Svariati i sequestri eseguiti in questi anni dalla narcotici, «un danno all'organizzazione criminale di almeno 20 milioni di euro che ha una ricaduta anche sui gestori delle piazze di spaccio, che sono sempre in qualche modo controllate anche da Cosa nostra»
Blacksmith, interrotti fiumi di droga verso l’Isola: 19 arresti Ruperti: «Finiti in manette i principali trafficanti palermitani»
Indagini durate quasi due anni e una squadra, quella della sezione narcotici, in grado di individuare una rete in grado di sfuggire ai controlli. Utenze telefoniche cambiate in continuazione, traffici fermi per svariati giorni solo per il sospetto di un pedinamento da parte delle forze dell’ordine. Le 19 misure cautelari eseguite oggi dalla squadra mobile di Palermo, 15 di custodia cautelare in carcere e quattro ai domiciliari, sono il frutto di un «lavoro certosino», come spiega lo stesso capo della mobile Rodolfo Ruperti: «Un’attività molto importante, realizzata grazie a un lavoro avviato da tempo sulle organizzazioni criminali che si occupano principalmente del trasporto su gomma dello stupefacente – afferma – È un’indagine che riteniamo avrà ricadute importanti perché sono stati arrestati, almeno secondo quello che conosciamo finora, i principali trafficanti di droga palermitani».
Le indagini, coordinate dalla Dda di Palermo, sono partite nel 2016, dall’operazione Cinisaro «dai traffici diretti che da Carini venivano svolti con dei colombiani». Da lì poi l’attenzione degli uomini della mobile si sono spostate ad altre persone «che trafficavano con i calabresi e fino all’indagine di oggi sui traffici fiorenti con la Campania», ripercorre Ruperti, che aggiunge: «Il danno che è stato fatto a questa organizzazione criminale, tramite i sequestri che in questi anni sono stati eseguiti dalla sezione narcotici, ammonta ad almeno 20 milioni di euro e ha una ricaduta non solo sui trafficanti palermitani e su chi li ha riforniti, i campani che stanotte sono stati arrestati, ma anche su tutti quelli che da questo mercato traevano profitti come i gestori delle piazze di spaccio che sono sempre in qualche modo vigilate e controllate anche da Cosa nostra».
A capo dell’organizzazione, secondo le indagini, ci sarebbero state due persone, Paolo Dragotto e Paolo Di Maggio, che avrebbero avviato «fiorenti contatti sia con persone del Napoletano vicine a clan camorristici – aggiunge Ruperti – sia con persone vicine anche a cosche calabresi». I due avrebbero impartito precise disposizioni, organizzando i trasporti di ingenti quantitativi di droghe dalla Campania a Palermo, provvedendo anche allo stoccaggio temporaneo a Carini in un sito che sarebbe stato messo a disposizione dai fratelli Anthonj e Salvatore Basile e da Giuseppe e Vincenzo Paolo Flandina. L’operazione Blacksmith tradotta in cifre parla di sequestri per oltre tremila chili di hashish e anche di svariati chili di cocaina, con una serie di arresti in flagranza di reato. Senza contare, come sottolinea ancora il capo della mobile, che «questi contatti avviati da tempo tra i trafficanti oggi sono stati recisi, cosa che comporterà anche un impatto sulle piazze di spaccio palermitane e delle province vicine».
Lo stupefacente, sempre secondo le indagini, sarebbe stato fornito da Giovanni Visiello, insieme a Savino Intagliatore, con il quale si sarebbe recato in più occasioni a Palermo per tenere incontri riservati con Di Maggio e Dragotto. Pietro Morvillo invece è ritenuto il corriere che trasportava da Palermo alla Campania il denaro per il pagamento delle forniture di hashish e cocaina, e inoltre avrebbe provveduto alle cessioni ai pusher. Sul ruolo di Cosa nostra nel traffico delle sostanze stupefacenti Ruperti fa sapere come sia emerso dalle indagini un coinvolgimento che avviene «direttamente o attraverso mediazioni, in particolare alcuni degli indagati hanno parentele con soggetti anche rilevanti di Cosa nostra».
Altro capitolo invece riguarda le basi logistiche dei trafficanti che sono state individuate dalla narcotici: «Abbiamo visto che agivano anche attraverso imprenditori – afferma Ruperti – che si sono prestati a questo tipo di attività: come una grossa impresa di manufatti a Carini che serviva per lo stoccaggio di stupefacente o a Palermo nel quartiere Noce, dove abbiamo sequestrato 300 chili di hashish in un’autorimessa. E in quell’occasione abbiamo dimostrato che questi trafficanti erano in grado di far arrivare qui questo carico di trecento chili di hashish a settimana e che quindi potevano investire e ricavare in sette giorni 1,5 milioni di euro».
Dalle indagini è emerso anche che nell’organizzazione ognuno aveva il suo ruolo, c’era chi nascondeva denaro, stupefacente o strumenti che servivano ai trafficanti. Il meccanismo era abbastanza semplice, secondo quanto ripercorre ancora Ruperti: «I trafficanti raccoglievano i soldi, acquistavano lo stupefacente, prevalentemente in Campania, che poi veniva stoccato da persone insospettabili, titolari di impianti, parcheggi e imprese di trasporto e da lì veniva distribuito a chi riforniva le piazze di spaccio, anche della provincia di Trapani e Siracusa oltre che del territorio di Palermo». Oltre alle attività commerciali sequestrate, sigilli anche a numerosi beni, tra i quali anche ville, appartamenti, terreni, aziende e auto.