‘Le tre sepolture’. Che sorpresa Tommy Lee

Titolo: Le tre sepolture

(The three burials of Melquiades Estrada)

Regia: Tommy Lee Jones

Soggetto e Sceneggiatura: Guillermo Arriaga

Fotografia: Chris Menges

Musica: Marco Beltrami

Montaggio: Roberto Silvi

Interpreti: Tommy Lee Jones, Barry Pepper, Julio Cesar Cedilo, January Jones

Produzione: The Javelina Film Company

Origine: U.S.A.-Francia 2005

Durata: 115’

  

Film politico certamente, ma anche ballata filosofica, allegoria esistenziale e road movie in salsa picara questa opera prima come regista del divo hollywoodiano Tommy Lee Jones.

 

La vicenda raccontata in “Le tre sepolture” è quella dell’amicizia forte e virile tra il vaccaio texano Pete e il ranchero messicano Melquiades che dura anche dopo la morte di quest’ultimo avvenuta per mano del giovane e stupido poliziotto di frontiera Mike Norton. Pete deciderà di farsi giustizia da solo, di fronte alla viltà dello sceriffo del paesino texano in cui è ambientata la vicenda, rapendo il poliziotto e il cadavere di Melquiades per un’ultima decadente sepoltura messicana.

 

Un western innanzitutto. Un western crepuscolare e contemporaneo che richiama l’opera letteraria di Cormac McCarthy e quella cinematografica di Eastwood (“Gli spietati”) e di Houston (“Il tesoro della Sierra Madre”). Jones riesce ad essere contemporaneamente tragico e comico nel suo racconto, riunendo in un unico stile narrativo la tragedia dell’immigrazione messicana negli States con la paradossalità di una nazione (quella americana) ormai dimentica delle sue origine e persa tra cartelloni pubblicitari, supermercati e soap opere.

 

Impossibile è infatti non commuoversi per la violenta e stupida “decapitazione” dell’amicizia tra i due vaccari e della testardaggine con cui Pete rimane legato all’amico morto. Impossibile è non sentirsi spiazzati e disturbati dal dramma dell’emigrazione messicana verso nord e dalla brutale ignoranza con cui essa viene affrontata dalla polizia a “stars and stripes”. Ma al tempo, nel dispiegarsi del racconto delle tre volte in cui Melquiades Estrada fu sepolto, risulta ugualmente impossibile non ridere. Ridere con una punta di disagio, ma comunque ridere.

 

Si perché Tommy Lee Jones riesce anche a cospargere il racconto di una forte ironia al limite del paradosso e del macabro. Poliziotti “hard boiled” afflitti da cronica impotenza, casalinghe americane che guardano soap messicane e di contrasto rancheros messicani che seguono fiction americane e poi ancora cow-boy ciechi che ascoltano radio “latinos” anche se non capiscono una sola parola di spagnolo, “border cops” molto efficienti nel bloccare i messicani che entrano ma del tutto imbranati nell’inseguire gli americani che escono e su tutto il cadavere di Melquiades trascinato con irriverente leggerezza dall’amico Pete e dal “nemico” Mike tra le sierras texane e messicane in una perennemente malinconica atmosfera crepuscolare. E alla memoria viene subito chiaro il rimando ad un altro grande cantore del tramonto dell’epopea western come Sam Peckimpah e al suo “Voglio la testa di Garcia” in cui uno stralunato ed irriverente Warren Oates girava per tutto il Messico con una testa decapitata dentro una sacchetto ricolmo di ghiaccio.

 

Ma oltre che un racconto western e grottesco “Le tre sepolture” non può non essere considerato un road movie. Il tema classico del viaggio e della coppia, o forse terzetto, improbabile (un cow-boy mezzo matto, un poliziotto in catene ed un cadavere) viene utilizzato dal regista per raccontarci, nel modo più tradizionale ed efficace, del viaggio esteriore ed interiore di ognuno dei personaggi della vicenda che li porterà ad una diversa maturazione e ad una nuova considerazione di se stessi e della propria esistenza. Così nel “percorrere il sentiero” il poliziotto capirà la tragedia della sua leggerezza nel tranciare una vita, la moglie di questi comprenderà l’inutilità  del suo rapporto con il marito, il cow-boy si renderà conto di non essere coniugabile con una realtà moderna che non lo accetta e che è destinato alla solitudine e Melquiades, o meglio il cadavere di lui, troverà finalmente una pace ed una ultima sepoltura in una casa messicana “finta-vera” non recintata da cartelli pubblicitari.

 

Molto bravo Tommy Lee Jones per essere ad una “prima regia”, aiutato però in maniera sostanziale da una sceneggiatura molto attenta del talentuoso Guillermo Arriaga (autore degli script di “Amores Perros” e “21 grams”) che alterna dramma, ironia, racconto lineare e narrazione per fashback con estremo equilibrio. Ma Tommy oltre che dietro la macchina da presa stupisce anche davanti ad essa. Il suo volto striato da una serie di rughe simili ad una cartina stradale e la sua apparente impassibilità rotta solo dall’acquosità di uno sguardo perennemente triste, danno vita ad un personaggio e ad una interpretazione difficilmente dimenticabili.

 

Molto buona anche la fotografia di Chris Menges che, soprattutto nelle scene in spazi aperti, accentua la luminosità e desatura i colori in modo da sostenere visivamente al meglio la solitudine e lo smarrimento dei protagonisti. Film da non perdere, se riuscirete a trovarlo nelle sale.


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