Jabal, corto sull’integrazione al Los Angeles-Italia film festival Il regista: «Voce e mezzi a chi rischia di essere emarginato»

Dall’idea di venti ragazzi e ragazze al grande schermo. In anteprima mondiale al Los Angeles – Italia film festival, che quest’anno si terrà online dal 18 al 34 aprile su mymovies.it, Jabal: il cortometraggio diretto da Alessio Genovese, con Mimmo Cuticchio e Simona Malato nel cast, frutto della creatività dei giovani partecipanti al progetto Funkino – Cinema for Inclusion.

Visibile gratuitamente dal 20 aprile sulla piattaforma messa a disposizione da My Movies, Jabal è una parola araba, il cui significato è montagna. Il corto, girato a Palermo poco prima dello scoppio dell’emergenza sanitaria, racconta la storia di Giusy, una ragazza palermitana, stanca di vivere nella comunità in cui è cresciuta tra l’indifferenza e l’ostilità di chi la circonda. «Jabal è il risultato del laboratorio di scrittura creativa fatto nel 2019 – spiega il regista, Alessio Genovese – con un gruppo di ragazzi tra palermitani, richiedenti asilo, italiani di seconda generazione e in esecuzione penale. All’inizio non avevamo idea di quale storia sarebbe venuta fuori, né tantomeno avevamo idea di partecipare a questo festival».

In Jabal tutto ciò che si vede è il risultato di un lavoro di squadra che parte dal basso e unisce diversi immaginari e retroterra culturali. Il progetto FunKino – Cinema for Inclusion, promosso dall’associazione Zabbara con il contributo della sede di Ginevra del Unhcr e del Centro diaconale La Noce, ha dato vita, nell’arco di circa sei mesi, al soggetto del cortometraggio attraverso un processo di creazione originale e partecipativo.

«Il progetto nasce con l’obiettivo di stimolare una nuova produzione di immaginario dal basso dando voce e strumenti a chi normalmente rischia di essere emarginato – spiega Genovese, che insieme a Daniele Saguto coordina il laboratorio da ormai due anni – La metodologia Funkino è una metodologia innovativa che consente ai ragazzi, tramite il gioco, il confronto ed esercizi critici, di acquisire dimestichezza con la narrazione per costruire uno schema narrativo classico. Alla fine di questo percorso è nata una storia che è la sintesi delle varie idee presenti all’interno del laboratorio».

Ma i ragazzi non si sono limitati a scrivere il soggetto del film: anche il processo di stesura della sceneggiatura e la fase di casting sono state seguite con entusiasmo dai partecipanti al laboratorio. «La sceneggiatura l’ho scritta io in prima persona – racconta Genovese – ma attenendomi alle loro indicazioni. È stata infatti poi vagliata di volta in volta dai ragazzi, in varie letture partecipate fatte insieme. Anche la parte di casting è stata partecipata, spesso i ragazzi venivano al casting, davano dei pareri sulle persone che venivano a fare il provino per il ruolo principale».

Molti ragazzi hanno persino deciso di prendere parte al cast del film. Un atto inaspettato, spiega il regista: «Non era scontato che tutti i ragazzi prendessero parte al cast. Invece loro hanno deciso, se non tutti almeno il 90 per cento di loro, di abitare il film, di starci proprio dentro: come ruolo secondario o come comparsa». Poi, nella necessità di completare il cast, il gruppo si è allargato ulteriormente con la partecipazione della giovane esordiente Cecilia Arena, affiancata dal Maestro Mimmo Cuticchio, Simona Malato (Maria ne “Le sorelle Macaluso”) e Giuseppe Lo Piccolo.

