Caso Saguto, alla sbarra il marito e il figlio della magistrata «Rispetto al totale, duplicare le fatture non era una prassi»

Dopo l’ex presidente della sezione Misure di prevenzione del tribunale di Palermo, Silvana Saguto, tocca alla sua famiglia rispondere alle domande di magistrati e avvocati. A difendersi dalle accuse, infatti, sono adesso il figlio Emanuele e il marito Lorenzo Caramma. Quest’ultimo interpellato per oltre quattro ore, con domande mirate su alcune procedure in cui lui ha in passato ricoperto un ruolo e soprattutto sulla questione delle fatture duplicate. «Il meccanismo di fatturazione da parte dell’amministrazione era quello di comunicare via mail la richiesta di emissioni di fattura indicando il periodo cui faceva riferimento l’importo e la ditta a cui indirizzare il relativo pagamento; dopo di che io dovevo emettere la fattura relativa, e lo facevo sempre nell’arco di pochi giorni. Non ho mai fatto richiesta di avanzare fatture, ho sempre fatturato su richiesta del responsabile contabile della cava, che mi indicava periodo, cava di riferimento e importo», precisa il marito dell’ex presidente Saguto, rispetto alla procedura Buttitta. Svolge la professione di ingegnere meccanico da 38 anni e sono numerosi i compiti che gli sono stati assegnati da tribunale, procura, gip e specifiche sezioni nel corso della sua carriera, senza mai svolgere per scelta incarichi di consulenza di parte «perché non rinunciavo al piacere di poter dire sempre la verità».

«In questi anni ho ricevuto 761 incarichi conferiti da 154 magistrati diversi, 11 procure diverse e mediamente ogni magistrato mi ha conferito cinque incarichi. Undici magistrati me ne hanno conferiti mediamente 15. Il primo dal dottore Chinnici, poi ho sempre svolto questo tipo di attività per i tribunali – racconta ai giudici -. Inoltre, sono insegnante-tutor dei corsi di formazione professionale dei salesiani. Ho collaborato con le Misure di prevenzione ma è una collaborazione molto ridotta rispetto ai 761 incarichi che mi sono stati conferiti come ingegnere meccanico. Specie nell’ambito dell’infortunistica stradale». Tornando alla questione dei pagamenti, nel primissimo periodo, tra il 2009 e il 2010, ci sarebbe stata a suo dire una certa regolarità. Un aspetto che però dipendeva soprattutto dalle disponibilità della ditta in questione, che poteva liquidare i pagamenti sulla base delle commesse più o meno ricevute. «Le spettanze di gennaio-febbraio potevano anche essere pagate a ottobre, c’era un rapporto di totale fiducia verso l’amministrazione, io ho sempre fatturato quello che mi è stato richiesto. Nella maggior parte dei casi il bonifico veniva effettuato contestualmente alla richiesta di fatturazione, in alcuni casi no, prima fatturavo e poi arrivava il bonifico».

«Per la proceduta Buttitta ho emesso 215 fatture, di cui sette risultate duplicate – torna a dire -, e per un importo del 6,5 per cento sul fatturato totale, quindi mi permetto di dire che non può essere inteso come una prassi quella della duplicazione, visto questa percentuale sull’importo totale, per ogni singola fattura in contestazione». Sulle fatture emesse due volte o che contenevano degli errori cosa ha fatto? «Ho formato la bozza di nota di credito perché venisse vagliata dagli amministratori e chiedevo contestualmente che mi venissero ultimati i pagamenti per le ditte da cui ancora non avevo percepito il mio onorario, chiedevo in effetti una sorta di compensazione, un “piano di rientro” degli importi da recuperare – spiega Caramma -. Mentre per la duplicazione del pagamento dell’immissione in possesso non è così, sono stato pagato per attività prestate dal mese di luglio a quello di dicembre per inventariazione dei beni e il loro uso, ho percepito altri cinquemila euro perché incaricato di effettuare delle verifiche specifiche all’interno delle cave. Devo premettere un fatto: circa due anni prima dell’immissione in possesso, ero stato incaricato sempre dalla procura per un sinistro mortale avvenuto all’interno della cava, quindi non è una duplicazione del pagamento, ma è tutta un’altra tipologia. Ho percepito circa duemila euro, penso. Io avevo fatto richiesta di adeguare il mio compenso a far data dal gennaio 2012, l’amministratore lo aveva fatto presente producendo relativa istanza, il giudice delegato ha autorizzato ma senza specificare la data».

