Lidi a rischio chiusura: verso Mondello senza cabine? Operatori: «Dal 2020 potremmo restare senza lavoro»

Oltre quattromila stabilimenti balneari siciliani, e quasi 30 mila in tutta Italia, rischiano di chiudere entro il 2020. Colpa della cosiddetta direttiva Bolkestein con cui l’Unione Europea – di fatto – mette a gara le concessioni demaniali rendendo le spiagge territorio di conquista. In pratica, via alla libera concorrenza internazionale e addio a chi in precedenza gestiva gli stabilimenti. Tra due anni niente più cabine: a Palermo metà del litorale dovrà rimanere spiaggia libera e fra un lido balneare e l’altro (di un massimo di 3 mila metri quadrati di estensione) è consentita una distanza di cento metri, destinata anch’essa a spiaggia libera. 

«Chi ha investito prima del 2009 – dice Alessandro Cilano, gestore de L’Ombelico del Mondo di Mondello e presidente di Fiba Confesercenti Sicilia – potrebbe perdere tutto. Anche se ha costruito per il suo futuro, ha fatto un mutuo e ha assunto persone. Con la mia attività ho creato un sistema passando da quattro a dodici dipendenti stabili e, in estate, anche una decina in più. Rischiamo di restare tutti senza lavoro. Intanto saremo costretti a partecipare a un’asta libera presentando un altro progetto che poi è il nostro». 

Già quest’estate il 10 per cento degli stabilimenti rischia di sparire con grave danno per l’economia. «Le nostre aziende producono il 12,5 per cento del Pil sul Turismo, siamo una forza e lo Stato dovrebbe accorgersene», continua Cilano. Infatti, non più di qualche giorno fa, le maggiori sigle sindacali di categoria sono andate a Roma per un incontro nazionale e per adottare, con la legge di stabilità, una norma che metta in sicurezza il settore. «Stiamo lavorando per presentare un disegno di legge con il ministro delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo, Gian Marco Centinaio», spiega Cilano il quale sottolinea «lo sforzo dell’assessore regionale all’Ambiente, Toto Cordaro, e dei suoi funzionari che stanno digitalizzando 9 mila pratiche per recuperare i fondi pubblici che alcuni concessionari devono pagare» e l’attenzione nei confronti dei gestori che «possono saldare i canoni a fine stagione, un provvedimento che è un segnale di grande volontà per dare un aiuto alle imprese balneari».

Ma la grande attesa è spostata sul governo nazionale al quale si chiede di agire sulla durata e sulla tutela delle concessioni già emanate. Del resto Portogallo, Spagna, Croazia e i paesi Sud del Mediterraneo godono già di una legislazione migliore e più completa e, soprattutto, hanno a disposizione più tempo per programmare i loro investimenti. «Indispensabile che nella Legge di Bilancio, qui ed ora, venga inserita almeno una misura di salvaguardia temporale che metta in sicurezza questo importante segmento del nostro Made in Italy», ha chiarito Antonio Capacchione, presidente nazionale del Sindacato Italiano Balneari. Che, in una lettera aperta al ministro dei Trasporti, Danilo Toninelli, ha ribadito che «questo cruciale settore economico è completamente paralizzato dall’impossibilità di effettuare i necessari investimenti per affrontare l’agguerrita concorrenza internazionale e persino la ricostruzione degli impianti balneari distrutti dalle mareggiate».

Anche la Cna Balneatori Sicilia grida «No alla cancellazione di decine e decine di stabilimenti nell’Isola». I vertici siciliani hanno inviato una nota indirizzata al presidente della Regione, Nello Musumeci, all’assessore al Territorio, al Direttore Generale dello stesso Dipartimento e ai Presidenti delle Commissioni III e IV dell’Ars in cui si sottolinea «come il commissariamento dei Comuni siciliani, a seguito della sostanziale inattività degli stessi nella stesura dei piani, possa produrre soluzioni letali per le imprese balneari, il cui settore va tutelato perché dà valore a tutta l’isola». E ancora, affermano Gianpaolo Miceli e Guglielmo Pacchione coordinatore e portavoce di Cna Balneatori Sicilia, la diretta conseguenza sarebbe «la chiusura di diverse imprese e la perdita di posti di lavoro». 


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