Covid-19, il lato umano nascosto dietro lo smart working «Al telefono la tua voce è l’unico appiglio per non affondare»

L’isolamento a cui ci sta costringendo da oltre un mese l’emergenza Covid probabilmente lascerà un segno in chiunque. Compresi quelli che hanno potuto continuare a lavorare rimanendo a casa e che subito si sono però resi conto che di consueto e di solito, in mezzo a quella normalità stravolta, ci sarebbe stato ben poco. Come nel caso di Valeria, che da marzo sta sperimentando, come tantissimi altri lavoratori palermitani, l’esperienza del cosiddetto smart working, lavorando in una sorta di piccolo box che si è ricavata in giardino anziché andare tutti i giorni nel suo ufficio in banca. «Questa esperienza pazzesca mi sta restituendo un contenuto umano che non avrei mai immaginato di trarre da un lavoro a distanza – rivela subito a MeridioNews -. Ho trovato un mondo stravolto. Ho lasciato un ufficio in cui si prestava un servizio di assistenza “canonica”, che non ricoprivo nemmeno più dalla scorsa estate, e in sole due settimane ho trovato un servizio di assistenza “emergenza”, al quale sono stata destinata “in prestito” per supportare il più possibile i clienti che stanno affrontando durante l’emergenza problematiche di varia natura».

Da quelle strettamente legate alla crisi economica, come moratoria mutuo o sospensione dei prestiti, a quelle più ordinarie per le quali, però, Valeria non può trovare più l’abituale supporto, essendo state chiuse la maggior parte delle filiali sul territorio. «In due settimane non solo si è stravolto lo scenario lato clienti, ma ovviamente anche lato banca – spiega -. Il giorno che sono andata a prendere il pc portatile di cui mi ha dotata la mia azienda per permettermi di lavorare in modalità smart, mi sentivo veramente smarrita. La città mi è sembrata letteralmente trasfigurata e il mio ufficio irriconoscibile: grigio, spento, semivuoto e le poche persone ancora in sede indossavano la mascherina. Nessuno nei balconi per la consueta pausa caffè, niente chiacchiericci davanti gli ascensori». Quando va via da quel posto che d’improvviso non le sembra più così familiare, ha la testa piena di novità, applicativi da usare, nuovi servizi e procedure da adottare. «Mi sono sentita confusa e demoralizzata», rivela. L’ultimo weekend prima del telelavoro passa studiando tutte le novità di cui, da quel momento, dovrà necessariamente tener conto.

«La prima ora è stata di tensione assoluta. Il mio primo cliente mi si è aggrappato alla gola schiantandomi contro una realtà che non immaginavo nemmeno – racconta Valeria -. Lentamente e giornalmente ho imparato a scoprire tutto il nuovo che questa esperienza mi sta donando. Una clientela completamente stravolta, in cerca di contatto umano, di una parola di conforto, di rassicurazioni ancor prima che di informazioni. Estremamente più disponibile alle attese in linea, che diventano a volte un pretesto per scambiare due chiacchiere, sfogarsi e ricevere una carezza virtuale». Ma a cambiare non sono solo quei clienti che in quella voce dall’altra parte del telefono trovano un appiglio a cui aggrapparsi. Anche i colleghi non sembrano più quelli di una volta, compresi quelli mai visti o sentiti prima. «Ho trovato colleghi completamente rinnovati. Esattamente come me, alle prese con procedure mai applicate prima d’ora, confusi, stanchi, inermi e preoccupati. Ma molto più propensi ad aiutare, ascoltare, a spendersi per inventarsi soluzioni acrobatiche pur di tranquillizzare o aiutare un cliente – dice -. L’emergenza ha catalizzato una umanità fortissima, a dispetto delle tante testimonianze di conflitto, razzismo e separatismo a cui assistiamo su larga scala».

«La routine, spesso annoiata e passiva di prima, ha spalancato le porte a un ribollire di emozioni e di vitalità – continua -, alla volontà caparbia e intimamente sentita di risolvere ad ogni costo la problematica del cliente in linea e di far sentire al collega, magari in pienissima zona rossa, che gli sei solidale e riconoscente per il suo contributo. Improvvisamente sono saltate le barriere e i confini tra nord e sud, per ritrovarci tutti “colleghi in trincea” che remano con ogni forza per salvare quanti più clienti possibile». Certo, le criticità ci sono, in qualcosa si inciampa, anche di continuo. E non mancano i momenti in cui torna la confusione o in cui, a un certo punto, a offuscare tutto ci pensa la stanchezza. «Ma posso affermare con certezza che anche questi hanno un sapore completamente inedito – continua -. E quando ho sentito all’altro capo della mia cuffia un collega domandarmi “Come stai tu?” ho provato un moto di gratitudine e di commozione che mi ha fatto toccare con mano il grande dono che questa esperienza surreale sta facendo a ciascuno di noi».

