Palermo, il ritorno di Delio Rossi è una scelta di cuore «Ho un debito con questa città, non potevo dire di no»

«Innanzitutto buonasera e ben rivisti. Il primo pensiero va al collega perché è sempre brutto quando si manda via un allenatore». Inizia così la conferenza stampa di presentazione di Delio Rossi, tornato a Palermo a otto anni dall’ultima volta e dopo l’esonero di Stellone. L’obiettivo, chiaramente, è quello di disputare un buon finale di campionato che possa garantire ai rosanero la promozione in serie A. E il tecnico romagnolo spiega così le sue motivazioni: «Se avessi ragionato razionalmente avrei detto di no. Ma nel momento in cui mi ha chiamato il Palermo non ho fatto tutte queste valutazioni. Palermo ha vissuto un apice sotto la mia gestione. Io sono andato via e sono stato rispettato come uomo e come professionista». Una scelta di cuore insomma, che tende a rimarcare: «Ho un debito con questa città. Quando mi hanno chiesto ‘Te la senti di dare una mano?’, io non me la sono sentita di dire di no. Sapendo comunque che non sono mago Merlino e che non risolvo tutti i problemi. Queste sono le motivazioni».

«Penso che dovrò cominciare – continua Rossi – senza stravolgere nulla. A quattro giornate dalla fine non si può intervenire dal punto di vista fisico o cambiare sistema di gioco. Voglio cercare di dare serenità e convinzione nei propri mezzi. Qualche dritta qua e là senza stravolgere nulla. Ci vuole un po’ di studio, ma conosco un po’ i giocatori. Penso che la differenza la possa fare l’ambiente». Nelle sue parole c’è anche un invito ai tifosi, quella gente che non lo ha mai dimenticato e ha sperato in più di un’occasione in un suo ritorno: «La gente deve stare vicina alla squadra e a questi ragazzi. Adesso è un momento particolare, altrimenti non si arriva al cambio di un allenatore». In carriera Delio Rossi era già subentrato a poche giornate dal termine del campionato di serie B, quando arrivò al Bologna nel 2015 portando poi i felsinei in A dopo i play off: «La situazione di Bologna era simile ma anche no. L’anno prima erano in serie A e pensavano di stravincere il campionato. Non lo potevo vincere direttamente e dovevo passare dai play off. Una squadra che arriva di slancio li vede come una risorsa, altrimenti li si vede come una penitenza. Ci sono delle similitudini, ma anche lì ho usato il buon senso. Ho lavorato sulla testa dei giocatori e ho scelto chi mi poteva dare più garanzie anche dal punto di vista fisico. Ci è andata bene».

In tanti pensano che Rossi si affiderà ai senatori, leader della squadra e dello spogliatoio. Lui però non vuole caricare nessuno di particolari responsabilità: «Faccio questo lavoro da trent’anni. Grandi leader non ne ho mai conosciuti perché non ci si elegge leader, ti ci fanno gli altri. Non voglio addossare grandi responsabilità a uno solo, chiaramente da qualcuno ci si aspetta qualcosa in più». Il tecnico di Rimini si sofferma anche su alcuni dettagli della sua nuova avventura in rosanero e ai suoi ex calciatori che lo hanno contattato: «Sono venuto per quattro giornate secche, senza pensieri futuri. Poi vedremo quello che succede. Un po’ tutti i miei ex giocatori si sono fatti vivi. Faccio prima a dire chi non si è fatto vivo. Capisco la preoccupazione per la società, ma io sono qui per discorsi tecnici. Se bisogna parlare della società io vado via perché ho finito di parlare». Inevitabile che si parli anche di questioni societarie, che per gran parte dell’anno hanno accompagnato le situazioni di campo: «Questo mi è sembrato un gruppo consapevole, nonostante il momento particolare. Bisogna tenerlo isolato da questa situazione di società e scindere le situazioni di campo. Devo pensare esclusivamente al campo, io ai miei giocatori alibi non ne voglio dare, non l’ho mai fatto e mai lo farò. Ho sempre lavorato anche in condizioni molto difficili, ma se perdevamo non era mai colpa della società».

Niente grandi proclami da parte del nuovo allenatore, che giustifica ancora la sua scelta di cuore di tornare a Palermo: «Questa è una scommessa, come ne ho fatte tante. Quando scommetti può andar bene e andare male. La mia testa diceva di no, perché non sono un gestore o un guaritore. Penso però di avere l’esperienza per toccare le corde giuste. Ho bisogno più di uomini che di giocatori. Bisogna vincere le partite ma ci sono anche gli avversari». E l’allenatore conferma di aver sempre seguito anche il campionato di serie B, d’altronde qualche mese fa era stato contattato dal Foggia: «Sono ancora uno di quelli che comincia a leggere il giornale dai programmi della sera, poi passo alla serie D e finisco con la serie A. Il calcio l’ho sempre seguito tutto. Ci sono delle squadre che se mi chiamano non posso dire di no. Al Foggia avevo dato la mia disponibilità, come ho fatto adesso col Palermo. Ma ci sono altre squadre che se mi chiamano mi mettono in difficoltà». Rossi avvisa anche su come si persegue un obiettivo a lungo termine: «Onestamente non sto pensando al Lecce, sto pensando al Livorno. Se uno deve salire le scale, c’è un piolo alla volta. Quella determinante è sempre la partita prossima, altrimenti ci si fa male. Allenamento a porte aperte? Non è importante chi abbia avuto l’idea, là comunque è più vicino a dove abito io (ride, ndr)».

La mentalità del romagnolo, come la sua voglia di concedersi anche ad alcune battute, non è cambiata nel corso degli anni: «Se giochi per pareggiare – spiega ancora Rossi – quasi sempre perdi, se invece giochi per vincere magari qualche volta pareggi… Per questo preferisco giocare per vincere». Nessuna voglia di parlare di tattica, anche se le prime indiscrezioni parlano di un 4-3-1-2 con Falletti che da trequartista agirà alle spalle di Trajkovski e Nestorovski: «Mi sembra presto per parlare dal punto di vista tattico dopo un solo allenamento. Non voglio inventare qualcosa, parto dal presupposto che sostituisco un collega che ha fatto il massimo. E le sue scelte spesso hanno pagato. Ovviamente si portano avanti le proprie idee anche con il materiale umano che si ha a disposizione. Cercherò di fare meno danni possibili». Infine, queste le prime parole rivolte alla squadra al suo arrivo: «Non voglio sentire l’”io”, ma voglio sentire il “noi”, perché se si pensa all’”io” non facciamo nulla».


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