Solitudine da Coronavirus? Adesso ci sono le fiabe al telefono «Pezzi della mia vita che diventano storie contro l’isolamento»

In Favole al telefono di Gianni Rodari a telefonare era il ragionier Bianchi. Costretto per lavoro a stare spesso fuori casa, tutte le sere chiamava la figlioletta che non riusciva ad addormentarsi senza prima aver sentito il papà raccontarle una storia. Da qui l’idea inusuale e affascinante di Alberto Nicolino, autore, storyteller e insegnante del Centro Fiaba e Narrazioni. «Ora che siamo tutti, o quasi, obbligati a stare a casa racconto storie al telefono per non addormentarci nelle solitudini delle nostre dimore». Un modo semplice e soprattutto diretto e immediato per combattere l’isolamento forzato che, passati i flashmob e le improvvisazioni sui balconi, comincia a farsi sentire in tutta la sua pesantezza. La persona, per definizione – o, almeno, per quello che ci racconta l’antropologia -, è attitudine relazionale. È, insomma, relazione. Una relazione che, è chiaro, non può passare sempre soltanto dal monitor di un computer o dallo schermo di un cellulare, ma che ha bisogno di un contatto vero, vivo.

Un contatto che, continuando a rispettare le restrizioni imposte per contenere il contagio da Covid, adesso è più possibile che mai. Grazie alla voce di Alberto e ai suoi racconti per telefono. Il metodo per prenotare la propria storia è semplicissimo: si può prenotare una fiaba mandando un messaggio sulla pagina Facebook dedicata all’iniziativa o in quella personale dell’autore, indicando il proprio nome, il numero di telefono su cui si desidera essere contattati e una brevissima descrizione di chi ascolterà la narrazione. Scelta una data e un orario, allo scoccare di quell’appuntamento arriverà la telefonata del narratore: «Rispetto al testo di Rodari, qui la situazione è un po’ diversa – spiega -. Io non sono costretto a stare fuori casa come il ragionier Bianchi, ma al contrario a stare a casa come tutti, non chiamo perché qualcuno non riesce a dormire, al massimo forse per non addormentarci tutti in questa clausura forzata. L’idea nasce su questa ispirazione, e poi nasce anche perché io ho sempre raccontato storie, scrivendole o narrandole a voce, e istintivamente mi è venuto di farlo anche dal chiuso della mia casa, ma istintivamente mi è venuto anche di salvaguardare il rapporto con le persone».

Certo, avrebbe potuto anche limitarsi a scriverle, queste storie. Approfittando dell’isolamento domestico cui anche lui è costretto, come tutti. «Sarebbe stato più agevole mettermi nel chiuso della mia stanza, ma invece forse adesso c’è bisogno di altro, io stesso ho bisogno di altro. E quindi mi sono chiesto: come narrare delle storie come si fa a teatro, salvando un pezzo del teatro, quella piccola parte che ne è il cuore, cioè il rapporto con le persone? – si domanda -. Al telefono, mi sono detto. Ovviamente devi rinunciare a quasi tutto il pubblico, ne salvi uno, due o tre, però si salva la relazione, quindi è un rapporto ancora vivo, non in streaming, non registrato». E così ecco che Alberto telefona. Ma prima, quello che chiede è una breve descrizione, una sorta di profilo della persona cui sarà destinata la storia. Ed è sulla base di quel profilo, ma non solo, che l’autore sceglie cosa raccontare. Che non è detto sia necessariamente qualcosa proveniente dal suo vasto repertorio di fiabe. «Scegliere la storia è una parte del lavoro molto bella, visto che lo faccio sulla base di questo piccolo profilo – rivela -. Poi telefono, invito al silenzio e all’ascolto, e inizio il racconto».

Nel mezzo, però, anche un vero e proprio contatto tra narratore e ascoltatore. «Domando come sono le persone in casa, dove sono sedute, com’è la luce, cerco di immaginare la scena in modo da poter essere in qualche maniera anche io lì insieme a loro e poi inizio a raccontare o a leggere e poi alla fine ci salutiamo. Ci sono magari delle risate, delle piccole emozioni, degli scambi, spesso qualcuno mi dice che vorrebbe prenotare le fiabe per qualcun altro. Molti, infatti, mi contattano per mandare una storia a qualcuno, per regalare una storia a qualcuno, nei tempi in cui siamo costretti a stare a casa questa cosa funziona, è un regalo caldo, un regalo vero, inusuale e originale, e molti scelgono di farlo tramite me – racconta -. Non necessariamente si tratta di fiabe, che conosco molto bene, anche perché spesso sono più adulti che adulti con i bambini, finora almeno, quindi c’è un bisogno trasversale».

