H24 evolution, smantellato un call center della droga «Pusher guadagnavano fino a 800 euro a settimana»

Guadagni ingenti e una domanda che non smette di crescere, in una Palermo che non dorme mai. Per questo il call center della droga venuto a galla con l’operazione H24 Evolution di oggi della squadra mobile, era sempre operativo. L’inchiesta coordinata dalla Dda, continua a far luce sulle modalità in cui si ramifica lo spaccio in città ed è un proseguimento dell’indagine H24 del 2017. Oggi sono sedici le persone arrestate, quattro di queste sono finite in manette ma sono sganciate dell’inchiesta e accusate di furto aggravato in concorso. Le restanti dodici si dividono tra dieci persone in carcere e due ai domiciliari, due donne. C’è anche Danilo Biancucci, già arrestato nell’operazione di due anni fa. Tra gli assuntori, quantificati in centinaia di persone, molti sono professionisti. Anche questa volta le sostanze stupefacenti arrivano per lo più dalla Calabria e dalla Campania. 

Le indagini della squadra mobile riguardano due gruppi di pusher, uno principale e uno minore, che operavano nella zona Zisa, all’interno del mandamento della Noce. La mafia qui non c’entra direttamente ma uno dei vertici del gruppo più forte, Giuseppe Vallecchia, risulta essere legato sentimentalmente alla sorella del boss Fabio Chiovaro. Un legame che secondo gli inquirenti si faceva sentire in termini di rapporti di forza all’interno dei gruppi. «Si tratta di un prosieguo della nostra attenzione investigativa – afferma il capo della squadra mobile Rodolfo Ruperti –  non solo sul traffico di droga, prevalentemente cocaina e hashish, ma si tratta di indagini strutturate sul territorio: i pusher utilizzavano dei telefonini accesi h24, addirittura dandosi il cambio sul posto, come se fossero dei veri e propri call center per le richieste dello stupefacente. I pusher, oltre a rispondere al telefono, facevano anche servizio a domicilio». 

Nell’ambito delle indagini sono emerse anche delle frizioni all’interno di questi gruppi criminali «dove a volte si sono verificati contrasti su chi doveva tenere la cassa comune – aggiunge Ruperti – che poi foraggiava l’acquisto di sostanze stupefacenti. Sono state intercettate conversazioni significative in questo senso e si è anche appurato come ci fosse una sorta di controllo su questi gruppi, che in un certo senso avevano avuto il consenso a poter spacciare attraverso pusher, dietro pagamento di una cospicua somma di denaro settimanale che doveva essere versata nelle casse del gruppo criminale più strutturato». Di questo gruppo minore, secondo gli inquirenti, facevano parte anche le due donne arrestate oggi: «si era poi organizzato  – sottolinea il capo della Mobile – dietro il pagamento di una sorta di tangente al gruppo più strutturato, per potere a sua volta spacciare. Non si può fare una stima precisa del giro di affari ma alcuni tra questi pusher minori pagavano 300 euro alla settimana per continuare il mercato illecito, vuol dire che ne guadagnavano molti di più». 

Sulle modalità in cui si strutturava la catena di spaccio la sezione antidroga ha messo in evidenza che «il gruppo più piccolo cercava di avere una propria autonomia in segreto per mantenere un certo livello di vendite – afferma Agatino Emanuele, dirigente della sezione antidroga della squadra mobile – e il gruppo principale pagava l’altro 800 euro settimanali». Un giro di denaro enorme anche evidenziato dagli episodi documentati dalle indagini: «In un’occasione un pusher rimprovera il suo factotum perché in un giorno aveva guadagnato soltanto 300 euro – aggiunge Emanuele – e in un’altra occasione perché alle 4 del mattino si era rifiutato di provvedere a una richiesta perché riposava. Questo evidenzia sia i lauti incassi ottenuti, per cui 300 euro al giorno sono niente, sia che si deve mantenere sempre la stessa operatività: il cliente va sempre accontentato perché potrebbe andare da altri». Questa volta però non sono stati messi sigilli a ingenti quantitativi di droga: «Si è trattato di un’indagine diversa – conclude Ruperti – con sequestri mirati: ne sono bastati pochi per documentare l’attività e andare dentro le organizzazioni che operano a Palermo e che si arricchiscono con questo mercato». 


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