Covid, nella fase 2 considerati anche i mercatini? «Abbiamo il diritto di svolgere la nostra attività»

«Vogliamo essere trattati come un servizio che offriamo ai cittadini. Non come un peso per i Comuni». È forse tutto in questa frase di Antonio, commerciante di Palermo, il dramma di un settore messo in ginocchio dalle restrizioni anti-Covid e che non sa come e quando inizierà la ripresa. Specie di quelle realtà cittadine di cui in pochi sembrano preoccuparsi da un mese a questa parte, come i mercatini ambulanti. «È giusto che cominciamo ad essere considerati per quello che siamo, ovvero commercianti come tutti gli altri – osserva, sul web, anche Angelo -. La gente e ora anche le istituzioni questo l’hanno dimenticato, non veniamo considerati in nulla. Ora è arrivato il momento di farci sentire. Non siamo quello che pensate, siamo il cuore delle città assieme a tutti gli altri piccoli commercianti. Non sono le quattro mura a dare il titolo di commerciante ad una persona, anche noi abbiamo una partita Iva, anche noi versiamo i nostri contributi, e viviamo molti più disagi causati dal tempo rispetto a chi ha un negozio. Ora vogliamo che i nostri diritti vengano rispettati».

Per questo Giovanni Felice, presidente di Confimprese Palermo, ha indirizzato all’Anci e al governo regionale una missiva in cui mette in luce tutte le criticità del settore e le richieste avanzate, perché si cominci a ragionare al più presto della ripresa di tutti i commercianti, nessuno escluso. «Credo che ognuno debba fare la propria parte – dice subito il presidente a MeridioNews – e intanto assecondare anche tutte le misure di prevenzione attuate per l’emergenza Covid. Ma è chiaro che se il 4 maggio non salta il primo rigo dei Dpcm che si sono succeduti fino ad ora, cioè quello che dice che per uscire ci devono essere ragioni ben modulate, è inutile fare riaprire le attività commerciali. Senza libertà di uscire, pur mantenendo chiaramente le distanze sociali con mascherine e guanti, non ha senso riaprire un posto in cui nessuno può andare».

Superato questo primo passo, però, altre preoccupazioni vengono a galla. Fra tutte, quella che non ci sia, al momento, un discorso comune che contempli anche attività come i mercatini ambulanti, nell’ottica di una progressiva ripresa. «Se giorno 4 maggio si potrà uscire, andrà chiarito ulteriormente il senso della parola assembramento e avere delle linee guida per le piccole attività, per cominciare a dare l’idea di come riorganizzarci e a quali condizioni riaprire appunto. Tutto deve essere preparato prima – insiste Felice -, non può essere una cosa dell’ultimo momento». Due gli aspetti che, secondo lui, saranno più dibattuti. Oltre ai mercatini, infatti, tira in ballo anche i grandi centri commerciali, «di certo luoghi di probabili assembramenti, in cui si potrebbe però controllare gli ingressi, sono dotati di conta-persone, si potrebbe gestire, fare delle stime». Un po’ più complicato fare lo stesso discorso anche per i mercatini: «Ci sono attività più a rischio nel commercio, lo capisco. Il problema è il contatto col cliente – torna a dire -. Ma ho scritto al presidente della Regione perché secondo me accadono cose anomale».

«La norma prevede che i mercati ambulanti sono limitati a quelli di generi alimentari. Questo lasciava supporre che chi vendeva, appunto, merce di questo tipo avrebbe potuto continuare a lavorare, ma non è stato così, i mercati sono stati completamente chiusi – spiega -. Se il 4 maggio riaprono tutte le attività e quindi teoricamente anche i mercati, e noi faremo in modo di essere nelle piazze in cui di solito vengono allestiti per assicurarci che si facciano, ci vuole qualcuno che si occupi di individuare linee guida e provvedimento che consentano di evitare gli assembramenti e diano al contempo regole ai singoli operatori da rispettare per i posteggi. Se domani si vuole aprire e noi non riusciamo a tornare a lavorare perché nessuno si è occupato di studiare le condizioni necessarie per permettere a tutti i commercianti di farlo, in pratica sarebbe come toglierci il diritto di lavorare e non si sa quando saremo in grado di ripartire». Da qui la necessità di chiedere sin da ora la costituzione di tavoli tecnici per discutere, mercato per mercato, di quali siano le condizioni per poter fare tornare tutti a lavoro. Considerando anche la possibilità di fare delle modifiche, all’occorrenza.

«Se magari oggi il posteggio è 8 metri per quattro, possiamo decidere ai fini di lasciare più spazio alle corsie per la clientela di ridimensionare queste misure, e farli diventare sei per tre magari. Chiaramente dobbiamo tutti fare la nostra parte – ribadisce -. Ma il problema ingressi e assembramento deve essere gestito dall’amministrazione, se ci sono da fare alcune operazioni da fare che si facciano. Penso al mercato di viale Campania: lì tutta la parte delle aiuole potrebbe diventare ingresso non controllato, lì andrebbero messe delle transenne, concentrando tutto in un ingresso singolo, creando un percorso obbligato da cui la gente potrebbe entrare e uscire». Ma sarebbe bello, sottolinea il presidente Felice, sedersi a un tavolo e poter discutere con più enti e su più fronti un discorso del genere. «Programmi e linee, se ce ne saranno, non potranno che essere un bene. Ma qualcuno, di fatto, ci sta pensando? Io ho il terrore che arrivati a giorno 4 maggio non ci siano le condizioni per far funzionare i mercati. Aiuti e sostegni, nel momento in cui verranno meno per tutte le categorie, non verranno certo mantenuti per gli ambulanti rimasti a casa. Significherebbe veramente abbandonarci al nostro destino».

Il presidente Felice resta in attesa di una risposta e di eventuali chiarimenti da parte dell’amministrazione comunale e del governo Musumeci, a cui ha indirizzato il suo appello. «Io giorno 4 maggio sarò in via Titone per fare riaprire gli ambulanti – spiega -. Se qualcuno ci dirà di non aprire dovrà spiegarci anche il perché, noi abbiamo il diritto di svolgere la nostra attività ed è compito del Comune garantirci una soluzione alternativa, non può stare a riflettere a tempo indeterminato mentre noi ce ne stiamo a casa, non c’è un’alternativa».


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