Cecilia, che non aveva mai fatto cinema né tantomeno teatro prima d’ora, è Giusy, la protagonista. Arrivata al provino per gioco, l’ultimo giorno di casting, con l’intento di spezzare la monotonia e la noia della sua vita; si è rivelata perfetta per il ruolo. «C’è stato tutto un ragionamento all’interno del laboratorio sulla costruzione del protagonista – spiega Genovese – alla fine il gruppo di ragazzi ha scelto che la protagonista fosse donna: una giovane adolescente palermitana. Cecilia corrispondeva alla descrizione della ragazza che stavamo cercando. Avevo messo anche in conto di lavorare con non professionisti per quel ruolo». Sotto la guida attenta di Alessio Genovese e Simona Malato, nel giro di poco tempo, Cecilia si è riscoperta attrice.

«Era da un po’ che volevo provare qualcosa di nuovo – racconta – sono una persona che si annoia più facilmente rispetto agli altri, ho bisogno di cambiamenti. Di questi tempi soprattutto poi, non bisogna farsi scappare nulla di bello». Del personaggio che interpreta, la giovane esordiente spiega: «In parte, mi ci rivedo. Un po’ come tutti i ragazzi che cercano la loro libertà, la loro affermazione ma anche i loro affetti. La stanchezza rispetto all’indifferenza delle persone che ti stanno attorno nel loro caso – dei ragazzi e delle ragazze che hanno preso parte al laboratorio ndr – chiaramente è molto più evidente quindi in questo mi ci rivedo un po’ meno».

Nonostante Cecilia sia subentrata nella fase di casting e ripresa, non partecipando quindi all’attività di laboratorio, porta con sé da quest’esperienza anche delle nuove amicizie, nate sul set. «I ragazzi li ho conosciuti tutti – spiega – persone bellissime. Ragazze semplici, vivaci, super gioiose. Abbiamo girato con loro qualche scena, ci siamo divertiti un sacco. Mi ricordo una scena in cui c’era il carrello della spesa: tra le varie pause, ci siamo infilate dentro il carrello e ci siamo messe a fare giri, a spingerci. Poi io ho trascorso anche privatamente del tempo con loro, sono andata a trovarle quest’estate. Ci siamo mangiate una pizza e abbiamo guardato insieme un film». Tornando alla trama del corto afferma «Giusy potrebbe essere una tra tutte loro, è un personaggio che va a rappresentare perfettamente tutti i loro disagi e le loro emozioni».

A guidare Giusy verso il cambiamento un personaggio sospeso tra il materiale e l’immateriale: un vecchio poeta errante, interpretato dal Maestro del teatro dei pupi, Mimmo Cuticchio. «È un personaggio che a mio avviso trascende tra il fisico e il metafisico – spiega Cecilia – ci porta nel corto dalla realtà a qualcosa di più aulico e immaginario, ma non posso dire altro». Simona Malato è invece la figura adulta all’interno della comunità, aiuta, gestisce le situazioni e si prende cura anche delle ragazze. «E’ una donna con un lavoro, e questo già è quanto dire, – commenta Simona Malato – lavora in una comunità dove vivono delle giovani ragazze di cui lei sente, percepisce, l’energia, la carica vitale, la rabbia. Ma lei fa il suo lavoro e il suo lavoro è quello di tenere in ordine quel luogo perché quell’ordine in qualche modo per un è indice di giustizia, giustezza».

Per questa figura, Giusy è un disturbo. «È un disturbo perché non accetta quello che le è accaduto – continua l’attrice trapanese – ha la fortuna di avere un tetto sopra la testa ma va oltre, lei vuole andare alla montagna. Una montagna di cui questa inserviente può immaginare l’esistenza ma non desiderarne la visione». Sul personaggio che interpreta all’interno del cortometraggio, Simona Malato racconta: «È una donna che è a contatto con la terra, una donna che capisce il dolore, lo interpreta lo mette da parte ed è un personaggio, un abitante di questa casa in cui vivono le ragazze. Un abitante, non direi un custode! Anzi anche qualcosa di più di un abitante! Sono onorata di fare parte di questo progetto – conclude – perché dietro, nella costruzione, c’è un’utopia di collettivo che in questo progetto si è realizzata. Spero tanto che abbia tanta fortuna perché se lo merita».


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