Via D’Amelio e l’eterno copione dei «non ricordo» «Ormai sono passati 25 anni, non so cosa dire»

Nel ’92, dopo la strage di Capaci e quella di via D’Amelio, nel gruppo investigativo messo in piedi per indagare c’è pure l’agente Angelo Tedesco, prima in servizio alla Omicidi. Quello che, a sua insaputa, Scarantino chiama u francisi e che partecipa anche ai famosi sopralluoghi per Palermo col finto pentito. E di cui oggi l’ex agente sembra ricordare molto poco. «Io ero nell’autovettura di appoggio, stavo dietro insomma a quella dove c’era Scarantino – dice -. Di quei sopralluoghi mi ricordo la zona della Guadagna, altro non so, non ricordo strade, piazze, non sono di Palermo e da quella città sono andato via nel ’96. Sarà durata due orette quest’attività, in questa circostanza mi pare ci fosse La Barbera». E in altre? «Adesso non ricordo». E questa, nel giro di poco più di un’ora, è la risposta che ritorna più spesso. Tedesco non sa oppure non ricorda. Specie i commenti fatti all’epoca coi colleghi proprio sull’andamento e i risultati di quei sopralluoghi, di cui non ha alcuna memoria. Intanto, nel 2016 aveva negato di avere mai preso parte a un sopralluogo con finto pentito di via D’Amelio. Tre anni dopo ecco una versione diversa, con circostanze di cui si sarebbe ricordato solo di recente.

«Io ci tengo comunque a essere preciso – vuole sottolineare a un certo punto -. In questi tre anni ho cercato di ricordare il più possibile. Ho spremuto (le meningi ndr) più che possibile per cercare di ricordarmi. Fino a quell’epoca non ho neppure letto nulla sui giornali, solo dopo». E anche di quell’appellativo usato da Scarantino per riferirsi a lui avrebbe saputo proprio dalla stampa. «Anche oggi io non ricordo tante cose – insiste -, ma anche di altre indagini che ho fatto dopo, che ci posso fare? Prima di venire qui ho cercato di ricordami, ma la mia mente mi ha portato a tante altre cose» dice, quasi rammaricandosi davanti ai giudici di Caltanissetta, di fronte ai quali si celebra il processo a carico degli ex funzionari del gruppo Falcone-Borsellino Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo, accusati di calunnia aggravata. Eppure, a forza di pensarci e ripensarci, qualche dettaglio sembrerebbe riaffiorare nella sua memoria. Siamo a circa sette-otto mesi fa, tra questi c’è ad esempio la circostanza legata alla ritrattazione di Scarantino al giornalista Angelo Mangano. «Perché non ha pensato di raccontare i nuovi ricordi affiorati alla procura?», chiede il pm Luciani. «Non lo so, non c’ho pensato onestamente».

«Dottore non capisco perché lei ce l’ha con me – sbotta a un certo punto Tedesco, rivolgendosi al pubblico ministero -. Non è una cosa semplice, le indagini si sono fermate nel ’94. Io lì ero l’ultima ruota del carro, non spettava a me fare relazioni né chiedere a un superiore se lo avesse fatto o meno e per quale motivo». Rispetto al servizio di protezione e gestione di Scarantino, poi, ricorda – contrariamente a quanto risulterebbe dai registri dell’epoca – di essere stato con lui solo per «cinque-sei giorni, non più di una settimana, mica un anno. Stavo principalmente fuori, se entravo dentro casa sua era per qualche minuto, niente di più. Sono passati 25 anni fa, non so cos’altro dire, non posso certo ricordarmi i minuti esatti lì dentro». Ma quel era il senso di quel servizio alla luce, soprattutto, del fatto che sia per Scarantino che per Candura e Valenti era prevista già di base una vigilanza esterna? «Non lo so, era così e basta. Dovevamo stare lì per qualunque esigenza, se Scarantino avesse avuto bisogno di qualsiasi cosa, c’eravamo noi».

Insomma, è un servizio di sorveglianza ulteriore di cui oggi nessuno sa spiegare appieno il motivo o un servizio di altra natura? Qualunque cosa sia stato, Tedesco oggi e altri suoi colleghi prima di lui sembrano aver tutti dimenticato la maggior parte dei dettagli di quei turni fianco a fianco col picciotto della Guadagna. Intanto, alla luce di tutti i «non ricordo» e delle versioni diverse fornite da Tedesco, a fine udienza il pubblico ministero ha chiesto al tribunale la trasmissione degli atti alla procura di Caltanissetta «per le valutazioni di competenza», ipotizzando i reati di falsa testimonianza o depistaggio. La Corte si è riservata, dovrà decidere se aprire o meno un procedimento a carico dell’agente. 


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