Chi è Leandro Michele Greco, il nipote del Papa «Stu ragazzino s’era messo in testa di fare il capo»

«Un ragazzetto». Che altro dire di un giovane di 28 anni? Ma Leandro Greco, che da tutti si fa chiamare Michele, non è esattamente come gli altri quasi trentenni. Può vantare qualcosa che non è da tutti, quella di essere ritenuto a capo di uno dei mandamenti più potenti della città, quello di Ciaculli. Un boss mafioso in tutto e per tutto, a sentire gli inquirenti che lo hanno arrestato ieri e ancora di più a sentire i racconti dei due neo collaboratori di giustizia, Francesco Colletti e Filippo Bisconti, indicati ai vertici dei mandamenti di Villabate e Belmonte Mezzagno. Mandamenti periferici, di paese, che in qualche modo la nuova Commissione provinciale, orientata a una vocazione Palermocentrica, sembrava cercasse di allontanare sempre di più. Non stupisce che certi retroscena emergano adesso proprio da quella fetta che rischiava di rimanere fuori dai giochi. A quella famosa riunione del 29 maggio dello scorso anno, a sedere tra i big di Cosa nostra c’è anche lui, quindi, Leandro alias Michele, alla luce dell’importanza rivestita all’interno dell’organizzazione criminale, a dispetto della giovane età. Ma dalla sua sembra avere qualcosa in più, l’eredità del passato criminale lasciata dal nonno Michele Greco, Il Papa, uno dei protagonisti del maxi processo, malgrado una latitanza di due anni e il suo ingresso in sordina a procedimento già in corso. Una figura che il nipote, anche solo nella scelta del soprannome, sembra quasi voler evocare, in segno di memoria, riverenza o altro.

In barba forse alle descrizioni fissate invece nelle carte giudiziarie del passato, che lo restituiscono alle cronache nelle vesti di «pluriomicida e stragista». «Mandante di efferati delitti», si legge anche nelle carte di oggi, «grande stratega della cosiddetta guerra di mafia; persecutore inflessibile dei “traditori”; tenace nell’odio, anche nei confronti dei congiunti». Mentre il giovane nipote siede fra boss e padrini, a dimostrazione del fatto che non vanterebbe solo un mero ruolo di vertice, ma un «titolo, una qualifica», per dirla coi magistrati. Che non a caso parlano di «un’ascesa vertiginosa» iniziata quando aveva appena 23 anni. «Non abbiamo la prova provata di cosa lo porti così giovane già a capo di un mandamento come quello di Ciaculli, possiamo fare dei ragionamenti: l’appoggio forse di altri mandamenti, l’albero genealogico, altri soggetti a lui vicini sul territorio – spiega il procuratore aggiunto Salvatore De Luca -. Ci sono altri personaggi di spicco coinvolti nelle ultime operazioni. Ma tutti comunque di minor rilievo paragonati a Greco. Lui è il soggetto più pericoloso dell’attuale situazione e aveva una volontà espansiva che alla lunga poteva essere socialmente molto pericolosa, che avrebbe potuto ingenerare delle instabilità tali da sfociare nella violenza».

Uno, sembrerebbe, che nei panni del capo si era trovato davvero bene, tanto da avere in mente di allargare il proprio raggio di controllo. Ad esempio prendendosi un altro mandamento, quello del collaboratore Colletti, Villabate. «Greco mi dice prima tutti gli elogi, “sei una brava persona, bla, bla, bla”, ma poi mi dice che nel prossimo appuntamento di settembre io non dovevo partecipare, “non te la prendere, non è una cosa nei tuoi confronti”», racconta il collaboratore. Per evitare di correre rischi organizzando riunioni troppo allargate. «”Facciamo in modo che tu, visto che sei di un paese, ti fai rappresentare o da me o da decidere tu da qualcuno di questo gruppo”», avrebbe continuato a dire Greco a Colletti. «Questa cosa non mi è piaciuta – rivela il collaboratore -. Va bè che questo è un ragazzino, anche se, cioè lui sembra che c’ha un vecchio dentro, ma è un ragazzo. Siamo tutti capi mandamento, che hai tu in più di me? Stu ragazzino forse si era messo in testa di essere capo di questa Commissione, ma questo l’ho pensato io. Qua siamo tutti uguali, non c’è uno che deve sopraffare un altro».

È luglio del 2018. E il chiodo fisso di Leandro/Michele sembra essere solo la scalata all’interno di Cosa nostra. «Non parla male e che il cervello ce l’ha. Cioè per me aveva cinquant’anni, non venticinque», dice ancora il collaboratore. Che a fare la differenza, oltre al carisma, sia soprattutto il peso di quel cognome? È un dubbio che sfiora anche Colletti. «Questo sa le storie che io non so, magari qua c’è una tradizione familiare, mentre da me non c’è e allora è questo forse, i racconti dei parenti». A non digerire la sua intraprendenza, però, è anche Filippo Bisconti, che il 15 gennaio decide di parlare coi magistrati. Lui Greco lo conosce da quando era un bambino, ma i suoi racconti si concentrano sulle aspirazioni del 28enne. «In pratica voleva rappresentare due mandamenti, la sua posizione era indifendibile, per questa sua pretesa che alle riunioni non partecipassero i mandamenti dei paesi – dice -. E poi voleva mettere per iscritto delle “regole”, ma già esistevano regole scritte custodite nel mandamento di Corleone». Schemi nuovi, insomma, dentro Cosa nostra e spazio alle giovani leve, ma con un «significativo ritorno sui nomi importanti, che poi sono quelli che trovano maggiore consenso», secondo il capo della mobile Rodolfo Ruperti.


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