Omicidio Aldo Naro, a uccidere non fu uno solo Nuove indagini, nuovi indagati e strane anomalie

Si va avanti. Questa la decisione del gip Filippo Serio sull’omicidio di Aldo Naro, il giovane medico ucciso la notte del 14 febbraio 2015 nella discoteca Goa. I genitori del ragazzo nel 2017 hanno presentato una denuncia per omicidio volontario contro ignoti. La Procura della Repubblica per ben due volte ha chiesto l’archiviazione, alla quale i legali della famiglia Naro, gli avvocati Salvatore e Antonio Falzone, si sono sempre opposti, chiedendo al contrario la prosecuzione delle indagini. Istanza accolta adesso anche dal gip. Proprio gli avvocati che rappresentano la famiglia, infatti, hanno sempre ipotizzato che ci potessero essere parecchi altri dettagli di quella sera ancora da portare alla luce, oltre a una serie di lacune investigative segnalate in questi anni. La loro tesi è sempre stata sin dall’inizio che quello di Aldo Naro fu un omicidio a tutti gli effetti, un «pestaggio a morte» a cui probabilmente avrebbero partecipato più persone. Non una semplice rissa, insomma. Reato contestato in più d’uno dei tanti filoni processuali che si è dipanato dalla vicenda.

Per la morte del giovane medico, infatti, si sono innescati più procedimenti differenti. Uno solo per omicidio, quello legato alla denuncia della famiglia. Due, invece, per rissa aggravata e favoreggiamento, uno in abbreviato e uno in ordinario, che è arrivato a sentenza lo scorso febbraio, condannando a due anni tre imputati. Ma affermando sostanzialmente una novità per cui la famiglia si batte da sempre: che a uccidere Aldo non sia stata una persona sola. Tesi condivisa adesso anche dal gip Serio, che ha addirittura ordinato alla procura di iscrivere nel registro degli indagati tre persone. Sono Pietro Covello, quella sera al Goa presente nelle vesti di buttafuori abusivo e tra i condannati di febbraio, e i due buttafuori regolari Francesco Troia e Gabriele Citarella. Quest’ultimo, tra le altre cose, sentito come testimone anche nell’ultimo procedimento con rito ordinario, durante il quale in aula ha dichiarato di aver colpito anche lui Aldo Naro. Dando praticamente una dichiarazione autoindiziante, come si dice in gergo, che però non ha sortito alcuna conseguenza. Fino ad ora infatti nessuno aveva pensato di indagarlo. Fatta eccezione, appunto, per la famiglia e gli avvocati Salvatore e Antonino Falzone, che da tempo segnalavano la presenza di più elementi utili per imboccare questa strada.

È uno dei motivi che hanno spinto la parte civile a presentare istanza di avocazione delle indagini alla procura generale. Perché lo scenario, così come si presenta adesso, racconta di un gip che dice alla Procura di continuare le indagini e di indagare tre persone. La stessa Procura che da cinque anni sostiene una ricostruzione molto diversa di quella sera e della morte di Aldo Naro. Costruendo un impianto accusatorio che, infatti, non ha mai previsto alcun coinvolgimento di persone maggiorenni nell’omicidio. L’unico imputabile, per i pm, è sempre stato Andrea Balsano, il buttafuori abusivo dello Zen all’epoca minorenne che si è autoaccusato del delitto, di aver insomma sferrato il calcio mortale, consegnandosi agli inquirenti e andando incontro a una condanna a dieci anni. Secondo la tesi accusatoria, inoltre, Aldo Naro si sarebbe accasciato per terra «a causa di una caduta accidentale» mentre scendeva le scale del privè dove era scoppiata la rissa. In quel frangente la vittima avrebbe ricevuto il calcio mortale del buttafuori minorenne abusivo, reo confesso. Un’impostazione per cui l’assassino c’è già e gli altri al massimo si indagano per rissa. Questo il filo di fatto seguito. Fino a oggi, almeno. Visto che adesso c’è un gip che stravolge totalmente questa ricostruzione.

Ma c’è dell’altro. A motivare la richiesta di avocazione delle indagini c’è anche la scoperta, da parte della famiglia Naro, della sparizione di una Tac effettuata sul cadavere del giovane medico. Un fatto piuttosto grave. La famiglia se n’è resa conto dopo aver nominato nei mesi scorsi due consulenti di parte: uno è un primario dell’ospedale Cannizzaro di Catania e l’altro un medico legale. Esperti che hanno visto le fotografie dell’autopsia convincendosi del fatto che non sia possibile che Aldo Naro sia morto per un solo calcio. Quelle immagini, secondo loro, parlerebbero chiaro e restituirebbero un corpo massacrato. Per sostenere la tesi che sia morto per più colpi sferrati da più soggetti i due consulenti hanno chiesto di poter visionare quindi la Tac del cranio fatta durante l’autopsia, per avere una conferma. Da qui parte la richiesta alla Procura, ma questo esame nel fascicolo del pubblico ministero non c’è, perché a quanto pare il consulente non avrebbe mai depositato il dischetto. Allora i due esperti si rivolgono al Policlinico che, in quanto struttura sanitaria, ha l’obbligo di conservare esami come questo per dieci anni. Ma l’ospedale dice che quella Tac non ce l’ha, l’hanno persa. 


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