La “dolce morte” agognata da Piergiorgio Welby

Chiamata anche “dolce morte” l’eutanasia si rivela essere spesso quell’unica porta aperta sulla fine della sofferenza. Ma perché sovente si sente dire “no” all’eutanasia proprio da chi non ha mai sofferto così tanto da voler morire? Cosa ne possono sapere questo o quel politico di cosa voglia dire vivere attaccati ad una macchina mentre i nostri cari ci guardano morire lentamente?

Fabio Mussi e la sua collega di governo Emma Bonino affermano: “non ci si può accanire a tenere in vita il dolore”. Da questa loro affermazione è necessario ricavare una domanda che ultimamente non trova risposta: siamo noi a tenere in vita un essere umano o è forse un compito che è esterno alle nostre capacità? È giusto arrogarsi il diritto di prolungare una vita?

Così come è reato uccidere qualcuno, deve esserlo ugualmente arrecargli sofferenze e se ciò significa “tenerlo in vita”, allora anche questo è da considerarsi reato.

Lo sciopero della fame attuato dal ministro del commercio estero Emma Bonino a sostegno della causa Welby, è stato commentato dalla senatrice della Margherita Paola Binetti come “protesta tipica di un’esponente radicale”. La  senatrice ha inoltre affermato di non poter far altro che convalidare il gesto attraverso un appoggio meramente solidale, aggiungendo che le istituzioni sono del tutto impotenti di fronte ad un evento così discusso.

In Italia l’illegalità dell’eutanasia applicata ad alcuni casi, non ha fatto altro che favorire la clandestinità di tale pratica, così come l’aborto prima che venisse legalizzato.

Il caso Welby ci riporta sicuramente alla memoria la vicenda di Terry Schiavo, la donna americana in stato vegetativo morta in Florida 13 giorni dopo il distacco dai macchinari che la tenevano in vita. A distanza di poco più di un anno dall’evento, l’Associazione Medici Cattolici Italiani (AMCI) si schiera contro l’eutanasia in seguito a scoperte sconvolgenti in merito alla risonanza magnetica funzionale. Quest’ultima infatti è capace di rivelare la presenza di attività neurali in risposta a stimoli esterni, in una donna in stato vegetativo.

Un sondaggio effettuato dall’Istituto IPR marketing ha rivelato che il 64% di 1000 cittadini italiani era favorevole all’eutanasia per il caso di Piergiorgio Welby. Il dato più importante ci viene dal 50% di cattolici praticanti che, nonostante i principi religiosi, hanno manifestato il loro assenso. Pressoché totale è stato invece il consenso degli atei (95%).

Ricordiamo che Piergiorgio Welby ha manifestato, negli unici modi a lui possibili, la volontà di porre fine a ciò che dal suo punto di vista è apparso come un mero accanimento terapeutico e che, da fin troppo tempo, gli permetteva di difendere una vita della quale egli non si sentiva più “beneficiario”. Pur sentendo ogni minimo stimolo del mondo esterno, egli non considerava più la propria esistenza come un dono prezioso, bensì come una condanna alla quale era stato sottoposto da una società “imbottita” di sani principi morali.

Durante la sua lunga agonia, Piero ha assistito ad estenuanti proteste in favore di una vita divenuta uno strumento di purificazione sociale per tutti gli errori commessi in precedenza e, nonostante l’opposizione legislativa all’abbandono di un letto di sofferenza, Welby è riuscito a far sentire comunque la propria voce soffocando tutte le altre e portandosi dietro una battaglia ancora aperta che non avrà mai né vincitori né vinti.


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