Defr, cosa c’è dietro lo scontro Musumeci-Savagnone Nella relazione della Corte una bocciatura del documento

I proverbiali tarallucci e vino ci sarebbero stati, stando al racconto dei presenti in commissione bilancio all’Ars lo scorso 18 febbraio, quando la Corte dei Conti è stata convocata per la relazione sul Defr 20/22, il documento economico di programmazione triennale esitato dalla giunta di governo a fine 2019 e ancora in discussione negli organismi parlamentari di merito.

Ma al di là del clima conviviale nel quale si è svolta l’audizione, la relazione presentata dalla magistratura contabile sul documento esitato dalla giunta è stata l’ennesima stroncatura delle politiche economiche del governo. Trentasette pagine in tutto, in cui nero su bianco si legge come i giudici della Corte dei Conti considerino il Defr «ancora ben lontano dal modello ideale tracciato dal legislatore, mancando infatti, anche quest’anno, di elementi sostanziali per poter espletare pienamente le proprie funzioni nel processo di programmazione di bilancio».

«In primo luogo – sono ancora le motivazioni che si leggono nella relazione -, permane la difficoltà di raccordare gli obiettivi di politica economica, definiti quantitativamente in termini di Pil programmatico, alle politiche di governo regionale. In secondo luogo, non appare adeguatamente sviluppata la seconda sezione, dedicata all’analisi sulla situazione finanziaria della Regione, che manca di fatto dei quattro elementi essenziali prescritti dai principi contabili, mentre il paragrafo dedicato alla copertura del disavanzo risulta comprensibilmente datato rispetto ai recenti sviluppi conseguenti alla parifica del rendiconto 2018». Il riferimento temporale è legato al fatto che il Defr ha ricevuto l’ok dell’esecutivo regionale lo scorso 5 novembre, mentre la pronuncia della Corte dei Conti sul rendiconto 2018 è stata successiva, il 13 dicembre 2019.

Ecco perché i giudici contabili aggiungono che «il quadro tendenziale di finanza pubblica» insieme alla «metodologia adottata dall’amministrazione regionale per la sua costruzione» hanno l’effetto di sottrarre al documento «effettiva attendibilità e utilità». Di più, i giudici sottolineano che «il quadro rappresentato è la riproposizione degli equilibri di bilancio sulla base delle previsioni aggiornate alla data di elaborazione (dunque il 5 novembre, ndr), non fornendo quindi alcun elemento di valutazione circa la manovra correttiva da adottare che viene sott’intesa come non necessaria».

Insomma, oltre l’aria amicale che qualcuno dalle parti della maggioranza aveva fatto filtrare, le carte ancora una volta dicono altro. Sarebbe questa la ragione per cui, dalle parti della Corte dei Conti, si sarebbe saltati dalla sedia davanti ad alcune dichiarazioni che il governatore ha rilasciato a La Sicilia un paio di giorni fa. La bolla, infine, è esplosa ieri pomeriggio, con una nota della presidente della sezione di Controllo della Corte dei conti per la Regione Siciliana, Luciana Savagnone, che ha replicato alle parole di Musumeci.

«Ho letto con stupore e indignazione – ha scritto Savagnone – le dichiarazioni rese dal presidente Musumeci nel corso di un’intervista in cui afferma per ben due volte Mi rifiuto di esprimere valutazioni sulla Corte dei conti” e si lascia andare, subito dopo, a considerazioni che insinuano dubbi sulla correttezza dell’operato di un consigliere della Sezione regionale di controllo, il quale non sarebbe “al di sopra di ogni sospetto” per essere stato un ex assessore di una giunta di centrosinistra nel Comune di Palermo».

«Tengo, anzitutto, a precisare – ha aggiunto Savagnone – che le illazioni e le infamanti affermazioni, se pur dirette al collega, sono di fatto rivolte all’intera sezione di Controllo che mi onoro di presiedere, visto che il contenuto di ogni deliberazione viene discusso e approvato in Camera di consiglio e il successivo elaborato scritto porta la firma di ciascun magistrato relatore-istruttore e, naturalmente, la mia, quale presidente della Sezione. Il presidente Musumeci, quindi, ove avesse voluto lamentare che le deliberazioni emesse dalla Sezione fossero frutto di motivazioni diverse da quelle convenienti a un organo magistratuale, imparziale ed estraneo alle logiche politiche, avrebbe dovuto rivolgere le sue critiche direttamente a me».

Tra l’altro la presidente della sezione di controllo ha anche evidenziato come quel parere fosse frutto di un’esplicita richiesta da parte della commissione Bilancio dell’Ars, perché il Defr è «un documento contabile che non è direttamente sottoposto al controllo». Savagnone ripercorre l’iter che ha seguito l’esame dei documenti per arrivare alla relazione, convocando «i dirigenti generali della Regione in adunanza, alla quale anche l’assessore al Bilancio era invitato a partecipare».

«L’insofferenza – prosegue Savagnone – del presidente Musumeci in merito alle definitive conclusioni adottate della Sezione su alcune delle problematiche affrontate, non tiene, quindi, in debito conto che gli era stata offerta ogni possibilità di esprimere le sue valutazioni sul contenuto del documento contabile in esame. Invero, nessuna smentita o rettifica sul merito delle osservazioni è stata udita, ma soltanto uno sgradevole tentativo di delegittimazione di un collegio e di un magistrato che, con la massima onestà intellettuale, ha svolto e svolge con onore le sue funzioni».

La replica di Musumeci non si è fatta attendere: «Dal tenore della nota della presidente Savagnone comprendo che è insorta in uno sgradevole equivoco. Nel dire che non intendo esprimere apprezzamenti sulla Corte, appariva chiaro che intendevo ribadire un concetto che mi è molto caro: le magistrature e le loro decisioni non si giudicano, ma si rispettano. Quanto al resto, penso sia mio diritto sostenere, come ho sostenuto, che esistono profili di opportunità indiscutibili di cui tutti, come la politica, dovrebbero tenere conto. In questo senso, mi stupisce molto che si sia voluta intendere la mia dichiarazione come un attacco alla Corte. Nessuno ha bisogno di insegnarmi che le Istituzioni pubbliche di rispettano. E si rispettano tutte, anche quelle – ha concluso Musumeci – espresse dal voto popolare».


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