L'autore, in gara al festival di cortometraggi che si sta svolgendo ad Acireale, tratteggia la poetica del suo lavoro. E illustra il corto Parru pi tia, tra magia popolare e superstizione, girato interamente sui tetti che circondano lo storico mercato di Ballarò
Magma, parla il regista palermitano Giuseppe Carleo «Incuriosito dall’animale uomo e dalle paure umane»
«Sono incuriosito dall’animale uomo e dalle modalità con cui questi tenta di affrontare le sempiterne questioni e paure umane». Così riassume la poetica della sua opera cinematografica Giuseppe Carleo, giovane regista palermitano in gara al Magma Festival di Acireale con il suo cortometraggio Parru pi tia. «Il corto – racconta Carleo – parla di un rito ben preciso: la fattura d’amore, praticata da una giovane ragazza di un quartiere popolare di Palermo con l’aiuto dell’anziana nonna, allo scopo di riconquistare il fidanzato». Sono, dunque, la magia popolare e la superstizione a fare da palcoscenico a questa breve quanto significativa opera, che vanta già diversi riconoscimenti tra cui il primo premio dell’ultima edizione di I Love Gai – Giovani autori italiani in seno alla Mostra d’arte cinematografica di Venezia.
«La storia è ambientata in Sicilia – continua l’autore – ed è interamente recitata in dialetto stretto palermitano, a conferma dell’importanza che ha per me l’autenticità del luogo da cui deriva il racconto, il punto di vista locale, che considero il punto di partenza nell’indagine dei sentimenti universali che costituiscono il campo di interesse del mio cinema». In effetti, chiacchierando con Giuseppe, emerge la sua passione per l’animale uomo – come lui lo definisce – e, in particolare, per le pratiche che vengono messe in atto per far fronte alle angosce terrene e intrinseche alla sua natura: «Sono interessato ai fenomeni attuali, al modo in cui l’uomo agisce e ancor di più ai suoi linguaggi. In quanto regista, non mi prefiggo il compito di indagare delle verità, con le parole di Lévi-Strauss, penso che “Non esistano verità, ma solo linguaggi”, e la magia è uno di questi».
Nel processo di ideazione del suo lavoro, Giuseppe ha tratto ispirazione dall’opera dell’antropologa Elsa Guggino, studiosa delle tradizioni popolari e amica del regista. Ma da cosa nasce la sua idea? «Diversi anni fa a casa mia, arrivò un’amica di famiglia, disperata per le sorti del figlio, il quale avevo perso la testa – a detta della madre – per una ragazza bruttina che non era entrata nelle grazie della donna. “Ci misiru dda cosa!”, fu questo l’esordio della madre entrando in casa, con riferimento al filtro d’amore somministrato alla vittima attraverso una tazzina di caffè e che costituisce il filo rosso del mio racconto».
Oltre all’interesse per la dimensiona antropologica, è la palermitanità l’altro grande tema che fa da sfondo all’opera di Carleo. «Palermo è per me fondamentale. Non a caso – spiega Carleo – il corto è stato interamente girato in un appartamento che dà sui tetti dello storico mercato di Ballarò e recitato in dialetto, con un cast e una produzione quasi del tutto palermitani». Quando gli chiediamo quale sia il suo rapporto con la sua città, Giuseppe risponde: «Palermo è il mio mito, è la città che ho idealizzato e il villaggio da cui voglio partire per indagare la natura umana. E quale città migliore – si domanda il cineasta – per farlo se non Palermo, con le sue svariate culture sedimentatesi nel corso del tempo e le sue affascinanti contraddizioni, tutte da scoprire?».