L’imprenditore «ingranaggio» per gli affari del clan «Questa cosa non è per tutti. Passa dai Monopoli»

Definirlo un imprenditore a disposizione di Cosa nostra sarebbe riduttivo. Per gli investigatori Salvatore Rubino è stato «un ingranaggio indispensabile e fondamentale per la catena mafiosa». Con le sue conoscenze nel mondo delle scommesse sull’asse Palermo-Roma avrebbe «favorito il riciclaggio e gli investimenti di capitali nel mercato legale». Rubino, 59 anni, adesso si trova dietro le sbarre con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa, sottoposto a misura cautelare perché coinvolto nel blitz All-in della procura di Palermo. Sotto la lente d’ingrandimento un complesso network di aziende, spesso schermate da prestanome, e di passaggi di quote all’ombra del cugino di Rubino: Francesco Paolo Maniscalco, organico della famiglia mafiosa di Palermo centro con un passato da rapinatore vicino a Totò Riina, salvo poi reinventarsi come impresario di caffè e cialde per l’espresso

L’ultimo re delle scommesse siciliane avrebbe garantito un giro d’affari milionario reinvestendo i soldi di Cosa nostra e sfruttando le licenze ufficiali concesse dai Monopoli di Stato. Il 30 gennaio 2018, l’imprenditore palermitano prospetta «un investimento garantito» al cassiere del mandamento di Porta Nuova Salvatore Totuccio Milano. Le microspie della guardia di finanza registrano tutto: «Sono cose che non sono alla portata di tutti perché passano dai Monopoli – spiegava Rubino al suo interlocutore – Noi gestiamo 82 negozi in tutta Italia, tutti legati con il marchio Snai». L’operazione, nelle carte bollata «di riciclaggio», aveva però tempi stretti, causando qualche incertezza a Milano: «Onestamente se c’è qualche mese in più sì», rispondeva. 

A fiutare l’affare d’oro delle scommesse era stato anche Salvino Sorrentino, boss di primo piano del mandamento di Pagliarelli. Lo stesso dell’anziano gioielliere Settimo Mineo, considerato l’ultimo capo della cupola mafiosa di Cosa nostra. Sia Sorrentino che Mineo sono indagati nel blitz All-in. Durante le indagini, i militari – coordinati dal comandante Gianluca Angelini – hanno monitorato diversi summit, con i padrini seduti insieme ai colletti bianchi attorno allo stesso tavolo per discutere di affari. Rubino si sarebbe reso disponibile pure per fare da postino di alcuni messaggi che, secondo la ricostruzione degli inquirenti, erano indirizzati al colosso della scommesse Snaitech, tra i principali concessionari per i giochi in Italia. 

«Gli dici “tu qua non ne devi dare a nessuno, a nessuno. Te lo vengo a dire io. Prima che dai qualcosa a qualcuno noi vogliamo saperlo“», diceva Sorrentino intercettato rivolgendosi all’imprenditore. Oggetto della questione sarebbe stata l’apertura – che sarebbe potuta avvenire solo con il preventivo assenso di Cosa nostra – di alcune agenzie nel quartiere del villaggio Santa Rosalia, all’interno del mandamento del boss Sorrentino. «Lui mi ha detto – replicava Rubino – “Sà, te la sbrighi tu? Me la sbrigo io” gli ho detto», riferimento quest’ultimo che, mette nero su bianco il giudice per le indagini preliminari, dimostrerebbe «l’accondiscendenza dei vertici di Snaitech».

Alla famiglia del mandamento Pagliarelli, come emerge dalle carte dell’inchiesta, stavano particolarmente a cuore anche le sorti del giovane Antonio Maniscalco – finito agli arresti domiciliari – figlio del fruttivendolo Ciccio Maniscalco di via Andrea Cesalpino. Per l’apertura di un’agenzia in via Verdinois si sarebbe mosso Rubino in prima persona dopo il fondamentale input di Sorrentino. Anche perché si trattava del «figlio di una persona che a me interessa», ripeteva il boss mentre era intercettato.


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