Caso Biondo, in Spagna è polemica aperta tra criminologi «Stupidaggini che sporcano la memoria di chi non c’è più»

«Tristezza, repulsione, indignazione». È una gamma di sentimenti e stati d’animo intrisi di amarezza quelli tra cui oscilla da giorni Lluis Duque Arnaiz, professore di criminalistica e consulenze forensi all’università di Barcellona, specialista in polizia scientifica e investigazioni di delitti, che si è occupato della morte di Mario Biondo, schierandosi a favore della tesi dell’omicidio. Il giovane cameraman palermitano fu trovato appeso alla libreria della sua casa di Madrid privo di vita il 30 maggio 2013, il caso venne velocemente liquidato dalle autorità spagnole come un suicidio. A rispolverare quella tesi è, adesso, Eduardo Navasquillo, anche lui un criminologo e detective privato spagnolo, inizialmente ingaggiato dalla famiglia Biondo per indagare sulla morte del figlio e che, dopo pochi mesi, ha sbattuto loro in faccia l’ipotesi della quale si era convinto sulla base degli sparuti documenti spagnoli. Ipotesi tirata fuori anche davanti alle telecamere del giornalista Cristiano Pasca, che si è occupato del caso per conto del programma di Italia1 Le Iene.

«In base alle prove che avevamo tutto portava al suicidio – diceva una settimana fa davanti alle telecamere italiane -. Abbiamo investigato su Mario, sulla sua vita privata, su sua moglie, sull’ambiente professionale, su tutto. Mario aveva consumato cocaina. I primi risultati erano positivi alla cocaina e anche la relazione tossicologica fatta in seguito. Risultava che avesse anche consumato alcool, cocaina e alcool aiutano a commettere un suicidio. Io ho la perizia intera del medico legale e anche l’esame tossicologico», ha continuato a dire Navasquillo. Alludendo ad una relazione di cui ad oggi non è in possesso neppure la famiglia Biondo. Ma il detective privato era andato oltre, ribadendo non solo che tutte le relazioni spagnole fossero in mano ai genitori di Mario ma affermando anche che questi si erano premurati di non far venire fuori altre informazioni sulla morte del figlio, informazioni che non erano interessati a divulgare, a suo dire. «Eduardo Navasquillo, in qualità di detective e criminologo, deve il proprio codice deontologico e un codice etico e morale a coloro che hanno assunto i suoi servizi professionali. Nel bene e nel male, non devi mai parlare dei casi in cui lavori, se non è per espresso consenso e autorizzazione di chi ti ha assunto, senza dimenticare le norme sulla protezione dei dati personali», osserva oggi il collega Lluis Duque Arnaiz, non condividendo il comportamento di Navasquillo, oltre alla sostanza di quanto riferito nel servizio.

«Non mi ero pronunciato fino a questo momento per non generare ulteriori polemiche, però per la parte che mi compete, devo dire che ho avuto accesso al materiale che ha potuto osservare quest’uomo e non sono d’accordo completamente con le sue dichiarazioni, sia nella sostanza e, ovviamente, nelle forme – ribadisce Lluis Duque Arnaiz -. Affermare che l’assunzione combinata di cocaina e alcol aiuta a commettere azioni suicide, per non dare cattivi esempi, è semplicemente stupido. Eppure si afferma con molta leggerezza che Mario ha consumato alcol e cocaina. Con i risultati del National Institute of Toxicology e Forensic Sciences in mano, l’alcol che Mario aveva consumato era l’equivalente di due birre (o di un bicchiere e mezzo di vino, o di un bicchiere di liquore). Niente di più. D’altra parte, il suo positivo per la cocaina era di 0,1 mg / litro, cioè gli analgesici che assumo (codeina) “disturbano” le condizioni psicofisiche più di quel risultato di 0,1 mg / litro. Quello pseudopositivo potrebbe anche essere dovuto a un contatto accidentale o involontario con cocaina cloridrato (per esempio, un ambiente con sospensione di cloridrato-polvere o contatto con qualsiasi superficie che lo contiene)», spiega.

Dal canto suo la famiglia, messa prima di fronte alle affermazioni della vedova Raquel Sanchez Silva, che ha descritto Mario come un consumatore abituale di cocaina, malgrado le prove dimostrino che fosse lei ad avere il numero di un certo spacciatore col quale si sentiva frequentemente da anni, e poi a quelle di Navasquillo, che ha alluso a una perizia che non possiedono neppure loro, poco dopo la morte di Mario ha fatto eseguire un esame specifico sui capelli del figlio. «Questo risulta avvalorato dal successivo esame al capello che ebbe risultato negativo e, vale a dire, che nel capello non solo si sarebbe dovuto evidenziare questo presunto consumo recente, ma addirittura uno “storico” dello stesso. Ma non fu così – insiste quindi Duque Arnaiz -. La storia è lunga, si consiglia vivamente di non dire nulla prima di parlare di sciocchezze senza alcun fondamento, a maggior ragione quando, oltre alle vostre stupidaggini infondate, si danneggia gratuitamente una famiglia e si sporca la memoria di un defunto». Per contestare, infine, anche la parte conclusiva del servizio andato in onda nel programma appena una settimana fa, quella forse più controversa, in cui Navasquillo, convinto di non essere più né ripreso né registrato, afferma di essere in possesso di alcune prove.

«Ho molte altre informazioni che non ti dirò, perché il processo non è del tutto chiuso in Italia – diceva infatti a Pasca -. Queste prove me le tengo, non per me ma per altre persone che potrebbero essere accusate della morte di Mario Biondo». Dichiarazioni ovviamente forti, che hanno fatto saltare sulla sedia la famiglia in primis. «Non possiamo dimenticare quello che dice quest’uomo quando pensa che non lo registrino più. Se, come dice lui, «ha delle prove» che possono coinvolgere altre persone nella morte di Mario, ha l’obbligo legale di informare il tribunale», dichiara duro infatti Lluis Duque Arnaiz. «Stiamo valutando il da fare», rivela intanto la mamma di Mario, Santina D’Alessandro. La famiglia resta ora in attesa di capire come e quando la magistratura palermitana potrà chiedere conto e ragione a Navasquillo e alle autorità spagnole delle fantomatiche prove di cui sarebbe in possesso e che avrebbe taciuto fino ad ora. A poco servirà, infatti, il passo indietro fatto nei giorni scorsi, a servizio ormai andato in onda su Mediaset, con cui il detective privato ha dichiarato di non aver mai detto quelle cose. Che, purtroppo per lui, sono state registrate e ascoltate da tutti ormai. 


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