Dia, ridisegnata la mappa dei mandamenti di Palermo Droga e sale da gioco i nuovi business di Cosa nostra

Il racket delle estorsioni? Una fonte di finanziamento sempre attuale, ma insufficiente per la mafia. Questo almeno da quanto emerge dalla relazione della Dia al Parlamento, che ha ripercorso passo dopo passo il primo semestre dell’anno appena trascorso, scandito a Palermo e provincia da molte operazioni di polizia. Colpi importanti per le velleità di Cosa nostra, che hanno consentito non solo di smantellare alcune organizzazioni sul nascere, ma di focalizzare meglio i business e i mercati su cui la mafia palermitana tenta di aprirsi nuove forme di sostentamento. Al centro di tutto ci sono sempre gli strascichi di Cupola 2.0, con il tentativo maggiormente riuscito negli ultimi 25 anni – dall’arresto di Totò Riina a questa parte – di ricostituire la commissione provinciale di Cosa nostra. Un’operazione talmente importante, quella messa a segno il 4 dicembre del 2018, da consentire agli investigatori di ridisegnare anche la mappa dei mandamenti palermitani. Brancaccio che, anche grazie all’ultimo colpo subito, inferto ad aprile con l’operazione Maredolce, perde potere, secondo le dichiarazioni di alcuni nuovi pentiti e viene ora denominato mandamento di Ciaculli, che comprende anche la famiglia di corso dei Mille. Allo stesso modo il mandamento di Misilmeri diventa mandamento di Misilmeri-Belmonte Mezzagno, in virtù dell’ascesa della mafia del piccolo centro alle porte di Palermo. Una mafia che continua ancora a sparare, quella belmontese, di recentissimo scossa da una serie di arresti

Le novità più importanti riguardano comunque il fiorire del mercato degli stupefacenti. Un settore in cui la mafia palermitana ha negli anni perso smalto e contatti, tanto da non avere più la forza tale nell’approvvigionamento che l’aveva resa anche centro di smercio per altre associazioni criminali. Adesso la droga si importa e per questo all’interno dei mandamenti sono sempre più importanti figure come quelle dei fratelli Luisi, con Pietro, in particolarearrestato in latitanza dopo essere scampato alla cattura in due diverse operazioni, tra cui la stessa Maredolce, che si sarebbe fatto strada come uomo di fiducia non di uno, ma di più mandamenti, per cui avrebbe svolto il compito di corriere della droga che proveniva dalla Campania e in particolare dalla Calabria, visto anche il suo rapporto di fiducia con alcuni membri di spicco di una delle più note ‘ndrine della ‘ndrangheta calabrese. Droga che arriva anche dall’Est, in special modo dall’Albania e dal Nord, visti anche i contatti ripetuti tra i clan e la Germania e che finisce sulle piazze di spaccio, dove aumenta la richiesta di cocaina e dove prende sempre più piede la piaga del crack, acquistabile più a buon mercato e con effetti devastanti in termini di dipendenza e di salute psicofisica.

Altra ricca fonte di guadagno per Cosa nostra è rappresentata dal gioco d’azzardo. Secondo la Dia, infatti, la lente dei clan si sarebbe scostata dal gioco illecito e dal business delle scommesse clandestine, prendendo di mira anche il giro delle scommesse legali. «La penetrazione riguarda la gestione di slot machine, le scommesse sportive on line ed il fenomeno del match fixing – si legge – nonché l’apertura di sale gioco, agenzie e punti di raccolta scommesse. In tal modo, Cosa nostra non solo aggredisce questa nuova forma imprenditoriale, talora applicando il metodo estorsivo, ma si attiva anche per assumere il controllo diretto dei centri scommesse più avviati. Le attività investigative fanno emergere come importanti imprenditori del settore, con l’appoggio delle famiglie mafiose locali, impongano il loro brand, dietro al quale spesso si celano società di diritto estero. I volumi d’affari risultano moltiplicati dal sistematico ricorso a piattaforme di gioco, spesso allocate all’estero, predisposte per realizzare frodi informatiche. Viene così creato un sistema parallelo a quello legale, non tracciabile, elusivo della normativa italiana in materia fiscale ed antimafia».

