«È un discorso un po’ da mafioso quello che ho fatto» Il pm Petralia spiega le conversazioni con Scarantino

«Sì, lo sapevo che il telefono di Vincenzo Scarantino era sottoposto a intercettazione, c’era anche con provvedimento richiesto da me, in un periodo che dovrebbe andare da dicembre ’94 a maggio-giugno ’95. Come spesso si fa, serviva per verificare gli aspetti più critici della gestione, termine infelice, processuale di Scarantino, per avere sempre la possibilità di monitorare tutti i tentativi della controparte mafiosa e criminale che tendeva a porre in essere per far recedere il collaboratore dal suo proposito collaborativo». Così Carmelo Petralia, davanti ai giudici di Caltanissetta, a proposito delle conversazioni di Scarantino intercettate mentre si trova in regime extra carcerario a San Bartolomeo al Mare. «Era un telefono abilitato solo alle chiamate in uscita, era installato per consentirgli di relazionarsi coi suoi famigliari, che al contempo erano largamente inseriti nel contesto criminale che Scarantino accusava – racconta il magistrato -. Per cui mi sembrava una cosa doverosa da compiere se attraverso questo veicolo potessero inserirsi in lui dei fattori che lo portassero a retrocedere, a incasinare le cose». Proprio in virtù, insomma, di quelle pressioni esercitate dalla famiglia, sia di Scarantino che dell’allora sua moglie, i magistrati si convincono delle necessità di ascoltare quelle conversazioni, per interrompere la sua collaborazione.

«Non si può sezionare un’attività d’indagine che dura anni e in cui ci sono momenti intricati, anche di dissenso e di valutazioni tra gli stessi pubblici ministeri, le forze di polizia», dice ancora. Intanto, tra le telefonate intercettate non ci sono solo quelle coi famigliari. Ma figurano anche alcune conversazioni con i  magistrati impegnati all’epoca sul caso. Scarantino aveva insomma i numeri della procura e dei singoli magistrati? «Ritengo di sì, ci sono telefonate effettuate ai pubblici ministeri, evidentemente ne disponeva, mi sembra difficile poter indicare in questo momento chi glieli avesse dati – dice -, non escludo che gli siano stati forniti anche dagli stessi magistrati o dalla stessa polizia per venire incontro a urgente necessità del soggetto di mettersi in contatto coi pubblici ministeri». Non ricorda però il numero fisso di Caltanissetta che gli viene mostrato: «No, potrebbe essere anche mio – ipotizza -. Io ho avuto interlocuzioni telefoniche con lui, ricordo che con alcuni collaboratori di giustizia fosse prevista la possibilità, almeno nel mio modo di operare, di mettersi in contatto con me, è una cosa che ho sempre ritenuto possibile». Infatti accade anche con Scarantino. Delle conversazioni intercorse tra i due, ce n’è una in particolare su cui oggi gli viene chiesto conto e ragione. Quella dell’8 maggio ’95.

«Ci dobbiamo tenere molto forti, siamo alla vigilia della deposizione… Noi verremo sicuramente giovedì, ci saranno anche il dottore Tinebra e probabilmente anche il dottor La Barbera, quindi tutto quanto lo staff delle persone che lei conosce e…lei potrà parlare con Tinebra, con La Barbera di tutti i suoi problemi – diceva il pm – così li affrontiamo in modo completo e vediamo di dargli una soluzione e contemporaneamente iniziamo un lavoro importantissimo che è quello della sua preparazione alla deposizione al dibattimento, mi sono spiegato Vincenzo? Si sente pronto lei?». Scarantino replica di sentirsi tranquillo. «Se ci sono delle difficoltà per qualcosa…mi diceva la collega…il posto dove normalmente ci siamo visti a lei non va bene…c’è un motivo specifico che lei mi può spiegare? … Siamo tranquilli su tutto il fronte? Se ci sono poi specifiche di cui parlare di persona e non con il telefono ci vediamo giovedì e le affrontiamo…noi probabilmente ci fermiamo anche venerdì, così abbiamo ampio spazio per affrontare tutti i discorsi, le cose che c’ha…i suoi pensieri, le sue preoccupazioni se ne faccia un bell’elenco preciso così li affrontiamo tutti una volta per tutte perché poi non dobbiamo più averne…mi sono spiegato?». Che significano queste frasi? «Io spiego a Scarantino che comunque non avrà da preoccuparsi perché avremo modo di incontrarlo, poi ci sono infatti due interrogatori successivi, per dargli i chiarimenti e le indicazioni, quello che io chiamo preparazione all’interrogatorio in dibattimento, il momento determinante del primo processo». 

