Firme 5 Stelle, dodici condanne e due assoluzioni Un anno e dieci mesi di carcere per Riccardo Nuti

Pioggia di condanne sul Movimento 5 stelle per la sentenza sulle firme false presentate in occasione delle elezioni comunali del 2012, firme necessarie alla presentazione della lista guidata dall’allora esponente grillino Riccardo Nuti, condannato oggi in primo grado a un anno e sei mesi di reclusione con pena sospesa. Stessa pena anche per le deputate nazionali Giulia Di Vita e Claudia Mannino e per gli attivisti Stefano Paradiso, Samanta Busalacchi, Alice Pantaleone e Toni Ferrara. Escluse le aggravanti per l’avvocato Francesco Menallo e per il cancelliere che materialmente ha depositato e approvato le firme raccolte, Giovanni Scopello, condannati entrambi a un anno e sei mesi. Mano più leggera invece per gli ex deputati regionali Claudia La Rocca e Giorgio Ciaccio, i primi a collaborare spontaneamente con i magistrati, ricostruendo la dinamica di quella notte. Per loro la pena è di un anno. Assolti invece per non avere commesso il fatto gli attivisti Riccardo Ricciardi e Pietro Salvino

Le indagini, condotte dai magistrati Dino Petralia e Claudia Ferrari, si erano concluse a febbraio 2017. Seguite a ruota dalla perizia effettuata sui pochi campioni messi a disposizione dagli indagati che avevano deciso di collaborare con gli inquirenti. Le compatibilità emerse si erano fermate infatti a quattro persone, ma i periti nominati dalla Procura avevano sottolineato che la ricopiatura proveniva da più mani. «Aspettiamo le motivazioni tra 90 giorni», dicono gli avvocati dei condannati, che tuttavia vanno incontro alla prescrizione, i cui termini scadono il mese prossimo, troppo presto per andare in appello. Sarà curioso vedere se la prescrizione sarà accettata o meno da attivisti e militanti pentastellati coinvolti, vista la battaglia in corso tra gli scranni del parlamento nazionale, dove il M5s è impegnato nella sua battaglia proprio contro la prescrizione. Intanto, per l’avvocato Valerio D’Antoni, difensore di Claudia La Rocca, la sentenza di oggi «conferma l’assoluta attendibilità delle dichiarazioni e del contributo che lei ha fornito agli organi inquirenti. Facendo luce su quanto accaduto e sui responsabili della falsificazione delle firme. La differenza di pena con gli altri imputati dimostra proprio questo – commenta -. La Rocca ha meritato il riconoscimento delle circostanze attenuanti. Non sta in piedi invece quanto sostenuto da Nuti, Busalacchi e gli altri, cioè che le accuse fatte nei loro confronti sarebbero state un piano per eliminarli dalla scena politica. Quanto dichiarato alla procura in sede di indagini, alla luce di questa sentenza, si è rivelato tutto vero».

I quattordici imputati rispondevano, a vario titolo, di falsificazione materiale e falso materiale. I fatti risalgono alla notte del 4 aprile 2012 quando, rivedendo le firme da presentare per le Comunali, qualcuno si sarebbe accorto di un errore di compilazione. Secondo la ricostruzione dei magistrati, il parlamentare nazionale ed ex candidato sindaco Riccardo Nuti insieme a un gruppo ristretto di attivisti, dopo essersi accorti di un errore di compilazione – il Comune di nascita di un sostenitore che aveva firmato -, avrebbero deciso di ricopiare le sottoscrizioni ricevute per correggere l’errore, scongiurando così il rischio di invalidare la presentazione delle candidature. Le indagini scattarono in seguito a un servizio mandato in onda dalla trasmissione di Mediaset Le Iene, a cui si era rivolto per denunciare l’episodio un ex attivista pentastellato, Vincenzo Pintagro, che all’epoca avrebbe assistito alla ricopiatura ma senza denunciare nulla alla stampa.

