Lo chef Accursio non vede l’ora di riaprire

Si fa quasi fatica a ricontarli tutti i giorni di questo lungo periodo di chiusura per Covid. Sette mesi. Più di metà anno, a cavallo di tre stagioni, 30 settimane. Sette mesi lontano dai miei ospiti, dalla cucina e dai tavoli del mio ristorante, dal tintinnio delle posate in sala e dal turbinio della mia brigata. Un tempo che ho speso per pensare, curiosare e sperimentare, per non lasciare che passasse invano. E per essere pronto, in tutti i sensi, per quando suonerà la sveglia della riapertura, del ritorno all’accoglienza, dell’incontro con le persone, per le quali non vedo l’ora di tornare a cucinare. 

E infatti ho ripreso in mano l’agenda e mi sono rimesso in moto per un check up a tutto il ristorante. Ho fatto rinfrescare le pareti, ho scelto le nuove decorazioni vegetali, ho reso gli spazi ancora più ospitali e rinnovato in parte la cucina, che in questi mesi è rimasta il regno in cui ho abitato. Giorni di lavori incessanti, quindi. E non solo pro forma, ma anche per dare sostanza. E quindi, se la domanda a cui rispondere è «ci siamo?», la mia risposta è positiva. Anzi, pro-positiva: Ci sono, ci siamo. Mi auguro di poterlo affermare guardando ad una prospettiva ravvicinata, che contempli la certezza di qualche giorno o poche settimane e non l’insicurezza della data da destinarsi da qui a qualche mese. «Ci siamo» lo dico anche partendo dalla consapevolezza di quanto pesanti siano stati i giorni da ottobre a oggi. Di quanto questi giorni ci abbiano impoverito – a livello di relazioni, di confronto, di crescita e non solo a livello economico – e reso esausti. Di quanto sia forte il desiderio, anzi il bisogno, di riprendere in mano il nostro lavoro e il piacere di farlo in libertà. 

La speranza, naturalmente, è che questa sia la volta buona, ossia senza ripensamenti, graduale ma irreversibile. Il che, per me, significa anche trovare i modi, per la sicurezza di tutti e per tutti, di rispettare le regole senza rinunciare a esprimere la mia identità, il mio pensiero, la mia idea di cucina e soprattutto di accoglienza e di cura degli ospiti. Anche perché, se è vero che è da sette mesi che ci dicono di stare in casa, allora confesso che è da sette mesi che io in casa non ci sto. Attenzione: non mi fraintendete. Non ho infranto regole e disposizioni. Dico solo che ho investito questo tempo – al netto di quello prezioso che ho riscoperto e condiviso con i miei figli, la famiglia e qualche amico – per socializzare con le persone. Di nuovo, niente fraintendimenti: non parlo degli incontri sulle piattaforme digitali, piuttosto delle relazioni che ho intessuto in giro, per campi e campagne del territorio del sud est siciliano, a scovare o a ritrovare piccoli produttori, agricoltori, viticultori, contadini, allevatori, casari, custodi di prodotti e artigiani. 

E incontrandoci, anche con una semplice stretta di mano, abbiamo stipulato un patto, un accordo per la qualità. Una sinergia tra uomini sinceri, liberi sognatori, talentuosi colleghi, preziosi fornitori. Ecco, ho approfittato di questo tempo più lento – che, fortunatamente, ci ha rimesso al pari con l’andamento delle stagioni e della terra – per prestare ascolto e assaggiare il mio territorio. Vivendolo di persona, ma anche ritrovandolo sui libri. Qualsiasi territorio, il nostro in particolare, deve essere oggetto di studio da parte di chi, per lavoro e passione, è chiamato a interpretarlo in cucina. E non sto parlando solo di ricette. Ma di tutto ciò che ruota intorno alla cucina: la storia dei popoli, i loro usi e costumi, le loro credenze, la loro posizione geografica, le loro tradizioni, il loro modo di vedere gli altri, il mondo, il cibo, il nutrimento.

Ho già tutto in testa il menù della riapertura. Con qualche ingrediente speciale di cui in queste settimane mi sono andato innamorando, sempre nel segno dell’autenticità e della semplicità. La melanzana ad esempio. Così golosa e poliedrica. Quasi magica, per le innumerevoli soddisfazioni riesce sempre a regalarmi. Sarà una delle protagoniste sul palcoscenico che stiamo per riaprire. Siamo qui, siamo in fermento. Un bellissimo termine, secondo me. Soprattutto quando lo si prende come sinonimo di effervescenza, spirito creativo, capacità di sviluppare, di porre e suscitare idee. Ed è con questa parola, con la voglia di trasmettervi – con un piatto, con un abbinamento, con un ingrediente – la gioia del fermento, mi congedo da qui per aspettarvi nel mio locale. Dove non vedo l’ora di condividere con voi: un momento di convivio, il racconto della buona tavola, l’accoglienza di un sorriso (senza mascherina!), l’emozione di una lacrima, la solidarietà di un abbraccio. È da mesi che ci rifletto e ora ve lo dico: la vita è talmente preziosa che non c’è tempo per sprecare tempo. A presto, a Modica.


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