Nell'organizzazione al centro della quarta operazione Glauco contro il traffico di esseri umani, tutti avrebbero avuto un ruolo ben preciso. Il pentito Atta: «Arrivano le persone in Sicilia… i movimenti finanziari avvengono a Milano» e coinvolgono mezza Europa
È Milano la nuova capitale del business dei migranti Un giro da migliaia di euro tra i bar di Porta Venezia
«Arrivano le persone in Sicilia…e collegate ai loro viaggi i pagamenti si… i movimenti finanziari avvengono a Milano». Lo ha detto più volte durante gli interrogatori Atta Wehabrebi, il primo e più grande pentito tra i trafficanti di esseri umani che dall’Africa cercano un futuro migliore in Europa. Parole che hanno avuto un riscontro nelle indagini della Procura che hanno portato alla quarta operazione Glauco. Non Lampedusa, Palermo o Catania, dunque, la centrale finanziaria del business dei migranti sarebbe stata nel capoluogo lombardo, in particolare nella zona di Porta Venezia, sfruttando una rete di attività gestite da cittadini eritrei ed etiopi.
L’organizzazione avrebbe avuto come scopo quello di gestire in maniera diretta i viaggi dei migranti, dalle tratte terrestri fino a quella marittima Libia-Italia, riscuoterne i pagamenti e trasferire i soldi, un giro d’affari estremamente redditizio, attraverso movimentazioni, da un Paese all’altro, tramite il metodo di trasferimento fiduciario di denaro detto hawala. Un metodo già noto agli inquirenti e al centro in passato di molte indagini riguardanti trafficanti. «…la centrale del circuito hawala si è spostata da Roma a Milano – si legge nei verbali di Atta – e in particolare presso il bar Hiwnet nella zona di Porta Venezia. Questi pagamenti hawala vengono fatti per pagare i viaggi dei migranti che arrivano in Sicilia, in genere ad Agrigento e a Catania, e per fare loro continuare il viaggio per Milano e poi per il Nord Europa…».
E a Milano il maggiore referente dell’associazione, secondo quanto emerso dalle indagini, sarebbe stato Mussie Ghirmay, detto Musè. Titolare di una delle attività che fungevano da base per i traffici di uomini e soldi, il bar Malibù, anche questo nei pressi di Porta Venezia. Hiwinet, il bar di cui parlava il pentito Atta, invece, era gestito da Henok Gebrmedene, il braccio destro di Musè. Entrambi eritrei, 42 anni Ghirmay, 31 Enok, insieme avrebbero formato una coppia abbastanza potente da guidare uno dei principali sodalizi europei nel traffico dei migranti. A dimostrazione di ciò ci sono le tante intercettazioni di telefonate in cui i due parlano con migranti reclusi in delle safe house in Libia attraverso delle cosiddette “utenze di servizio” grazie alle quali Musè riusciva anche a esercitare la propria influenza su chi materialmente si occupava dei viaggi della speranza, facendosi carico, sempre sotto versamenti di somme di denaro, di tutto ciò che sarebbe servito ad alcuni migranti per raggiungere le mete predilette.
Anche se per lo più il ruolo di Musè sarebbe stato quello di gestore delle somme che giungevano da innumerevoli Paesi: Svizzera, Svezia, Grecia, Olanda, Germania, Regno Unito. Una vera e propria propaggine europea delle associazioni criminali che portano i disperati in fuga dai loro Paesi prima fino in Libia e poi su un’imbarcazione verso le coste italiane. In sostanza Musè avrebbe ricevuto i soldi dalle famiglie dei migranti, dopodiché avrebbe in parte movimentato parte del denaro grazie alle sua fitta rete internazionale di contatti, e una piccola parte l’avrebbe restituita al migrante in modo da poter sostenere le spese di viaggio, quanto meno fino a Milano. Per usare le parole degli investigatori «Oltre alle attività connesse all’uso del metodo hawala nella raccolta del denaro e nella intermediazione in tali servizi di pagamento, soprattutto in relazione agli sbarchi nel territorio italiano, dalle indagini venivano altresì ricostruiti con certezza singoli episodi di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, in cui Ghirmay Mussie svolgeva un ruolo attivo nel fornire ai migranti i mezzi necessari, dapprima, per spostarsi verso i confini del territorio nazionale e, successivamente, per recarsi in altri paesi dell’Unione Europea».
Il terzo bar, Hiwinet, quello nominato da Atta come «centrale del circuito hawala», in Italia, non lontano dalle altre due attività commerciali, risultava essere di proprietà dei cittadini eritrei Madege Habte e Yoel Tesfamichale, entrambi già finiti nel mirino delle forze dell’ordine: il primo era stato arrestato durante Glauco 2, il secondo finito sui registri della procura di Catania in occasione dell’operazione Tessa. Ci sono volute intercettazioni, pedinamenti e controlli, ma alla fine a venire fuori è stato un quadro piuttosto lineare, con i sodali dell’organizzazione criminale in grado di muoversi indisturbati per procacciare migranti nella fitta rete di esercizi commerciali gestiti da cittadini del Corno d’Africa presenti nel quartiere di Porta Venezia.