«Quella sera sono andato via a mezzanotte, il giorno dopo in sede trovai i resti di un bivacco, scatole di pizza e bottiglie varie, ho capito che era stata una serata lunga. Chiesi spiegazioni a Giulia Di Vita, che mi rispose che avevano passato tutta la notte a controllare le firme una per una e io mi fidai di quella risposta», aveva raccontato a processo nel 2018 lo stesso Pintagro. Ma lui non sarebbe stato il solo, sulla base di quanto emerso durante le udienze di questi anni. Un altro dei testi, infatti, citato dall’accusa è stato Francesco Vicari, anche lui ex attivista del Movimento 5 stelle. «Ma come ti sembra, uguale o diversa? Meglio o peggio?». Sarebbero state di questo tenore le frasi che avrebbe sentito quella fatidica sera nella sede di via Sampolo. «Ho visto che stavano copiando. Non so se fossero firme o una lettera o la Divina commedia. O, meglio, non lo sapevo in quel momento – aveva raccontato ancora il testimone -. Ma si capiva che stavano copiando qualcosa, confabulavano fra di loro, si confrontavano. Ricordo con certezza Giulia Di Vita, Samanta Busalacchi e Claudia La Rocca. Non sono certo della presenza anche di Claudia Mannino, sono passati sei anni da allora».

Vicari, insomma, lì per lì non capisce a pieno a cosa sta assistendo. La scena, poi, dura un attimo. Riccardo Nuti, presente anche lui nella stanza secondo la sua ricostruzione, lo avrebbe invitato subito a uscire, lui lì non poteva stare perché era la segreteria, non era posto per i semplici sostenitori del Movimento. «Zitte! Non lo vedete che c’è il fratello di Simona Vicari? (esponente politico del centrodestra siciliano ndr) – Esci dalla stanza», la frase che Nuti avrebbe pronunciando vedendolo entrare nella stanza in cui stava avvenendo, sempre secondo la ricostruzione del testimone, la ricopiatura delle firme. «Ho visto materialmente effettuare questa ricopiatura. Ma esattamente in quel momento non mi sono reso conto di cosa effettivamente stavano ricopiando, sono uscito fuori dalla stanza, ho chiesto spiegazioni fuori e ho capito che sapevano tutti cosa stava succedendo là dentro».

Quanto accaduto quella sera, infatti, secondo Vicari e anche altri testimoni chiamati dall’accusa, sarebbe stato un fatto noto, «era argomento conosciuto da tutti gli attivisti, se ne parlava quasi apertamente alle riunioni – spiega proprio Vicari -. Io ero visto come una specie di infiltrato, infatti si cercò di allontanarmi». Ha anche riferito, sempre in aula, di un altro episodio particolare, accaduto durante l’ultima riunione a cui aveva preso parte, ad agosto 2012, nell’ufficio dell’avvocato Menallo, anche lui fra gli imputati: «Un giovane attivista di cui non ricordo il nome, mi prese a braccetto e mi disse di non andarmene, che le firme originali le aveva lui e che avrebbe fatto quadrare tutto». Una frase alla quale, lì per lì, non aveva dato troppo peso ma che un anno dopo riferisce alla Digos. Vicari ha raccontato anche dell’esistenza quasi di due fazioni all’interno del Movimento 5 Stelle palermitano: una era quella che comprendeva i sostenitori, l’altra invece era quella denominata nell’ambiente anello magico, e comprendeva quegli attivisti e personaggi pentastellati poi eletti a deputati. Quelli che contavano, insomma, e che prendevano tutte le decisioni.


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Stessa pena anche per le deputate nazionali Giulia Di Vita e Claudia Mannino. Mano più leggera nei confronti di Claudia La Rocca e Giorgio Ciaccio, i primi a collaborare con le autorità. Si attendono le motivazioni, ma il procedimento pare destinato alla prescrizione

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