E legali sono anche i settori dell’imprenditoria su cui Cosa nostra investe i propri soldi, una lavanderia spesso redditizia, anche perché si trova spesso a operare in un regime di concorrenza fortemente limitata dalle pressioni e dalle minacce che caratterizzano il sistema mafioso. «Da segnalare l’esecuzione di un decreto di sequestro preventivo, per un valore di circa 2 milioni di euro, eseguito dalla Dia il 17 aprile 2019, nei confronti di un soggetto indagato per avere fittiziamente intestato a un prestanome le quote societarie e l’amministrazione di due rinomate società commerciali di Palermo, operanti nel settore della ristorazione e della pasticceria» scrivono gli investigatori, e ancora, «un’operazione di maggio 2019 ha, invece, disvelato gli illeciti investimenti di un mafioso della famiglia dell’Acquasanta in un’attività di commercializzazione di caffè, anche con l’imposizione del prodotto ai gestori di rivendite e bar. Nella circostanza sono stati sequestrati due complessi aziendali. Il contrasto all’infiltrazione del tessuto economico si è realizzato anche attraverso l’opera del Prefetto di Palermo, che ha emesso ben ventotto provvedimenti interdittivi nei confronti di numerose società, per le quali è stato ritenuto concreto ed attuale il rischio di infiltrazione o condizionamento mafioso».

E le mire imprenditoriali della Cosa nostra palermitana si sarebbero anche spinte oltre lo Stretto, fino al profondo Nord-Est d’Italia, nel Veneto, dove «emblematico, in tal senso, il caso di un pregiudicato che, rientrato in Sicilia dopo aver soggiornato per lungo tempo in Veneto, è stato arrestato a fine del 2018, in quanto aveva preso parte al tentativo di ricostruzione della “cupola” di Palermo» e persino in Trentino: «Anche quello della provincia di Gorizia è un territorio contraddistinto da importanti attività commerciali, in primis i cantieri navali di Monfalcone (GO), dove si sono registrate, in passato, evidenze circa gli interessi di soggetti collegati alla criminalità organizzata. Sono, infatti, risalenti al 2013 le risultanze di investigazioni svolte dalla Dia di Palermo che hanno disvelato tentativi di infiltrazione, in diversi appalti del polo cantieristico, di un imprenditore di Palermo vicino a Cosa nostra. Si tratta dell’Operazione Darsena 2, con la quale vennero arrestati 7 soggetti ritenuti responsabili di associazione di tipo mafioso e di reimpiego di capitali illeciti».

Ma il primo semestre del 2019 è stato anche caratterizzato dall’operazione che ha certificato il ritorno in pista, oltre che in patria, degli scappatiQuegli Inzerillo che hanno dovuto spostare le proprie mire espansionistiche oltre oceano, negli Stati Uniti, dopo essere usciti con le ossa rotte dalla seconda guerra di mafia, quella che negli anni Ottanta segnò l’inizio del dominio dei Corleonesi. Complice la morte di Riina e un clima incerto e conflittuale all’interno dei mandamenti, disposti anche a scendere a compromessi pur di ritrovare un’unità che fosse sinonimo di potere, in molti sono tornati dagli Usa. Tuttavia, come si legge ancora nella relazione, «le descritte conflittualità interne all’organizzazione, rimaste insolute a causa dell’azione di contrasto investigativo, potrebbero essere ulteriormente esasperate dai nuovi rapporti di collaborazione con la giustizia. A tal proposito, si segnala la commissione di due omicidi, con modalità esecutive simili, avvenuti nel semestre proprio a Belmonte Mezzagno. Il primo, il 10 gennaio 2019, di un soggetto convivente con la figlia di un affiliato alla locale famiglia mafiosa, assassinato nel 1994 nell’ambito di una faida per la reggenza della famiglia; il secondo, l’8 maggio 2019, di un cugino del reggente del predetto mandamento».

Conflittualità cercate da appianare anche dai vecchi boss usciti dal carcere per fine pena, visti spesso come unica ancora di salvezza per famiglie mafiose e mandamenti, sovente delusi dall’operato delle nuove leve. «Periodicamente, a Palermo e nella provincia, gli equilibri mafiosi sono influenzati dalle scarcerazioni degli affiliati: si tratta sovente di soggetti anziani cui, indipendentemente dalla carica ricoperta e pur in assenza di una formale nomina, è stata e viene riconosciuta una pregnante influenza sul territorio. È frequente che, dopo essere stati scarcerati, gli stessi si dedichino alla gestione degli affari più importanti e alla riorganizzazione delle consorterie mafiose di appartenenza decimate dagli arresti. Ciò nel tempo si è, peraltro, reso necessario per contenere un diffuso malcontento verso la gestione di capi e reggenti, specie se emergenti e giovani, che non sempre godono di unanime riconoscimento».


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