Recca-Pioletti: la sfida Tv (2a parte)

Le sedi decentrate hanno funzionato? Stanno funzionando? Pensate di aumentarle per favorire i pendolari?

 

Prof. Recca: «Le sedi decentrate sono state istituite per legge con finanziamenti propri e l’Università non istituire corsi decentrati, pertanto, negli anni scorsi, abbiamo attivato delle convenzioni che creassero corsi di eccellenza, tenendo conto delle peculiarità del territorio. Ingegneria attivò la prima convenzione che permise l’attivazione di un corso di studi vecchio ordinamento, oggi 3+2, di 30 concorsi per docenti e di un congruo finanziamento per la ricerca scientifica.

 

Il Comitato di Coordinamento Regionale non ha vigilato: si sono attivati tantissimi corsi di studio a costi sempre decrescenti, a causa della competizione tra le 3 università siciliane; i corsi attivati hanno così avuto finanziamenti irrisori.

 

Ho saputo della situazione di Gela dove sono stati attivati 3 corsi con un finanziamento di 450.000 €, senza professori di ruolo, ma con professori a contratto e supplenti. Alcuni studenti fanno spesso lezione in uno “sgabuzzino”. In più c’è un problema: i consorzi hanno attivato corsi come forme di pubblicità politica ed oggi sono insofferenti.

 

Le convenzioni con l’Università di Catania non sono coperte da fideiussioni bancarie. La sofferenza economica dei consorzi è di 15 milioni di euro e per il momento ne sta rispondendo l’Ateneo di Catania. Non avendo la fideiussione non è possibile procedere con i decreti ingiuntivi, quindi si dovrà procedere con una causa, che potrebbe durare 20 anni.

 

Sul decentramenti occorre lavorare con responsabilità tutti insieme, Università, Consorzi e studenti, poiché, ad esempio, non siamo stati in grado di attivare i corsi interateneo».

 

Prof. Pioletti: «I decentramenti sono stati progettati per 3 motivi: per diffondere orizzontalmente i centri di alta formazione, per valorizzare i territori, per far risparmiare le famiglie e per attirare risorse esterne. L’esito è preoccupante, nonostante i passi in avanti di alcune sedi decentrate come Ragusa. Altri decentramenti sono stati attivati senza una programmazione che abbia chiara la vocazione del territorio, che conosca le strutture esistenti e che garantisca la presenza di risorse finanziarie.

 

Quando parlo di sofferenza dei docenti, intendo dire che nelle sedi decentrate – dove ci sono fior di docenti e Facoltà – gli stessi docenti dopo anni di attesa hanno radicato posti di ruolo. Non vorrei però che si ritenesse che nelle sedi decentrate ci vadano i primi che passano. La Facoltà di Lingue a Ragusa ha radicato 18 posti di ruolo tra docenti, associati e ricercatori.

 

Altro problema è la carenza di una politica di diritto alla studio e su questo bisogna prendere degli impegni. Abbiamo organizzato una Conferenza di Servizio sulle sedi decentrate per il monitoraggio e il supporto delle sedi decentrate. I consorzi purtroppo non onorano gli impegni e le sedi non hanno strutture: biblioteche, laboratori, ecc… E abbiamo un altro problema notevole: laddove i budget sono stati esauriti, i colleghi che si trovano in quella situazione hanno la carriera bloccata. Un ricercatore resta tale a vita.

 

L’Ateneo di Catania non è più un Ateneo catanese. Dobbiamo studiare il modo di trasformare l’attuale Università in un Ateneo multicampus con una rete di poli dotati di autonomia governata e con una grande partecipazione democratica. Dobbiamo costruire una grande Università di respiro euro-mediterraneo».

 

(Filippino, studente:) Come pensate di aumentare le borse di studio, dato che ci sono tanti idonei e pochi assegnatari?

 

Prof. Recca: «Le borse di studio sono emanate dall’ERSU con il quale L’Università di Catania collabora. L’Ateneo non ha previsto fondi per borse di studio, mentre sono previsti fondi per i buoni libro e per il tutorato. Se vogliamo tutelare gli studenti, dobbiamo risparmiare risorse con idee discusse in modo partecipativo. Ho proposto la creazione di una fondazione che gestisca alcuni servizi d’Ateneo, riuscendo così a spostare i soldi che si risparmiano sul diritto allo studio e sulla ricerca. Spostando i fondi sulla ricerca, saremo poi anche premiati a livello di finanziamento ministeriale».