Per passare poi alle procedure Padovani, Di Bella-Leoni, Allegro. Fino ai suoi rapporti con l’avvocato Cappellano Seminara. «L’ho conosciuto nel 2005, sono stato presentato dall’ingegnere Attilio Masnata, perché l’avvocato Cappellano chiedeva di un tecnico con una certa esperienza in ambito meccanico e di valutazione di beni e immobili. All’epoca mia moglie se non ricordo male era al gip». Sono diversi i collaboratori di cui dispone l’avvocato, anche se «non frequentavo assiduamente il suo studio, i rapporti erano abbastanza telegrafici, non è che ci soffermavamo a prendere il caffè, erano solo rapporti di lavoro». Ingegneri come Caramma, geologi, geometri, contabili, tutte figure che costituivano l’ampio parco di professionisti di cui si avvaleva l’avvocato. «Se non fossi stato preparato professionalmente ci puoi cadere la prima volta, ma alcuni magistrati mi hanno dato anche fino a quindici incarichi», dice, per spiegare i fitti anni di collaborazione nel settore. Parla dei conti personali e di quelli cointestati con la moglie, dei problemi finanziari attraversati durante il 2014 e degli aiuti economici ricevuti dalle rispettive famiglie per fronteggiare alcune spese, tra le altre la rata del mutuo.

E le anticipazioni chieste a Cappellano Seminara? «Sì, è capitato di chiederne. Avendo svolto un certo tipo di attività, a conguaglio della misura sarebbe stata compensata la cifra che mi favoriva». Chiedeva insomma un anticipo su quella che sarebbe stata la sua prestazione e poi si sarebbe conguagliata con la liquidazione del tribunale. Ma perché allora i conti non tornano, tra somme anticipate e successivi pagamenti? «Questa problematica si verificava in corrispondenza di una richiesta del contabile di quella misura, si è potuto verificare per questo motivo – dice -. Quando chiedevo un’anticipazione su un lavoro che stavo svolgendo o che avevo già svolto io mi rivolgevo direttamente all’avvocato Cappellano Seminara, conguagliando l’importo totale di quanto mi era dovuto, facendo poi il conteggio alla fine della procedura insomma».

Mentre al figlio Emanuele Caramma tocca rispondere rispetto alla preparazione della sua tesi, secondo l’accusa scritta dall’amministratore Carmelo Provenzano, ricercatore alla Kore di Enna, il cui prezzo della corruzione sarebbe stato proprio quello di seguire prima e durante la laurea il figlio dell’ex presidente Saguto. «Dice che la scrive in quattro giorni, Carmelo», diceva intercettata Silvana Saguto nel 2015. Cosa voleva dire? «Io avevo già delle parti che erano pronte della tesi. Bisognava sistemarla, era la prima volta che ne facevo una, non avevo fatto la tesi triennale ma direttamente quella magistrale – spiega il giovane -. Avevo diversi pezzi, non l’avevo pronta e il supporto che mi ha dato il professore Provenzano è stato fondamentale per me, soprattutto di editing oltre a fornirmi il materiale sul quale dovevo lavorare e da cui dovevo estrapolare dei pezzi che servivano per redigere la tesi». Molti sfoghi del ragazzo, poi ripresi e interpretati dalla madre, sarebbero stati causati da un lato da una fresca rottura con la fidanzata e dall’altro dalle pressioni dello stesso Provenzano, che voleva fare in modo che Caramma si laureasse a luglio di quell’anno, cioè pochi mesi più tardi.

«Lui mi ha rassicurato dicendomi di lavorare alle parti che dovevo estrapolare che poi per l’editing ci sarebbe voluto poco, quattro giorni era un’espressione così, molto libera. Parliamo di editing, io non avevo idea di come dovesse essere impaginata e altro». E, ancora, rispetto alle frasi intercettate della madre prende le distanze e insiste: «Non davo un valore reale a questa laurea, non mi sentivo pronto per il mondo lavorativo né preparato, intendevo dire che “uno si può laureare ma non è una laurea che ti può dare le conoscenze per lavorare o per fare qualcosa di buono”, in questo senso si è definita una farsa».

Poi la domanda diretta degli avvocati: la sua tesi di laurea l’ha redatta e stesa il professore Provenzano? «No. Ovviamente no – ribadisce con decisione il ragazzo -. Provenzano lo conoscevo perché era famoso nel suo saper fare studiare la gente e far passare gli esami a persone che come me non erano proprio studiosissimi, perché lui spiega molto bene». Per Emanuele Caramma, insomma, Carmelo Provenzano è una sorta di coach col compito, e il talento, di stimolarlo nello studio, «un supporto a 360 gradi. Ed è iniziato anche un rapporto di reciprocità, non faceva così con altri in cui non vedeva un potenziale. Alla Kore mi ha fatto studiare parecchio, mi sosteneva anche agli esami, anche con materie che non c’entravano nulla con le sue». Lo sveglia al mattino presto, gli sequestra anche il cellulare se necessario. Purché stia sui libri. «Non è stata una tesi che ha fatto lui – torna a dire poi -, ero praticamente sempre a casa del professore, studiavo sempre lì e quindi era un confrontarsi continuo mentre scrivevo. Mia madre ha modi di esprimersi molto liberi, non stavo lì con lei e non stavo a raccontare cosa facevo. Se non ci fosse stato Provenzano sicuramente non mi sarei messo a studiare in quel modo, ma come tanti altri ragazzi che erano lì».


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