Via D’Amelio, «ero lì ma non ricordo niente» I vuoti di memoria di chi sorvegliò Scarantino

«Scarantino? Mai nessun contatto con lui». A parte questo, non sono troppi i ricordi riferiti oggi a Caltanissetta dal vice ispettore Fabrizio Biasiato, sentito nell’ambito del processo a carico degli ex funzionari del gruppo Falcone-Borsellino Mario Bo, Matteo Ribaudo e Fabrizio Mattei, accusati di calunnia aggravata. In servizio alla questura di Imperia dal ’93, l’anno successivo è uno degli agenti incaricati di occuparsi di Vincenzo Scarantino, alloggiato con la famiglia in una villetta a San Bartolomeo a Mare. Ma lui è un agente scelto, all’epoca, che si occupa solamente della vigilanza esterna, in quella casa lui di fatto non ci entrerà mai. «I miei erano turni di sei ore, ricordo che i colleghi della questura erano responsabili del servizio di vigilanza esterna, svolto unitamente a dei colleghi del nucleo prevenzione anticrimine di Genova. Io ero l’unico della questura di Imperia. Non ricordo molto, tranne che eravamo posizionati in varie postazioni rispetto all’abitazione».

«Ci alternavamo – prosegue il vice ispettore -, eravamo dislocati in più punti all’esterno e circa ogni ora ci ruotavamo. Non eravamo mai meno di quattro. Scarantino aveva sempre la scorta quando si spostava, ma non sapevo molto di preciso, solo che era un collaboratore e che aveva a che fare con la strage in cui era morto il giudice Borsellino. Noi della vigilanza esterna non avevamo nessun rapporto con lui, assolutissimamente no, almeno io. Al massimo lo vedevo passare quando arrivava con la scorta o quando andava via, ma niente di più. Non entravamo mai nella sua abitazione, dovevamo solo fare vigilanza esterna e stare attenti a qualunque eventuale anomalia, da segnalare a un superiore». Non ricorda, tuttavia, quali disposizioni avesse ricevuto rispetto a chi entrava o usciva da quella casa, rispetto a ttti quelli che, diversi da Scarantino e dai suoi familiari, si avvicinavano a quella casa.

«Dietro il “non ricordo” ci arrendiamo, ma…non è stato un giorno, ma un servizio di quasi un anno, giravano solo attorno alla casa?», si interroga con tono però rassegnato un avvocato di parte civile, nel tentativo vano di sollecitare la memoria del teste, che continua a scuotere la testa e a replicare allo stesso modo. «Qui oggi non vedo nessuna faccia conosciuta», aggiunge poi il vice ispettore, guardando i volti delle persone in aula, dove sono presenti due dei tre imputati, seduti in prima fila davanti a lui. «Lì – chiarisce, infine, rispondendo alle domande – non ho mai visto né appunti né carte, niente. Come non ricordo di aver mai assistito ad alterchi verbali o fisici tra Scarantino e il personale». Mai niente, sembra quasi che non ci sia mai neanche stato davanti alla porta di quella villetta a San Bartolomeo a Mare. «Mario Bo? Non so neanche chi sia», dice infine. 

Quasi identici i ricordi sfumati del teste successivo, il sovrintendente capo in pensione Ferdinando Milo. Anche lui, nel periodo dell’ottobre ’94-luglio ’95 è in servizio alla questura di Imperia. «Ho fatto servizio di scorta ad alcuni collaboratori. Tra questi c’è stato anche Vincenzo Scarantino – spiega -. Mi ricordo di averlo acompagnato a Roma con altri colleghi». E cita i nomi di tre funzionari della mobile di Imperia, tirando in ballo poi anche «due colleghi siciliani». Siciliani di dove? «Non ne ho idea», dice subito. anche se anni fa parlò esplicitamente di colleghi di Palermo, perché? «Mi passò così per la mente, non sono sicuro – replica all’insistenza del pm -. Avevo quel flash, mi è venuto in mente Palermo e l’ho detto. Oggi confermo quella dichiarazione. In ogni caso, non ricordo le loro fattezze. Se dovessi rivederli adesso, non li riconoscerei».

E anche lui, malgrado il servizio di scorta durante il quale accompagnò Scarantino, dichiara di non aver mai avuto nessun contatto diretto con il collaboratore. Come mai, domanda ancora il pm. «Non lo so». Di quel giorno sono molti i dettagli, finiti in un verbale di servizio, che oggi lui non ricorda nemmeno. «Sono passati 25 anni», insiste più volte il teste, per giustificarsi. Nel documento a firma di un collega, quella giornata sembra essersi svolta andando subito, appena arrivati nella Capitale, negli uffici dello Sco, e poi a un incontro coi magistrati di Caltanissetta. Fatti di cui nei ricordi dell’ex sovrintendente non esiste tuttavia traccia. «Non so dove dovesse andare Scarantino quel giorno. Cioè, proprio non lo so. I colleghi della mobile e quelli di Palermo a noi non dicevano niente, perché non eravamo di quell’ufficio». Non ricorda nemmeno di essere andato, con quello stesso collaboratore, nell’aula bunker di Rebibbia in occasione di un processo. «Certe cose – insiste il teste – in ogni caso non le venivano certo a dire a me», tirandosi fuori.


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