Tutti possono prenotarsi. Tutti possono ricevere una storia o farne dono a qualcun altro. «Io chiedo un’offerta libera, non c’è un prezzo del “servizio”, anche perché è un tempo difficile, magari c’è qualcuno che se la passa proprio male – dice -, io chiedo un’offerta piccola, ma non è appunto obbligatoria. Invito a farla perché il lavoro si accumula un po’, io sto investendo buona parte del mio tempo in questa cosa, avere un minimo di ritorno è fondamentale». Intanto, malgrado l’iniziativa sia recente, le richieste non sembrano mancare. E nemmeno telefonate e ascoltatori che alla fine restano nel suo cuore. «Sicuramente non dimenticherò la chiamata fatta a una giovane coppia, stava facendo il bagno in una vasca al centro della stanza, l’ho immaginata come una scena in stile holliwoodiano, mentre si rilassavano stavano lì ad ascoltare la mia storia. Mi ha colpito questo prendersi cura, anche perché lei è incinta, il prendersi questo momento per ascoltare il mio racconto. Tra l’altro lei è una persona che conosco e che non vedevo da tempo, praticamente l’ho ritrovata al telefono». 

«C’è stata poi un’altra donna che era più che emozionata, era estremamente commossa, io ero una persona sconosciuta dall’altra parte del telefono ma era il segno che quella storia era arrivata da qualche parte. Poi ricordo – svela ancora – di un’anestesista, mestiere tra i più delicati in questo momento, a cui la storia l’hanno invece regalata: all’inizio era un po’ spiazzata e poi invece era molto felice e sollevata. E poi ci sono diversi bambini, tutti meravigliosi, felici, attenti, la loro vitalità arriva a bomba anche dall’altra parte del telefono. Mi ricordo di Andrea, di Flora, delle loro voci e delle loro reazioni molto belle, perché i bambini riescono benissimo a seguire una storia da una voce». Ma non sono solo le donne e le mamme a prenotare le storie di Alberto. «In un paio di casi ci sono stati anche due uomini, due padri, che per la festa del papà erano coi loro bimbi e mi hanno chiamato – racconta -. Un’altra cosa molto bella è che una persona, che lavora nella ristorazione, che mi ha detto che mi vuole ripagare in bottiglie di vino». Le sue storie viaggiano soprattutto a Palermo e in Sicilia. Ma sono arrivate anche in Toscana, a Milano, a Parigi, a Londra e arriveranno a breve anche a Los Angeles

E Alberto? Cosa rimane, alla fine di ognuna di queste telefonate, proprio a lui che sta combattendo l’isolamento, non solo quello altrui, regalando emozioni? «Per me in questi giorni è stato abbastanza faticoso organizzare tutto, non lo nascondo. Però la cosa più importante è che questa cosa mi dà la possibilità di vivere questa situazione di sconvolgimento della nostra vita in modo attivo e creativo e attraverso le mie competenze e la mia storia – spiega -. Perché poi quello che racconto sono storie anche mie, sono un pezzo di vita mia, quindi metterle a disposizione, in comunicazione in questo momento vuol dire mettere una parte della mia vita a disposizione per gli altri ma anche per me, mi dà un ruolo attivo in questa situazione eccezionale. E poi, ancor di più, penso che proprio in questo momento in gioco ci sono disuguaglianze molto forti: chi vive in una casa di 40 metri quadri con due bambini, chi perde il lavoro, insomma la barca non è esattamente la stessa di chi uno stipendio ce l’ha assicurato o di chi è ricco e vive in un attico. Sono differenze che c’erano anche prima, ma che ora diventano feroci in qualche modo, e quindi mettere queste storie a disposizione di qualcuno che magari ha più bisogno mi fa molto piacere».

Insomma, per tutti quelli che in questo momento hanno bisogno di una voce, dall’altra parte della cornetta possono trovare quella di Alberto Nicolino, che all’occorrenza si fa messaggero di chi la storia vuole regalarla a qualcuno di caro, per fare giungere a destinazione «quell’abbraccio che per ora non ci possiamo dare».


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