Ricercatrice libica, l’assoluzione della Cassazione «Demolita la ricostruzione fantasiosa della procura»

«Finalmente la Cassazione ha posto definitivamente una pietra tombale sulla diaspora della professoressa Shabbi Khadiga, dichiarando inammissibile il ricorso del procuratore generale di Palermo e confermando in tal modo la sentenza assolutoria con formula piena della Corte di Assise di Appello di Palermo». Sono piene di entusiasmo i commenti a caldo degli avvocati Michele Andreano e Salvatore Gambino, che hanno difeso la ricercatrice della facoltà di Economia dell’università di Palermo. Era stata accusata di apologia di reato, perché avrebbe istigato e propagandato, per l’accusa, il terrorismo islamico attraverso i social network e di aver fornito supporto logistico ad alcuni foregn fighters. Arrestata a dicembre del 2015, su ordine della Dda di Palermo, era rimasta in carcere a Rebibbia per otto mesi, passandone degli ulteriori nel Cie di Ponte Galeria, a Roma. 

I suo avvocati adesso si muoveranno per valutare «ogni e più opportuna azione ai fini del riconoscimento dell’ingiusta detenzione (in regime di carcere duro ex 41 bis); ogni e più opportuna azione giudiziaria risarcitoria contro il ministero degli Interni, il questore di Palermo e il prefetto di Palermo per i conseguenti provvedimenti di espulsione e accompagnamento coattivo presso il centro di prima accoglienza di Ponte Galeria dove la stessa ha subito una detenzione di sei mesi e ha riportato rilevanti effetti psichici non essendogli stato consentito di essere visitata da un medico esterno; valutare ogni e più opportuna azione giudiziaria contro la Presidenza del Consiglio, ministero degli Interni per tutti i danni patrimoniali e morali nonché di mancata chance per aver interrotto il dottorato di ricerca presso l’università di Palermo; valutare – proseguono i legali – ogni e più opportuna azione giudiziaria contro l’ex ministro degli interni Minniti per le dichiarazioni a mezzo stampa contro la stessa Khadiga Shabbi a seguito del provvedimento della commissione ministeriale che le riconosceva lo status di rifugiata politica, poi revocato a seguito di dette dichiarazioni».

La donna, oggi 48enne, si è sempre dichiarata innocente, mostrandosi disponibile a rispondere alle domande e agli interrogatori. Condannata a un anno e otto mesi in primo grado, con la sospensione della pena e senza l’aggravante della transnazionalità, a dicembre 2017 Shabbi era stata completamente scagionata perché il fatto non sussiste. «La sentenza di assoluzione è una pietra miliare di rispetto del diritto della persona, del proprio pensiero e demolisce la ricostruzione fantasiosa della procura della Repubblica, polverizzando il metodo investigativo adottato dalla digos di Palermo – sottolineano ancora gli avvocati -. L’estensore della stessa, insigne magistrato, quale è il dottor Pellino, ha tracciato in modo dirimente approfondendo ogni particolare delle suggestive ipotesi accusatorie spaziando con neutra e lucida valutazione fattuale e giuridica le gravi ed infondate accuse mosse alla cittadina libica, agganciando le motivazioni ai più alti principi costituzionali e della Cedu».

«Violentissimo fu lo scontro tra la procura di Palermo e l’ufficio del gip di quella città che, sin dal primo momento, non aveva convalidato l’arresto poiché riteneva prive di fondamento le ipotesi accusatorie. L’accanimento della digos e della procura della repubblica di Palermo che hanno impegnato uomini, mezzi e intercettazioni – proseguono – portava il tribunale del riesame di Palermo ad accogliere l’allora ricorso dando così avvio alla carcerazione della Shabbi. Il silenzio sino ad oggi operato dalla stessa viene rotto per la prima volta anche perché il tribunale delle misure di prevenzione di Palermo, una volta scarcerata, ha fatto rivivere la misura di prevenzione richiesta ed ottenuta dal questore di Palermo e a tutt’oggi la stessa Shabbi è costretta a recarsi presso la questura del capoluogo siciliano tre volte a settimana per apporre la propria firma, potendo uscire da casa dalle 7 di mattina con rientro alle ore 21. Quattro anni di sofferenza ingiusta e illegittima professando sempre la propria estraneità a qualsiasi ideologia di natura terroristica dovranno trovare ristoro, diversamente non sarà compiuta giustizia appieno».


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