 

Prof. Pioletti: «Ritengo che l’Università di Catania debba acquisire un forte dinamismo progettuale rivolgendosi con autonomia e proposte concrete innanzitutto alla Regione Siciliana. La Regione deve svolgere un ruolo di fondamentale importanza per l’Università siciliana. Non ho visto la dovuta attenzione a questo tema durante la campagna elettorale. Finora la Regione ha distribuito fondi a pioggia, senza una programmazione mirata.

 

Non dobbiamo dimenticare poi le borse di studio per l’estero. Oggi l’internazionalizzazione della didattica e della ricerca è un orizzonte che non può essere eluso. L’Università, nella sua autonomia, deve dire alle altre autonomie che, se vogliamo fare un salto di qualità, ci vuole una grande impresa di rifinanziamento mirato e serio».

 

(Enzo Piazza, studente:) 32.000 posti letto per gli studenti in Italia, contro i 140.000 della Francia e i 360.000 della Germania a parità di studenti. E’ da 6 anni che si parla del progetto ‘Tavoliere’ che doveva sorgere alla Cittadella: che fine ha fatto?

 

Prof. Pioletti: «Il problema posto si collega ad una questione più generale: il rapporto tra Università e città e quindi tra Università e Piano Regolatore Generale. Credo che l’Università debba assumere un ruolo propositivo diventando un forte interlocutore. Lo statuto già prevede una commissione per l’organizzazione dell’Ateneo che riguarda l’edilizia, il personale, la distribuzione delle risorse (l’intervento viene poi tagliato da un’improvvisa interruzione pubblicitaria per cui il giornalista Barlesi si scuserà, ndr) ».

 

Prof. Recca (leggendo un punto del suo programma): « “Occorrerà rilanciare l’edilizia universitaria residenziale al fine di una maggiore offerta abitativa per gli studenti fuori sede con la ripresa del progetto Tavoliere…” che è bloccato. Occorrerà collaborare con la Regione per ottenere i finanziamenti. Il finanziamento necessario al ‘Tavoliere’ è notevole, ma il progetto è già iniziato: c’è già un’opera messa su».

 

(Muratore, studente:) Diritto allo studio vuol dire formazione di qualità. In tutta Italia, e in particolare a Catania con tutti i suoi decentramenti, si è visto un proliferare di corsi di laurea – non differenziati e con pochi iscritti – che hanno portato alla confusione i giovani, le famiglie e il mondo del lavoro, nonché hanno prodotto uno spreco di risorse. Cosa intendete fare con le convenzioni?

 

Prof. Pioletti: «Innanzitutto le convenzioni dovranno essere rispettate in tutti i loro aspetti. La seconda questione sarà quella di rinegoziare tali convenzioni per migliorarle. La terza questione riguarda il personale tecnico-amministrativo, per il quale si potrebbero prevedere corsi di formazioni per far sì che le segreterie funzionino bene e che siano collegate tra loro. Va risolto poi il problema del decentramento finanziario, che il regolamento di contabilità d’Ateneo non contemplava.

 

Un esempio sulla qualità: rispetto al numero dei fuori corso e dei ripetenti, ritengo che l’Ateneo debba pensare non solo all’orientamento pre-universitario, ma anche all’orientamento intra-univeristario, sia come guida nello studio che come recupero didattico, usando forme on line di supporto didattico di cui alcune Facoltà si stanno dotando e che non sostituiscono la didattica con i docenti.

 

I decentramenti vanno visti come un unico corpo dell’Ateneo di Catania: questa “separatezza” va superata. Meglio ancora se si riuscirà a costruire un Ateneo per poli in rete».

 

Prof. Recca: «Per quanto riguarda il numero eccessivo dei corsi di studio, la Commissione Paritetica per la Didattica, la Consulta per gli Studenti, il Senato Accademico dovranno rimettere in discussione i corsi di studio, rispettando l’autonomia delle Facoltà che però sia vigilata. Ritengo che il Rettore e i Presidi devono continuamente vedersi per valutare l’attività svolta e apportare gli opportuni miglioramenti.

 

I candidati Rettori non facciano programmi fumosi e dicano come stanno le cose: in questo momento non possiamo permetterci di spostare risorse congrue sul decentramento.

Ricordo un solo dato che riguarda il personale tecnico-amministrativo – risorsa eccellente del nostro Ateneo -: negli ultimi anni si è dimezzato nel numero. Bisognerà spostare delle risorse per i concorsi – anche a tempo indeterminato -, prima di sposare risorse sui corsi decentrati, nati come corsi di eccellenza sul territorio e autofinanziati».

