Comune e Ars? Ok, ma non si sommano le indennità Rigettata richiesta Vicari, dovrà pagare 218mila euro

Non si può essere sindaco e deputato regionale e percepire entrambe le indennità. Rimane invariata la sentenza di primo grado dopo che i giudici della corte d’appello di Palermo hanno dichiarato inammissibile la richiesta di accedere al secondo grado di giudizio da parte dell’ex senatrice Simona Vicari, giunta fuori tempo massimo.

La vicenda risale al periodo tra il 1997 e il 2002 in cui Vicari era allo stesso tempo prima cittadina di Cefalù e deputata regionale all’Ars e per questo era stata già condannata in primo grado al pagamento di 218mila euro, oltre agli interessi e alle spese legali, in favore del Comune normanno. Il tribunale di Palermo nel 2014 aveva contestato che non poteva percepire l’indennità dovuta come sindaca insieme a quella di deputato regionale. 

Nel 2015, Vicari, si è appellata contro la sentenza di primo grado tentando di ribaltare la decisione. Il Comune di Cefalù, difeso dagli avvocati Giancarlo Pellegrino e Sandro Di Carlo, aveva eccepito, fin da subito, la scadenza dei termini per proporre appello poiché la sentenza di primo grado era stata notificata via Pec. I giudici di secondo grado hanno dichiarato inammissibile l’appello proposto dalla Vicari perché fuori termine, confermando la condanna dell’ex senatrice al pagamento. La notifica della sentenza, eseguita telematicamente dai difensori del Comune, rispettava tutti i requisiti di legge, l’appello proposto dalla Vicari è stato dichiarato così tardivo ed è stata confermata per intero la condanna di primo grado. 

«La vicenda non può dirsi definitivamente risolta e men che mai chiarita. La Corte d’Appello – dice Simona Vicari – non è entrata nel merito della controversia e ha rigettato l’appello perché sarebbe stato presentato fuori termine. Un errore procedurale che non mi ha dato la possibilità di far valere le mie ragioni. Pertanto non parlerei di alcuna vittoria della controparte. Valuteremo, nei prossimi giorni, come far valere le nostre motivazioni nei confronti della sentenza di primo grado».


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