Caso Saguto, le richieste di Cappellano Seminara «Voleva indietro il 30 per cento dei miei compensi»

«Partecipazione ai miei compensi». Le definisce così l’ingegnere Pietro Carlino le richieste che l’avvocato Gaetano Cappellano Seminara gli avrebbe fatto per quasi dieci anni, durante il loro rapporto professionale. I due si conoscono da prima di iniziare a collaborare nelle amministrazioni giudiziarie e per ragioni personali, «ai tempi del liceo frequentavo casa sua, era il compagno di banco di mio fratello». Iniziano a lavorare insieme nel 1994, il primo incarico dell’ingegnere Carlino è di coadiutore del gruppo Piazza. Le richieste di denaro da parte dell’avvocato sarebbero iniziate qualche tempo dopo, intorno al ’96. «Diciamo che più che altro erano richieste che non potevo abbordare, venivano richiesti come extra, mi chiedeva se potevo dare dei soldi, soldi che erano parte dei miei compensi. Cioè – spiega davanti ai giudici di Caltanissetta -, io venivo pagato in funzione delle mie prestazioni professionali e poi io dovevo dargliene una parte». Ma esattamente a che titolo? «Così, bo, a che titolo? Così, se potevo restituire…non c’era giustificazione, era una richiesta e basta».

Richieste su richieste. Un po’ pressanti, insistenti, anche se con una cadenza e una frequenza arbitrarie e ogni volta diversa. Richieste alle quali l’ingegnere avrebbe sempre risposto di no. «Mi metteva in seria difficoltà questa cosa, non erano somme che sarebbero state documentate, sarebbero state date in contanti. Io non l’ho mai fatto». Ma è difficile tenere tutto a bada a forza di «no» per un lasso di tempo ampio come dieci anni. «Nell’ultimo periodo, dal 2009 al 2011, visto che io non rispondevo a queste richieste, queste si facevano più intense – racconta -. A quel punto ho parlato chiaramente, ribadendo che avevo difficoltà a fare questo perché non lo reputavo giusto e quindi ho continuato a non farlo». Gli importi non erano fissi, ma ogni volta in funzione del compenso che spettava a Carlino, «si parlava di una percentuale del 30 per cento, io non ho mai ceduto, non mi piaceva in sé e per sé la cosa». Il loro rapporto professionale si ferma al 2012. Ma l’ingegnere Carlino già sei anni prima, nel 2006, sempre più a disagio per le richieste dell’avvocato, decide di parlargli.

Lo fa una sera in auto, mentre insieme tornano a Palermo da Bagheria. Gli dice che continuerà a occuparsi degli incarichi ancora in corso, ma che non ne accetterà di nuovi. «L’ultima richiesta di denaro risale al 2010, non coincide con la cessazione immediata della nostra collaborazione, ma già prima gli avevo detto che era meglio non avere più incarichi a quel punto in maniera tale da rimanere buoni amici». Nell’arco di un anno le richieste potevano essere tre o quattro, protratte per circa dieci anni arrivano a trenta/quaranta. «Non volevo far parte di un sistema illecito del tutto estraneo al mio modo di vivere». Il suo racconto termina qui, ma nell’aula del tribunale di Caltanissetta, dov’è attualmente in corso il processo sulla mala gestio dei beni confiscati, si continua a parlare dell’avvocato Cappellano Seminara, tra gli imputati sotto accusa. A proseguire infatti è l’architetto Vincenzo Rizzacasa, cui fanno capo diverse società costituite negli anni, dalla Edilia a Arbolandia, Abitalia Spa, Sant’Anna immobiliare, Verde Badia srl. Nel 2009 si scatena una campagna mediatica diffamatoria nei suoi confronti, partita dall’interno di Confindustria dove l’architetto è iscritto.

«Dopo un anno, 9 giugno 2010, sono stato arrestato con l’accusa di intestazione fittizia per due aziende, Arbolandia e Abitalia – racconta il teste -. Sono stato assolto in tutti e tre i gradi di giudizio perché il fatto non sussiste». Prima di giungere a questo esito, però, le due aziende incriminate vengono sequestrate e negli anni finisce tutto sotto la gestione dell’ex presidente Silvana Saguto, che nomia come amministratore giudiziario Cappellano Seminara. «Lei ha esteso il sequestro anche tutte le altre mie aziende – racconta l’architetto -. Con l’assoluzione dal punto di vista penale non mi sono state restituite, sulla carta si diceva che tornavano a me, ma non fu così perché civilmente con Saguto permanne il sequestro di prevenzione fino a fine 2016. A settembre 2016 la restituzione delle aziende fu decisa dal tribunale. Cappellano Seminara ha smesso di operare dentro le aziende perché nel 2015 il tribunale ha nominato un altro amministratore, questo procedimento intanto era già iniziato, c’era la fase delle indagini preliminari».

Rizzacasa lascia delle aziende floride, con «utili per due milioni e cento mila euro prima del sequestro». Quando ne rientra in possesso la situazione è invece disastrosa, con «perdite per cinque milioni e cinque mila euro. Dovevo capire perché mi trovavo con oltre 19milioni di debito fra banche, erario e fornitori pur avendo avuto la sensazione che le aziende avessero lavorato nel tempo», dice l’architetto ai giudici di Caltanissetta. Quindi si fa aiutare da alcuni professionisti per vederci chiaro, dai ragazzi degli uffici (di operai non c’era più nessuno) ai commercialisti. «Non è stato facile, molti documenti ancora oggi mancano. Ma gli scaffali erano vuoti già da prima, i documenti erano stati tutti richiesti da Cappellano Seminara, oltre cento carpettoni ritirati poi in uno scantinato di via San Lorenzo quasi a mollo all’acqua e che comunque costituivano solo il 50 per cento dei documenti complessivi». L’architetto vuole vederci chiaro, studia quello che è rimasto, dalle carte ai dati e alle cifre. «Ho notato che ogni volta che arrivavano somme alle società venivano fatti decreti di ingiunzione – dice -. Ho iniziato a capire che non si poteva lavorare bene a Palermo. Molti aspetti al momento sono ancora sotto processo. Come è in corso anche l’azione civile contro tutti coloro che ritengo mi abbiano fatto del danno».


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