 

Un tempo l’Università era diretta da professori “baroni”. Oggi invece c’è più dialogo, ma più confusione nei corsi. Cosa salvereste dall’Università degli anni ’60?

 

Prof. Recca: «Sono d’accordo all’Università di massa. Abbiamo un numero elevatissimo di studenti e anche il numero dei professori di ruolo è notevolmente aumentato. Aumentando il numero di studenti del 30-40 % dobbiamo puntare sulla qualità. Sento slogan che riguardano il Mediterraneo – e non faccio riferimento al collega Pioletti -, e rispondo dicendo che questi scenari possono avvenire solo se la qualità del nostro lavoro è valutata in modo ottimo in Italia come all’Estero. Come miglioriamo la qualità? Incentivando l’orientamento, che non può avvenire in una kermesse pubblicitaria di 2 giorni con migliaia di studenti che passano da uno stand all’altro come fossero negozi di un supermarket.

 

Abbiamo cominciato stabilendo delle convenzioni con 20 scuole secondarie che ci forniscono il 70 % degli studenti per la Facoltà di Ingegneria. Abbiamo previsto fondi per mandare i nostri professori nelle scuole sin dal 4° anno per seguire chi si iscriverà ad Ingegneria.

Dobbiamo fare in modo che gli studenti in entrata siano pronti alla Facoltà: all’inizio c’è un test di ingresso, dei corsi di recupero e poi un altro test, non selettivo, dopo il quale gli studenti decidono se iscriversi o meno. Questo ci ha permesso di perdere 300 iscritti su 1.300-1.400 annui, gli stessi che prima perdevamo dopo 3 mesi, consentendogli magari di iscriversi in altre Facoltà».

 

Prof. Pioletti: «Privilegiare i contenuti, mentre spesso vengono privilegiati aspetti di contorno. E’ possibile farlo cambiando il rapporto con il mondo della scuola, aprendo una collaborazione che non si limiti all’ultimo anno delle superiori e mantenendo un dialogo permanente attraverso strutture e lavoro specifici.

 

Secondo: dobbiamo salvaguardare una solida base culturale in ogni corso di laurea. Non dobbiamo formare tecnici che conoscano un singolo segmento del sapere, bensì cittadini e professionisti che abbiano una conoscenza ampia del mondo. Anche perché il mondo del lavoro ha processi di obsolescenza così rapidi, che solo avendo una solida base culturale interdisciplinare, si può essere presenti nel mercato del lavoro.

 

Parlando di mercato del lavoro, ritengo che l’Università debba avere un ruolo estremamente importante: monitorare la situazione. Per farlo propongo una Consulta per la Ricerca e l’Innovazione, costituita dall’Università, dalla Regione, dagli Enti locali e dal mondo imprenditoriale e bancario. Una sua prima funzione sarebbe incubare progetti legati al progresso economico e alla qualità della vita e la seconda monitorare il mercato del lavoro, individuando le vie percorribili.

L’emigrazione dei laureati dalle nostre aeree negli ultimi anni è aumentata dal 13 al 18 %. Non possiamo quindi essere che per la qualità ma dobbiamo capire come si garantisce».

 

 

L’identikit del buon Rettore:

 

Prof. Pioletti: «Deve essere disinteressato e totalmente al servizio dell’Istituzione, deve fare di tutto affinché venga rimosso ogni ostacolo di censo e classe per accedere al diritto allo studio, deve fare di tutto perché una classe docente (solo il 3 % è al di sotto dei 35 anni) venga rapidamente rinnovata, aprendo le porte a giovani studiosi meritevoli. Sono impegni precisi accanto a quello di sviluppare trasparenza, collegialità e partecipazione democratica con gli studenti e con il personale tecnico-amministrativo, risorsa fondamentale che vive situazioni di grave disagio. Un’altra Università è possibile!»

 

Prof. Recca: «L’identikit di un buon Rettore è quello che vede lo studente al centro dell’attenzione. Tutto il suo lavoro deve essere finalizzato a migliorare la qualità di vita dello studente e all’immissione del laureato nel mondo del lavoro. Per questo ritengo necessaria la collaborazione di tutti, in particolare dei tecnici e degli amministrativi che svolgono con sacrificio il loro lavoro. Sono convinto che con un metodo trasparente e collegiale che veda il Rettore come un supervisore, riusciremo a portare l’Ateneo di Catania dalla penultima posizione a posizioni più prestigiose».


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