Perché in questa conversazione cita La Barbera? «Ho venduto probabilmente una merce di cui non disponevo – spiega lui oggi -, era un riferimento così per tranquillizzare Scarantino, per gettare un po’ di tranquillante sulle sue ansie. Anche in questo senso ho citato Tinebra, che non mi sembra abbia partecipato all’interrogatorio. Sul concetto di preparazione, che è stato molto facile equivocare a livello mediatico, mi spiego: di fronte a collaboratori anche problematici come lui, significa rammentargli come deve comportarsi, non andare fuori dalle righe, evitare di replicare a eventuali provocazioni, insomma quel codice comportamentale che ogni buon collaboratore di giustizia deve avere – spiega -. Era il primo processo per la strage di via D’Amelio, il soggetto era problematico e non nel senso di falso o mentitore e ingannatore della giustizia italiana, ma nel senso che era un soggetto che aveva più criticità, quindi bisognava avere più attenzione nel prepararlo per una veritiera esposizione delle sue conoscenze». Ma perché dirgli addirittura di parlare, eventualmente di persona e non al telefono? «È un po’ un discorso da mafioso che ho fatto, cose di cui non parlare per telefono, me ne scuso – dice subito -. Riletto oggi chissà che impressione può dare. L’attività che veniva svolta, anche in casi meno problematici, è quella di mettere i collaboratori in una condizione tale da poter essere efficacemente assunti in sede dibattimentale», ribadisce

Perché, poi, quelle allusioni allo stress di Scarantino? «Nella visione che avevamo in quel momento del soggetto, era una fase certamente di stress, termine che non credo sia usato in modo improprio. Era un contatto per dargli degli ammaestramenti, che però non significa “devi dire questo o quello”, ma dare delle indicazioni per creare una condizione in cui superare quello stress in vista dell’incombente dibattimento». Tutte premure e rassicurazioni, insomma, quelle del pm per mettere il collaboratore a suo agio e fare in modo che affronti nella maniera più tranquilla possibile quel delicato momento processuale alle porte. Alla luce del fatto che «i turbamenti di Scarantino erano all’ordine del giorno». C’è un momento, però, in cui arrivano a tal punto da portarlo addirittura a un passo indietro entrato nella storia. Quello della famosa ritrattazione televisiva con Angelo Mangano del 26 luglio ’95. «Ritengo di poter dire adesso che c’erano stati dei prodromi che inducevano a ritenere che Scarantino fosse oggetto di pressioni che venivano dalla controparte criminale – ripete ancora Petralia -, in ogni caso nel momento in cui si è verificato questo abbiamo ritenuto opportuno procedere a verificare come stessero esattamente le cose e consentirgli semmai di ritrattare in sede giudiziaria e non in sede mediatica. C’era in corso il dibattimento di primo grado in quel momento. Ho chiesto di lasciare il dibattimento e di organizzarmi per andare a interrogarlo, in presenza dell’avvocato».

Che in realtà riceve l’avviso, ma non sarà presente. «Io non ricordavo nemmeno che fosse andata in onda, ricordavo che si era saputo di questa ritrattazione e che sarebbe andata in onda». Ci andò, in effetti, ma nella versione tagliata. Quella telefonata è stata registrata a ora di pranzo, intorno alle 14, la messa in onda avviene invece alle 18. Ma com’è possibile quindi che l’avvocato Falzone, difensore dell’epoca di Scarantino, abbia ricevuto alle 10 di quello stesso giorno la notifica per l’interrogatorio del collaboratore? Si era saputo prima dell’intenzione di Scarantino di ritrattare? «Io la notizia l’ho ricevuta mentre ero in udienza – dice lui -. Ricordo che mi posi il problema se era il caso di sequestrare il supporto magnetico e mi pare di aver disposto questo sequestro, se è stato eseguito ci deve essere un verbale di sequestro. C’è?», chiede il teste stesso. «No», gli risponde di rimando il pm Luciani. «E la cassetta dov’è?», replica ancora il teste. «E’ la domanda che avrei fatto io a lei», risponde ancora il pubblico ministero. «Non c’è un deposito di questo documento – chiarisce ancora Luciani -, il dato fattuale allo stato è che non è stato reperito né il decreto di sequestro né il contenuto della registrazione, di cui fu ordinata la cancellazione («e chi l’ha ordinata?» chiede ancora Petralia, che esclude di averla ordinata, in un clima che si fa quasi surreale in aula) addirittura nei master di Mediaset, che infatti ha cancellato quella registrazione. Ne è rimasta solo una copia fatta da un dipendente di Mediaset, ma solo della messa in onda, non di quella integrale in cui sarebbe stato menzionato Arnaldo La Barbera». «Ricordo solo di averne disposto il sequestro, ma non per evitare che andasse in onda ma perché corpo del reato», dice ancora Petralia. 


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