Caso Fragalà, sentito il pentito Andrea Lombardo «Uno degli imputati non ha commesso l’omicidio»

«A loro non brucia questa cosa, a me invece sì». Queste le parole con cui si sarebbe sfogato Paolo Cocco, tra gli imputati dell’omicidio dell’avvocato Enzo Fragalà, a un detenuto di una cella vicina, Andrea Lombardo. Quest’ultimo, ascoltato dai giudici della prima corte d’assise di Palermo, ha riferito le confidenze che gli avrebbe fatto Cocco, in circa un anno di condiviso insieme al Pagliarelli. «Lui era stato messo nella cella 22, io nella 24. Nel tempo fra noi si è instaurato un rapporto amichevole e di estrema fiducia», motivi che avrebbero spinto Cocco ad aprirsi rispetto al delitto di cui oggi deve rispondere. Lombardo, dal canto suo, condannato per 416 bis e affiliato alla famiglia mafiosa di Altavilla Milicia, ha iniziato a collaborare con i magistrati il 22 ottobre 2018, una scelta a suo dire maturata da tempo e divenuta decisiva dopo un incontro con l’arcivescovo di Palermo Corrado Lorefice. Scelta che lo ha portato non solo ad autoaccusarsi dell’omicidio mafioso di Vincenzo Urso e di altri reati, ma a raccontare anche alcuni dettagli appresi durante la sua detenzione. Come quelli riguardanti l’omicidio del penalista.

«Lui si è aperto con me – dice Lombardo -, anche perché entrambi eravamo sotto processo per degli omicidi diversi, con minuzia di particolari mi ha detto quello di cui lui era a conoscenza, spiegandomi però che non era responsabile di quello che avevano detto altri collaboratori di giustizia». Ma di cosa sarebbe stato a conoscenza esattamente Paolo Cocco, secondo queste confidenze? «Lui sapeva già da prima del pestaggio che doveva avvenire contro Fragalà, ma non vi aveva preso parte – spiega il teste -, e infatti lamentava il fatto che Francesco Chiarello gli avesse attribuito ruoli inappropriati e maggiori rispetto a quella che era la sua posizione». Cocco avrebbe raccontato anche che la sera del 23 febbraio 2010 si era recato effettivamente sul posto in cui, ore prima, era avvenuto il brutale pestaggio: «In macchina con lui c’erano suo suocero Salvatore Ingrassia, Francesco Castronovo e Antonino Siragusa – tutti attualmente sotto processo per l’omicidio -. Erano tornati lì per verificare l’eventuale presenza di telecamere o altre circostanze che avrebbero potuto compromettere gli autori materiali del delitto».

Ma sembra che, tra una confidenza e l’altra, Cocco si sia spinto oltre, raccontandogli anche chi sarebbero stati effettivamente gli autori materiali di quell’aggressione sfociata poi in un omicidio. «Disse che conosceva gli autori del delitto, che erano il suocero Ingrassia, Siragusa e Tonino Abbate (imputato anche lui)». Con quest’ultimo tra l’altro Cocco teme di essere stato scambiato, «perché avevano una stessa fisionomia e stazza e lui era stato additato come un esecutore materiale, ma non lo era, a differenza di Abbate, il suocero e Siragusa, loro hanno partecipato al pestaggio». «In seguito – prosegue – mi disse pure che anche Arcuri in qualche modo era coinvolto nell’omicidio, non come autore ma come mandante. Lui queste notizie, mi precisò pure, le aveva ricevute direttamente dal suocero Ingrassia e precisava che era estraneo al compimento materiale dell’omicidio». Cocco gli avrebbe anche chiesto di leggere un’ordinanza che aveva ricevuto dalla Cassazione, ma Lombardo si era rifiutato perché non voleva entrare a conoscenza di dinamiche processuali, «un conto è raccogliere i suoi sfoghi, un altro è leggere le carte, avrei potuto essere anche coinvolto in seguito». Ma a detta anche di Francesco Lombardo, padre di Andrea, anche lui neo collaboratore di giustizia, e un altro detenuto, Pietro Liga, «il mandante dell’omicidio era Gregorio Di Giovanni ed erano coinvolti comunque anche Francesco Arcuri e Tonino Abbate – dice sempre il teste -. Mio padre conosceva già Di Giovanni, dall’esterno, e queste altre persone». Paolo Cocco, però, del delitto Fragalà e della sua non partecipazione al pestaggio non parla solo con Lombardo, ma anche con altre detenuti del carcere. Tanto da venire anche fortemente «rimproverato da Vincenzo Giudice e Giovanni Castello, su commissione di Francesco Arcuri (anche lui al Pagliarelli, ma in una cella del terzo piano…ndr), perché quest’ultimo e Cocco avevano il divieto di incontrarsi».

L’unico momento di sollievo, in un certo senso, arriva una sera ascoltando le notizie del Tgs: Cocco sente che Antonino Siragusa ha deciso di collaborare. «Hai sentito il telegiornale compà? – avrebbe detto a Lombardo -. Tutto apposto». Manifesta, a detta del teste, contentezza ed entusiasmo a quella notizia, perché questa nuova circostanza secondo lui avrebbe potuto scagionarlo dalle accuse. Ma anche questo entusiasmo diventa, dentro il carcere, motivo di rimprovero, «perché danneggiava in un certo senso le altre persone coinvolte nell’omicidio. Questa cosa di non poter neanche esultare, a dispetto della sua posizione diversa rispetto a quella di altri per quel delitto, lo turbava». Ma i tentativi di smorzare il ritrovato buon umore di Cocco non si sarebbero limitati a ramanzine e rimproveri. Sempre Lombardo infatti racconta che durante una messa sarebbe stato avvicinato da Girolamo Ciresi, zio di Paolo Cocco: «Digli di cucirsi la bocca», avrebbe detto il presunto affiliato di Borgo Vecchio. Ma quello avrebbe invece continuato a sfogarsi: «Non è che lo potevo frenare, lui non si sentiva responsabile. Si lamentava anche di situazioni personali, che il suocero con le sue confidenze lo avesse trascinato in questa situazione, non solo nell’omicidio ma anche in dinamiche mafiose», racconta Lombardo.

Cocco mi dice anche che era intenzionato a fare delle dichiarazioni spontanee, per ammettere che quella sera si era trovato in compagnia del suocero, di Siragusa e di Castronovo sul luogo del pestaggio, «voleva ammettere queste responsabilità facendo emergere che però non c’entrava niente con l’omicidio ma precisando che aveva effettivamente partecipato al sopralluogo. Ma da questo intento fu poi dissuaso dal suo legale e dalla famiglia, in quanto le sue dichiarazione potevano compromettere la posizione del suocero e delle altre persone coinvolte». Intanto, dentro al carcere c’era «disappunto verso quello che era accaduto e anche per la ferocia del pestaggio, era stato eccessivo secondo il modo di vedere di qualcuno all’interno del carcere». Tra questi ci sarebbe anche Antonino Cusimano che era un assistito da Fragalà che, a detta del teste, «lamentava che anche a lui l’avvocato aveva prospettato un certo concordato da fare con la giustizia per i reati che gli erano stati contestati, ma anche se consigliava di fare un patteggiamento non si meritava un pestaggio né un omicidio».


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