Fuga dalle Madonie, sondaggio immortala lo spopolamento «Spero in un sussulto che fermi questa emorragia sociale»

Diciassette Comuni per un comprensorio che va spopolandosi sempre di più, quello delle Madonie. E a fare per primi le valigie, spesso senza tornare indietro, sono i più giovani. Un vero e proprio fenomeno di questo tempo, fotografato dai dati e dai numeri del sondaggio Giovani madoniti emigrati ideato da Giuseppe Dino, 29enne originario di Petralia Sottana. «Le cause che hanno portato tanti madoniti all’emigrazione possono rappresentare un serio problema anche per chi è rimasto?». È partito da questo interrogativo, ma non solo, per raccogliere, intervista dopo intervista, le risposte che cercava. Riuscendo a creare un dibattito che, organizzato per domani pomeriggio nel salone dell’ex Convento dei Cappuccini di Petralia Sottana, al teatro della Rabba, affronterà il discorso partendo dalle evidenze scientifiche messe insieme. Da sempre attento a problemi e malumori del suo territorio, coi quali ha saputo rapportarsi anche attraverso la lente dell’associazionismo attivo, Dino nel 2016 è diventato anche lui uno dei tanti emigrati che lascia la terra d’origine.

«Cause di forza maggiore, sono diventato ricercatore assegnista a Ferrara – racconta a MeridioNews -. Da questa nuova posizione però sono riuscito ad accorgermi di tanti elementi che prima di partire neppure io riuscivo a interpretare bene e che emergevano dai madoniti che vivevano fuori». Adesso da due anni vive in Veneto, ma ama definirsi «un fautore della provincia». Quella che andrebbe salvaguardata più di tutto, ma la cui identità va sgretolandosi sempre di più. «Purtroppo ci stiamo spersonalizzando, la tendenza è perderci in città, diventare niente e nessuno, si stanno perdendo troppe cose – ammette -. La gente bella, sorridente e solare di cui tutti parlano per la Sicilia onestamente io l’ho trovata anche altrove. Ma mentre molto siciliani con cui mi sono confrontato non tornerebbero, io lo farei. Perché? Non mi trovo male dove sto, ma mi trovo meglio giù dov’ero, che è diverso». È da queste considerazioni che nasce la scintilla per un sondaggio che, sì, fotografa soprattutto la mancanza di lavoro nei territori analizzati, ma che potrebbe addirittura essere una conseguenza e non una causa. Oltre il 40 per cento, infatti, a parità di condizioni qui non tornerebbe.

Il sondaggio, proposto agli abitanti del territorio lo scorso settembre, «si prefigge l’obiettivo di contribuire all’analisi di un fenomeno vasto e complesso come quello dell’emigrazione dalle aree interne del territorio italiano, in particolar modo dalle Madonie – si legge nel documento elaborato da Dino -. Sono stati posti 17 quesiti a risposta multipla (obbligatori) e tre a risposta aperta (facoltativi). Alla fine del sondaggio, durato un mese, sono state raccolte 445 interviste; vista la distribuzione anagrafica e socio-economica degli intervistati, il campione estratto viene giudicato significativo seppur ristretto in termini numerici assoluti». Sul foglio dedicato ai totali si trovano le statistiche elaborate sul numero complessivo di tutti gli intervistati e non è effettuata alcuna aggregazione di categoria, ma in base alla risposta è stata calcolata la percentuale sul totale degli intervistati. «Ad esempio – scrive Dino nel sondaggio -, alla domanda “Da quanti anni vivi fuori dalle Madonie?” il 37,8 per cento ha dichiarato di aver lasciato la propria terra da un intervallo di tempo compreso fra 3 e 10 anni, il 31 per cento da meno di 3 anni e il 31,2 per cento da più di 10 anni».

L’autore, poco più avanti, avvisa subito: «I risultati del sondaggio non sono corredati da alcun commento perché l’obiettivo è quello di raccogliere pareri e suggerimenti non influenzati da chi ha proposto il sondaggio. Per questo motivo si invitano i lettori a scrivere un’osservazione o un commento sul modulo appositamente creato, lo scopo principale del sondaggio è infatti creare il dibattito coinvolgendo il massimo numero di interessati. Il contributo di tutti è fondamentale, ognuno con le proprie osservazioni può arricchire l’analisi di questo fenomeno grave che investe quasi tutte le famiglie. Il vero successo dell’iniziativa sta nella rinascita di un sussulto, di una scintilla di dibattito e di pensiero critico; queste sono le vere dimostrazioni che le Madonie e i madoniti esistono e resistono all’emorragia sociale in atto. Una soluzione alternativa può essere possibile, se non lo è bisogna percorrere tutte le strade per cercare di costruirla».

Un’esigenza comprensibile e onesta, che parte proprio da chi di quei territorio è figlio. Non è un caso che anche le realtà sindacali solo pochi mesi fa abbiano provato a fare la stessa cosa, seppure con metodi e mezzi diversi, per fotografare un fenomeno sempre più preoccupante e che i residenti stessi chiedono di arginare. Diverse le domande elaborate da Giuseppe Dino e poste a tutti gli intervistati che si sono prestati a questo esperimento sociale: dove risiedono attualmente, da quanti anni vivono fuori dalle Madonie e qual è stato il motivo del loro trasferimento, e se fuori si è autonomi o meno. «Il sondaggio non vuole dare delle soluzione, perché non le può dare. Vuole dare invece una diagnosi profonda – precisa -. Leggo in giro le solite interviste a chi se ne va, le solite lamentele, “non c’è questo e non c’è quello”, non si va mai a fondo sul problema. Il dibattito non può girare sempre attorno alle stesse suggestione, perché così rimane sterile. Serve un tocco di pragmatismo per cercare il problema vero, che va affrontato in maniera scientifica».

Ecco perché porre domande e raccogliere dati e risposte non basta. Tutti i residenti sono adesso invitati a prendere parte al confronto di domani pomeriggio, per dare un ulteriore personale contributo. «Servirà per passare dai numeri ai concetti, sviluppando argomenti seri e magari offrire uno strumento concreto per le amministrazioni, che in maniera sistematica non hanno mai affrontato questi problemi – continua -. Siamo troppo abituati a sederci e aspettare che qualcosa accada. Io ho dato l’input, con i miei mezzi, pubblicando e condividendo tutto, anche i dati grezzi, ma è chiaro che tutto questo adesso può essere raccolto da altri, da chi potrà trarne altri spunti che io non ho saputo vedere». Uno strumento da cui cominciare un discorso, insomma, mai intrapreso prima. Non così, almeno. «Solo mediante la diagnosi condivisa dei veri problemi profondi si può pensare a elaborare eventuali cure di un male ormai esploso e imperversante sulle Madonie e, più in generale, in tutte le aree interne d’Italia. In molti hanno provato a offrire soluzioni senza conoscere i problemi – conclude -. Tutti pronti a dirti perché non andare via, ma come proporre cure senza conoscere il male? Così tutto viene disatteso, rimane sterile, fermo, concretamente non è mai accaduto nulla. Dalla nostra parte c’è un immobilismo collegato a fattori storici e alla paura di investire, ma tra questo e la proposta che viene dalla governance c’è uno spazio morto in cui si trova questo brodo primordiale di problemi. Cominciamo allora a riempirlo».


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