«Sento che questo momento, così complesso e disperato, rappresenta al tempo stesso una grande opportunità per noi. Per ritrovare la nostra umanità, per riscoprire il valore delle famigerate “piccole cose” che troppo spesso bistrattiamo dandole per scontate. Per imparare il potenziale di un piccolo gesto, di un’attenzione o di una parola gentile, che oggi come oggi rappresenta un balsamo miracoloso sulle ferite sanguinanti di tutti noi». Perché chiunque, in questo momento, sta a modo suo vivendo e affrontando la stessa emergenza, lo stesso buio. «Nel mio piccolo, ho portato con me il dono prezioso dei tanti scambi umani che, a livelli diversi, sto avendo il privilegio di sperimentare, e sono certa che tutto questo segnerà profondamente anche nel futuro il mio approccio umano verso il lavoro e verso i colleghi. Questo momento – dice ancora Valeria – mi sta insegnando che “servire un cliente” significa metterci il cuore sempre, istante dopo istante, empatizzare e non accontentarsi di risposte standardizzate. Significa non limitarsi a seguire pedissequamente la procedura automatizzata ma spendermi un attimo in più. Significa non dimenticare mai che “siamo umani” e abbiamo a che fare con altri “esseri umani” dai quali possiamo imparare e ricevere moltissimo, soprattutto quando ci stiamo spendendo per loro».

Nessuno, né Valeria né i suoi colleghi, può immaginare cosa esattamente sarà quel dopo che in tanti agognano, impossibile fare previsioni, impossibile sapere come saremo una volta riavuta indietro la nostra normalità. «Tra i tanti slogan ed hashtag a cui ci siamo più o meno tutti aggrappati in questo periodo di grande smarrimento – riprende -, il mio preferito, con cui mi identifico fortemente, è #proudtobehuman. Il mio primo cliente, per ripartire “in leggerezza”, aveva il bancomat guasto. Aveva necessità assoluta e urgente di prelevare. Doveva pagare le onoranze funebri per la sua mamma, morta sola in ospedale la settimana prima, e contemporaneamente aveva il figlio ventenne attaccato a un respiratore. E doveva prelevare». L’uomo, a causa di un blocco della sua banca virtuale, non riusciva a recuperare un codice pin fondamentale per proseguire le sue operazioni, da qui la necessità di quella telefonata a un operatore della banca che potesse aiutarlo. Dall’altra parte del telefono ha trovato Valeria.

«Ho raccolto da lontano disperazione, lacrime e ansia – torna a dire -. Gli ho chiesto di attendere in linea per darmi il tempo di risolvere il problema. L’ho guidato passo dopo passo. Piangeva ed eseguiva alla lettera le mie istruzioni. Gli ho insegnato in linea come fare un prelievo smart dall’atm senza usare il bancomat». L’uomo a un certo punto smette, però, di piangere. E si concentra su quella voce all’altro capo dell’apparecchio che, operazione dopo operazione, lo sta aiutando a risolvere ogni problema. Restano al telefono per un’ora e venti minuti, prima di completare tutto. Un tempo enorme, durante il quale Valeria non lascia mai solo quell’uomo tanto disperato che chiede solo una mano. «Poteva finalmente prelevare. E poteva finalmente fare quel maledetto bonifico alle onoranze funebri». Quei soldi, infatti, di cui ha urgente bisogno servono per pagare le esequie della madre morta una settimana prima.

«Non sapeva come ringraziarmi, e ha ricominciato a piangere. Gli ho raccomandato di uscire con la mascherina per prelevare e cambiare i guanti dopo il prelievo. Ho trovato un mondo stravolto. Clienti totalmente dipendenti da una voce all’altro capo del telefono. Gli stessi che normalmente ti apostrofano, sbraitano, o peggio ti liquidano in mezzo secondo con un infastidito “non mi interessa, addio”». È bastata una giornata di lavoro fatta di tutto questo, la prima di tante in realtà, per farle rendere conto di quanto di consueto e prevedibile in quella nuova formula di lavoro ci fosse ben poco. «Sembra di stare in trincea in mezzo ai moribondi, ai disperati, ai superstiti di un’ecatombe che si aggrappano alla tua voce come se fosse l’unico appiglio prima di affondare. Ho chiuso quel turno stravolta. Ma ho spento il pc incredibilmente grata per aver potuto dare un briciolo di aiuto a persone disperate e fiduciose, a esseri umani. Domani spero di servire più clienti. Di destreggiarmi più rapidamente tra le nuove procedure e sentirmi più lucida per trasmettere serenità e fiducia. Domani andrà meglio. Quando tutto sarà finito, sicuramente sarò una persona migliore».


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