Mafia, l’ascesa autoritaria di Massimiliano Ficano «Si vedono Gamorra e pensano che stiamo nei film»

Per prendere in mano il controllo della famiglia mafiosa di Bagheria gli è bastato uscire dal carcere, con l’allora reggente, Gino Catalano, che si è fatto da parte senza colpo ferire, tornando alle sue mansioni di responsabile del traffico di stupefacenti. Massimiliano Ficano era un capo meticoloso, uno che voleva avere il controllo di tutto: sue le strategie di marketing nel mercato della droga, curando personalmente i canali di approvvigionamento, suo il controllo sui flussi di denaro che riempivano la cassa del clan. Il boss si occupava personalmente anche del sostentamento degli affiliati detenuti e delle loro famiglie. Sua ovviamente anche l’ultima parola su pestaggi, violenze e persino omicidi.

Un boss di alta levatura, Ficano, come dimostra, parole degli investigatori, «la partecipazione al circuito fiduciario che aveva gestito, fino al mese di aprile del 2006, la latitanza di Bernardo Provenzano». Non solo, Ficano, cresciuto sotto l’ala del vecchio capomafia Onofrio Morreale, aveva la responsabilità delle armi del sodalizio e di altri associati. Salito al potere, Ficano si impegnava per esserci per i suoi. «Se hai bisogno figghiò tu lo sai di notte chiamami a qualsiasi orario…» diceva a un sodale e di fronte alle sue preoccupazioni per dei dissidi con altri individui, la risposta era ancora più paterna: «Stai tranquillo non ti preoccupare. Ora quello che non deve dormire sono gli altri no tu…». Discussione conclusa con tanto di «Ti voglio bene» da parte del boss. 

Un affetto tramutato in fatti per proteggere il figlioccio, Bartolomeo Antonio Scaduto, dalla minaccia di Fabio Tripoli, un uomo nel giro del clan, che conosceva bene le dinamiche della famiglia, ma con il vizio del bere, che lo portava a dare in escandescenza, utilizzando parole grosse contro Scaduto e contro lo stesso Ficano, oltre che maltrattare la propria compagna e il padre, che Ficano dimostra nelle intercettazioni di conoscere. Scatta dunque la spedizione punitiva, perché nessuno doveva essere fuori dalle righe a Bagheria. «ho detto “ora questa notte lui le deve scippare – dice – non deve passare la notte”…”gli faccio finire il 41” dice…si vedono i film questi Gamorra cose e gli sembra che siamo nei film…c’è una cosa fuori…dipende come uno è buttato in testa ti sembra che può rimanere scemo questo…cornuto e sbirro…ma se almeno lo conoscessi a questo l’ho visto mai…non gli ho parlato mai…tutta l’invidia per Antonino (Scaduto ndr)…perché secondo lui quello ha fatto il salto di qualità».

Siamo ad agosto, quando un commando formato da Scaduto, Ivan Salerno, Giuseppe Cannata ed Emanuele D’Apolito, secondo quanto documentato dagli investigatori, mette in scena il pestaggio: «Si deve storpiare questo e basta» l’ordine di Ficano. Alla fine Tripoli – finito anche lui in manette nell’operazione di ieri – se la caverà con una prognosi di 10 giorni, un trauma cranico e diverse contusioni, ma non imparerà la lezione. A questo punto il dado è tratto, l’offesa è perpetrata e Scaduto propone l’omicidio dell’uomo. «Lo prendiamo, o lo lasciamo la, o lo prendiamo e lo buttiamo in un cassonetto di immondizia – suggerisce il sodale – Ci dobbiamo organizzare questa volta bene… che dobbiamo fare le cose perfette». Qui esce fuori tutta la cautela del boss che non vuole dare spettacolo o lanciare segnali, attento piuttosto a proteggere il suo status e quello dei suoi: «Però non lo dobbiamo fare sapere a nessuno – replica – Che ci fanno prendere l’ergastolo, hai capito?».


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