che lavora nella zona della Fiera: una cooperativa che opera su alcuni terreni della ex Istica, la società nata dopo lo sventramento di San Berillo, che è rimasta proprietaria di molte aree, realizzando grandi guadagni a spese del Comune. «I terreni dell’Istica – spiega il professor Giovanni Campo, docente di Pianificazione territoriale all’Università di Catania – hanno perso la loro edificabilità per una modifica del piano regolatore avvenuta molti anni fa. La società fece causa al Comune, la vinse e ottenne un rimborso annuale di diversi milioni di euro. Tuttora il Comune continua a pagare. E pensare che, con i soldi sborsati per pagare i danni, sarebbe stato possibile acquistare venti volte quei terreni». Un caso a parte, dunque, questo dei posteggiatori della Fiera; con sullo sfondo uno dei capitoli più intricati della storia urbanistica di Catania. La zona intorno a Corso Sicilia, del resto, è per la maggior parte occupata dalle strisce blu. Che sono ormai, non solo a Catania, la soluzione preferita per risolvere i problemi di parcheggio.

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Delle auto in sosta sulle strisce blu, alcuni anni fa, si occupavano i lavoratori socialmente utili assunti – a tempo determinato – dall’Amt. Poi l’amministrazione comunale ha creato una società mista, Sostare, affidandole il controllo dei parcheggi. Le intenzioni, sulla carta, sono ottime: «la missione di Sostare – si legge sul sito della società – è quella di contribuire a migliorare le condizioni del traffico cittadino gestendo con efficacia ed efficienza le aree di sosta, fornendo ai clienti un servizio di qualità volto ad incrementare gli spazi reali disponibili mediante la rotazione nella sosta, a rendere più scorrevole la viabilità e più vivibile la città».

La realtà, secondo il capogruppo dei Ds, è un po’ diversa. «Di strisce blu – sostiene D’Agata – a Catania ce ne sono troppe. L’attuale amministrazione, quando si è trovata di fronte alla protesta dei lavoratori socialmente utili, ha infatti pensato di assumerli come dipendenti di Sostare. E allora, per coprire una settantina di nuovi stipendi, sono stati aumentati a dismisura gli stalli a pagamento». Sostare ha circa centoventi dipendenti che si occupano di scoprire chi non è in regola e di multarlo.  Resta da vedere se il servizio fornito dalla società risponda davvero agli scopi dichiarati («rendere più scorrevole la viabilità e più vivibile la città»); se i suoi dipendenti siano davvero tanti piccoli Robin Hood che difendono i cittadini perbene da automobilisti indisciplinati e prepotenti. O se, al contrario, abbiano ragione quelli che, come D’Agata, giudicano molti parcheggi a pagamento una tassa inutile imposta ai cittadini; se insomma, anziché con Robin Hood, i catanesi abbiano a che fare con tanti emissari dello sceriffo di Nottingham.

(1 – continua)


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