Duplice omicidio ‘94, la Cassazione annulla la condanna Nessun colpevole dopo 25 anni, ci sarà un sesto processo

Tutto da rifare. Il duplice omicidio di Filippo Romano Monachelli ed Elena Lucchese, i coniugi uccisi a novembre del 1994, rimane ancora oggi senza un colpevole. Malgrado siano trascorsi ormai 25 anni e siano stati celebrati già cinque processi. La corte di Cassazione, infatti, ha annullato con rinvio la sentenza che, a settembre 2017, condannava a 24 anni Natale Romano Monachelli, fratello e cognato delle vittime. Accolto il ricorso dell’avvocato difensore Angelo Barone, si dovrà adesso attendere il sesto processo. Già in passato la Cassazione, riguardo a questo delitto, aveva annullato una sentenza di condanna nei suoi confronti. Natale Romano Monachelli, da sempre unico imputato a processo, malgrado l’ultima condanna era rimasto un cittadino libero, perché il giudice della corte d’assise d’appello di Palermo non aveva ravvisato il pericolo di fuga né di inquinamento probatorio.

«Notizia clamorosa – dice subito l’avvocato Salvatore Pirrone, nel team difensivo insieme al collega Barone e all’avvocato Concetta Cancelliere -. Ce l’aspettavamo, ma è la seconda volta che viene annullata in Cassazione, una cosa che di certo non avviene tutti i giorni. Torneremo di nuovo in corte d’assise d’appello, dove si dovrà ricelebrare il secondo grado di giudizio». Dovranno affrontare tutto da capo, insomma. E insieme a loro anche Romano Monachelli, quasi sempre presente alle udienze dell’ultimo processo malgrado viva e lavori da anni in Svezia. «Per lui è terribile – racconta il legale -, i dubbi si notano tutti perché la stessa corte d’assise d’appello che gli aveva dato 24 anni ha rigettato tuttavia la misura cautelare per lui, lo aveva lasciato libero. Ma chiaramente non vive, ha una vita sospesa in un certo senso. Siamo ovviamente contenti dell’esito del giudizio, aspettiamo che fissino l’udienza e che vengano depositate le motivazioni, e che ci diano il principio di diritto che dovrà seguire la corte d’assise d’appello a cui viene rinviata la causa».

C’è poco da ragionare, però, sulle strategie da adottare. La linea resterà presumibilmente la stessa tenuta in tanti anni di dibattimento. «Se per due volte viene annullata la sentenza di condanna che aveva ribaltato la sentenza di primo grado che ci aveva invece dato ragione, evidentemente c’è qualcuno che sta sbagliando – prosegue -, evidentemente non siamo noi, perché abbiamo sempre ribadito gli stessi principi di diritto, sempre le stesse considerazione e argomentazioni sin dal primo grado, perché non ci sono misteri, quella è la verità processuale. Siamo in giudizio per affermare proprio quest verità processuale, quella che è emersa in primo grado e che la Cassazione ha riconosciuto per due volte». L’iter processuale nei confronti di Natale Romano Monachelli si avvia nel 2001, quando l’ex convivente, Erika Stjernquist, lo accusa del delitto. È quello il momento in cui viene iscritto nel registro degli indagati, ma la parabola giudiziaria durerà poco, a causa delle ritrattazioni della donna. Ritrattazioni che, di fatto, imprimeranno inevitabilmente un’impronta e una direzione ben precisa all’intera vicenda.

La corte di primo grado lo assolve per un problema di diritto: anche se credibili, perché dettagliate e circostanziate, le dichiarazioni dell’ex compagna svedese sono precedenti alla fase dibattimentale, non entrano perciò all’interno del processo. Così come le dichiarazioni dei testi svedesi. A valere, quindi, è solo la sua ritrattazione. Un «mi sono inventata tutto» che pesa come un macigno sull’intero processo. In secondo grado, però, una sorpresa: i giudici lo condannano a 24 anni. Sentenza annullata poi dalla Cassazione. Un copione che si ripete oggi, dopo la seconda condanna inflitta nel 2017. Nella storia, però, c’è anche un altro filone, con cui la corte d’assise d’appello ha dovuto fare i conti nell’ultimo processo, quello mafioso. Vengono sentiti infatti pentiti di un certo peso: il primo è Angelo Fontana nel 2009, che tira fuori l’episodio di via dei Cantieri del 1995 durante il processo per l’omicidio di Giovanni Bonanno, esponente di spicco del mandamento di Resuttana-San Lorenzo. A parlare ci sono anche Vito Galatolo, Maurizio Spataro e Giuseppe Tantillo.

Tanti, infine, i dubbi sul possibile movente che avrebbe spinto l’unico imputato del delitto a uccidere brutalmente il fratello e la cognata. Tra le ipotesi sviscerate a processo c’è quella collegata all’attività di spaccio dei Romano Monachelli nella piazza di Borgo Vecchio. Attività per le quali i due fratelli, Natale e Filippo, finiscono in galera nel 1985 insieme alla madre Giovanna Vitale. Che la vittima, a causa della sua tossicodipendenza, avesse contratto qualche debito di troppo? Un’altra pista tirata in ballo era stata quella di ipotetici maltrattamenti rivolti alla madre da Filippo Romano Monachelli, per via forse degli sbalzi d’umore provocati dall’uso di droga, potrebbe essere stata questa la molla scatenante? Sarà difficile fare chiarezza su questo aspetto, specie se a distanza di 25 anni quei due cadaveri prima crivellati di colpi e poi dati alle fiamme restano ancora oggi senza un alcun colpevole a cui andare a chiedere conto e ragione di quel delitto.


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