I siciliani coinvolti negli orrori della caserma di Piacenza Lo sbirro cattivo, il comandante-esecutore, il cane e il rosso

Ci sono anche quattro siciliani tra gli appartenenti alle forze dell’ordine coinvolti nell’operazione che ha mostrato gli orrori della caserma Levante di Piacenza (in Emilia Romagna). Marco Orlando (classe 1970) originario di Petralia Sottana in provincia di Palermo è comandante della stazione di Piacenza con il grado di maresciallo maggiore. Salvatore Cappellano (classe 1983) militare dell’arma dei carabinieri in forza alla stazione di Piacenza Levante con il grado di appuntato scelto, originario di Catania. Così come Marco Marra (classe 1989) militare della guardia di finanza nel gruppo dell’unità cinofila di Piacenza. E Daniele Spagnolo (classe 1990), originario di Salemi (in provincia di Trapani) appuntato scelto in forza alla centrale operativa dei carabinieri di Piacenza.

La vita non è un film 
«Non è stato semplice rendersi conto che, dietro i volti sempre cordiali e sorridenti di presunti servitori dello Stato, potessero celarsi gli autori di reati gravissimi. L’impressione era quella di trovarsi di fronte alle pagine di qualche romanzo noir». Tanto che il giudice per le indagini preliminari Luca Milani ha dato a ogni capitolo dell’ordinanza un titolo che rimanda al mondo della letteratura e del cinemaPagine però in cui sono raccolti episodi accaduti davvero. Verbali falsi, perquisizioni arbitrarie, arresti illegali, pestaggi, minacce, pomeriggi alcolici in orario di servizio, merende prima di rientrare in caserma e anche un’orgia. Scene che potrebbero sembrare quelle di un film poliziesco degli anni Settanta e, invece, «i soprusi e le percosse non sono finzione scenica, ma realtà», scrive il pm. In realtà l’ispirazione degli indagati viene chiarita in una nota: «Più facile credere che fossero – come confermano in un’intercettazione – fan della serie televisiva Gomorra, nella quale si identificavano nelle figure dei giovani boss violenti, più che in coloro che avrebbero dovuto assicurarli alla giustizia». Al centro ci sarebbe stato il napoletano Giuseppe Montella e attorno a lui avrebbero ruotato in vari modi anche i siciliani.

Il comandate-esecutore
Il maresciallo Marco Orlando (che adesso è finito agli arresti domiciliari con le accuse di falso, abuso d’ufficio, arresto e perquisizione illegale e che si è avvalso della facoltà di non rispondere davanti al gip) sulla carta era il comandante della stazione. Di fatto, però, sarebbe stato «un semplice esecutore di ordini». Stando a quanto ricostruito dagli inquirenti, a ricoprire quel ruolo sarebbe stato Montella. Orlando sarebbe stato interessato a non mettere in discussione le irregolarità e non avrebbe avuto remore a falsificare atti e a omettere importanti comunicazioni ai magistrati della procura, «mentendo spudoratamente». Tra l’altro è proprio all’interno del suo ufficio che si sarebbe tenuta l’orgia descritta da Montella. «Il cappello di Orlando, la giacca, (la donna, una certa Manuela presumibilmente una escort, ndr) ha buttato tutte le pratiche per terra, mamma mia che bordello».

