Droga, auto modificate per traversata da Napoli a Palermo «Cosa nostra non è autonoma nell’approvvigionamento»

C’è un nome che spicca più degli altri tra gli arrestati nell’ambito dell’operazione Blanco. Si tratta di quello di Ottavio Abbate, fratello di quel Luigi Abbate soprannominato Gino ‘u mitra, che per anni ha fatto pesare la propria influenza sulla Kalsa. Un potere che si è spinto anche oltre i confini del quartiere, fino a Borgo Nuovo e con un posto di tutto rispetto all’interno dei vertici del mandamento di Porta Nuova, uno dei più attivi della città, decimato nel 2015 dall’operazione Panta Rei. Un’operazione, quella di oggi, che dimostra ancora una volta come nei quartieri del centro storico il nome degli Abbate risuoni ancora con particolare rilievo, nonostante la necessità di buttarsi a capofitto sul mercato della droga per fare fronte alla crisi economica che ha colpito gli interessi mafiosi in due importanti settori-salvadanaio: quello degli appalti, con la crisi dell’edilizia e quello delle estorsioni, in calo in una città dove, anche se non senza fatica, gli imprenditori e i commercianti iniziano a capire che è conveniente denunciare il pizzo. «Le indagini – spiega Marco Di Donna, comandante della terza sezione del nucleo investigativo di Palermo – sono andate avanti per circa un anno in cui si sono concentrate su figure come quella di Ottavio Abbate come protagonista e organizzatore e al quartiere palermitano della Kalsa», poi si sono estese anche ad altri mandamenti come Brancaccio e Santa Maria di Gesù.

«L’indagine Blanco – dice Mauro Carrozzo, comandante del nucleo operativo dei carabinieri – ha evidenziato l’esistenza di un asse ormai consolidato tra Napoli e Palermo per l’approvvigionamento degli stupefacenti, che servivano per alimentare non solo le piazze di spaccio di Palermo, ma in parte anche quelle della provincia di Agrigento e Caltanissetta. Nel corso dell’attività d’indagine sono state eseguite delle operazioni chirurgiche sul territorio, che hanno consentito di arrestare complessivamente sette persone, giudicate a parte con procedimenti penali autonomi e di sequestrare un quantitativo di stupefacenti pari a poco più di 30 chilogrammi tra cocaina, hashish e marijuana per un valore di mercato, nelle piazze dello spaccio, superiore ai due milioni di euro».

Ma è un altro il segnale più importante venuto fuori dalle indagini e lo spiega ancora il comandante Carrozzo: «Cosa nostra sta cercando di recuperare quel gap creato negli ultimi 30 anni rispetto alle altre organizzazioni criminali e la droga è un mercato che può consentire loro di aumentare velocemente le entrate nelle sue casse, soprattutto in un periodo di crisi economica. Cosa nostra tuttavia, non è ancora autonoma rispetto all’approvvigionamento degli stupefacenti, come invece lo sono altre organizzazioni come la camorra e la ‘ndrangheta. Palermo non è più un punto di partenza della droga, ma di arrivo. I carichi arrivano probabilmente attraverso navi nei porti di altre città e poi vengono smistate per alimentare le piazze campane, calabresi e verosimilmente quelle della Sicilia». 

«L’attività – continua Di Donna – è una costola dell’operazione svolta nel dicembre 2015 dal reparto operativo denominata Panta Rei. In particolare abbiamo cristallizzato e monitorato l’attività dei corrieri che, anche attraverso l’utilizzo di automobili modificate ad hoc, trasportavano la droga sull’asse Napoli-Palermo». Un’attività, quella del traffico, demandata a veri e propri professionisti delle lunghe traversate in auto, come – pare, secondo le indagini – i fratelli Pietro, Armando e Salvatore Luisi. Gli ultimi due arrestati proprio stamattina, mentre il primo, già protagonista nell’operazione Maredolce2, dello scorso giugno, è sfuggito proprio in quella occasione alla cattura ed è tuttora latitante.


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