Sbirro buono e sbirro cattivo
A definire la strategica spartizione di ruoli tra Montella e l’appuntato Salvatore Cappellano è un altro loro collega: «Sbirro buono (il primo, ndr) e sbirro cattivo (il secondo, ndr)». E infatti la minaccia utilizzata da Montella con un ragazzo fermato da cui vogliono informazioni è: «Se mi dici la verità io non faccio entrare l’amico mio, come mi dici le cazzate lui entra e ti spacca di legnate e ti rompe tutte le ossa». Non solo parole. C’è un episodio in cui dalle intercettazioni si sentono colpi, urla di lamento e pianti disperati. «Non abbiamo più tempo da perdere […] Tu sei morto», dice Cappellano a un giovane egiziano da cui vogliono sapere dove si trova la casa in cui credono ci sia la droga. Dalle conversazioni, per altro, non è chiaro nemmeno se il pusher fosse in grado di comprendere bene la lingua italiana. «Andiamo là, ti giuro su Dio, io ti giuro su quanto voglio bene alla Madonna – continua l’appuntato – Non devi fiatare perché ti ammazzo nelle scale. Sbaglia una sola cosa di quelle che ti ho detto e non me ne fotte un cazzo di entrare, io ti porto in caserma e ti uccido». Quando arrivano in casa, durante la perquisizione il ragazzo viene ancora picchiato, si sente che tossisce e che ha dei conati di vomito

Compagni di merende
Oltre che colleghi, Montella e Cappellano sarebbero stati anche compagni di merende. Sono insieme (anche ad altri militari) per un pranzo di oltre due ore in orario di servizio durante il quale bevono quattro bottiglie di vino, il passito e un liquore. Tornati in caserma, dopo mezz’oretta escono di nuovo sempre con l’auto di servizio per un aperitivo al bar. Per l’evento al gruppetto si sarebbe aggiunto anche l’appuntato Daniele Spagnolo. «Io voglio fare un brindisi alla bellezza della caserma, nonostante la comanda una merda», dice Cappellano. Tra l’altro, secondo gli inquirenti alcune frasi non sono pronunciate in modo lineare e scorrevole, il che lascia pensare che il militare fosse in stato di ebrezza. Una bevuta pomeridiana di alcolici in un bar del centro, nei documenti da redigere in caserma si trasforma in un servizio di osservazione controllo pedinamento. In un altro episodio – sempre in orario di lavoro, nel pomeriggio – Cappellano va da Leroy Merlin insieme a Montella. Prima di tornare in caserma fanno tappa a casa di quest’ultimo dove la madre ha preparato la merenda con alcune cibarie e bevande.

Il rosso
Ad arresti illegali, pranzi prolungati in orari di servizio e allegre bevute al bar avrebbe preso parte anche l’appuntato Daniele Spagnolo. La vittima di un pestaggio, inoltre, ricorda che vi avrebbe partecipato anche «Daniele il rosso». E, in effetti, il trapanese è stato arrestato con l’accusa di avere partecipato al pestaggio di un ragazzo nigeriano. Anche lui, per gli inquirenti, avrebbe avuto con Montella un rapporto di confidenza e un atteggiamento di disponibilità che emerge soprattutto dal contenuto di una telefonata del 7 febbraio scorso. È Montella a chiamare Spagnolo per chiedergli il favore di raccogliere la denuncia della moglie di un suo amico, precisando che poi avrebbe provveduto lui a redigere la comunicazione di notizia di reato: «Dani, mi devi fare un piacere immenso», chiede Montella. «Va bene», risponde Spagnolo senza battere ciglio. 

Il cane
«Dimmi tutto caro, come mai mi fai questa telefonata?». Il finanziere cinofilo Marco Marra (che adesso ha l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria) risponde così alla telefonata di Montella del 19 marzo. «È perché mi è giunta voce che stai spaccando il culo all’autostrada, allora volevo sapere se eri tu o no». In effetti è lui che sta partecipando all’operazione in cui viene arrestato un uomo trovato in possesso di 3,2 chili di marijuana. «Io sono il cane, non so più di questo». Marra è accusato di avere rivelato a Montella notizie di ufficio che sarebbero dovute rimanere segrete: nello specifico, avrebbe raccontato che quell’intervento faceva parte di un’indagine più articolata che avrebbe riguardato anche un suo amico e complice (figlio del fermato) che così Montella aveva subito potuto avvisare. Per gli inquirenti, Marra sa perfettamente che ha rivelato notizie destinate a rimanere segrete non a un semplice collega, ma a una persona che poteva essere direttamente coinvolta come responsabile delle attività in corso di accertamento.  


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