Parole prigionere, il libro sui graffiti di Palazzo Steri «Patrimonio dell’umanità e inventario della devozione»

«I graffiti di Palazzo Steri sono un monumento unico nel loro genere: nonostante le molte carceri dell’Inquisizione spagnola sparse per l’Europa non c’è niente di simile rispetto a ciò che si trova a Palermo. Sono di inestimabile valore, anzi dico che andrebbero protetti in quanto patrimonio dell’umanità. Chissà che non ci si arrivi». L’auspicio di Giovanna Fiume, professoressa ordinaria di Storia moderna all’Università di Palermo, può sembrare un’iperbole da appassionata. Ma basta scorrere le pagine del libro Parole prigioniere. I graffiti delle carceri del Santo Uffizio di Palermo per convenire con la studiosa, che ha curato il volume insieme a Mercedes García-Arenal, “profesora de recerca” presso il gruppo di ricerca di Storia Culturale del Mediterraneo. 

Il volume, pubblicato dalla casa editrice Istituto Poligrafico Europeo, è una raccolta di saggi (gli altri coautori sono Antonio Castillo Gómez, Valeria La Motta, Adriano Prosperi, Pietro Sorci e Mario Torcivia) ed è corredato da un’affascinante serie di fotografie. Al centro del lavoro appunto i graffiti, i disegni e le iscrizioni delle carceri segrete del Santo Uffizio spagnolo in Sicilia, collocati all’interno del complesso monumentale dello Steri. Questi, riscoperti e studiati nei primi anni del Novecento dall’antropologo Giuseppe Pitrè, rappresentano un unicum nel loro genere e una fonte storica straordinaria e imprevista. E sono diventati meta negli ultimi anni di un rinnovato interesse, sia da parte degli studiosi che di semplici curiosi. «I graffiti cominciano a essere conosciuti da quando sono aperti al pubblico – concorda Fiume – C’è un numeroso flusso di visitatori. Moltissimi sono stranieri, naturalmente, ma ci sono anche molti siciliani e palermitani».

Le tracce lasciate dai reclusi del carcere palermitano sono molte varie. «Sono soprattutto figure di santi – spiega la curatrice del volume – ne abbiamo identificato più di 50. C’è un inventario della devozione dell’età moderna in quelle mura. Inoltre ci sono molte navi, perché moltissimi dei reclusi erano marinai». Allo Steri (e nel libro) si trovano poi scritte in siciliano, latino, italiano, inglese, ebraico, nonché preghiere, citazioni di testi biblici e di salmi, notazioni sulla vita in carcere, composizioni poetiche in siciliano o italiano. Di ogni autore, poi, viene ripercorsa la storia giudiziaria grazie alla consultazione degli archivi madrileni. «Sappiamo moltissimo della loro vita dentro quelle stanze: sappiamo per quanto tempo ci rimase ogni singolo recluso, come si comportò nel processo e quale fu la condanna – dice ancora Fiume – Il libro nasce dal fatto che ci vogliono più competenze per leggere questi graffiti: ci vuole la conoscenza della storia dell’arte oltre che di quella giudiziaria dell’inquisizione, ci vuole la teologia. Si tratta insomma di un grande patrimonio storico che andava capito, per questo ho messo insieme un gruppo di studiosi appartenenti dunque a diverse discipline».

La riscoperta del patrimonio di piazza Marina si inserisce all’interno di un lungo percorso, come conferma la stessa docente palermitana. «I graffiti sono stati restaurati nel 2007, sapevamo che c’erano da Pitrè e dunque dal 1906. Sono passati sotto numerosi mani di intonaco, perché l’ex carcere era poi diventato sede di uffici giudiziari. Fu lo scrittore Leonardo Sciascia a riscoprirli nel 1964, e dal 2000 sono stati sottoposti all’attività di recupero». La prima scritta risale nel 1606, riporta la dicitura “servo di Maria”. Solo a metà del 600 vengono costruite le carceri femminili, fino ad allora «uomini e donne stavano nello stesso edificio ma in stanze separate». E lo Steri resta il palazzo dell’Inquisizione fino al 1782, anno in cui il tribunale del Sant’Uffizio viene abolito. «Per quasi due secoli allo Steri sono state dunque recluse centinaia di persone che hanno scritto e disegnato sui muri». 

L’edificio invece è stato costruito tra il 1603 e il 1605. L’Inquisizione, che già sferzava l’Europa da più di un secolo, aveva avuto fino ad allora nel capoluogo siciliano altre sedi. «Nel 1600 il Sant’Uffizio si trasferisce allo Steri – racconta la docente – chiedendo al re una sede acconcia alla sua importanza, il quale gli concede un palazzo importantissimo che era già stato sede di viceré. Non c’era però uno spazio adatto per le carceri. Così viene costruito l’edificio che c’è in mezzo al cortile dello Steri, realizzato da un ingegnere militare. Per qualche anno, almeno fino al 1609, i prigionieri escono ancora da Castello a Mare per quelli che venivano definiti gli autodafé (le sentenze pubbliche dell’inquisitore a cui seguivano la condanna o l’abiura … ndr)». Il Sant’Uffizio aveva la funzione di reprimere l’eresia, intesa però in un senso molto ampio. «Eresia era tutto ciò che non era la religione cattolica – spiega la docente – quindi anche l’ebraismo, ad esempio, o il protestantesimo. Anche i reati sessuali come la sodomia, nonché la stregoneria e la magia. Allo Steri erano inoltre rinchiusi i rinnegati, coloro che da cattolici diventano musulmani perché vengono catturati dai corsari nordafricani e portati a Tunisi o ad Algeri». 

Dalle tracce lasciate allo Steri sono stati individuati i passaggi anche di inglesi e tedeschi. Di sicuro il carcere palermitano era un luogo di dolore e sofferenze. Gli spazi erano bui e ristretti, e vi si rimaneva rinchiusi in attesa di giudizio: un pronunciamento che poteva arrivare dopo molti anni, e non erano rari gli episodi di tortura. «Mentre sono prigionieri i reclusi disegnano e scrivono – dice la professoressa – Per fortuna il fatto che ogni tanto venisse data una mano di intonaco ha consentito di conservare lo strato principale che è quello seicentesco». Il libro Parole prigioniere verrà presentato in anteprima proprio allo Steri, l’appuntamento è per martedì 4 dicembre. All’incontro parteciperanno il rettore Fabrizio Micari, Paolo Inglese (direttore del Centro Servizi del Sistema Museale di Ateneo), Salvatore Nicosia (presidente dell’Istituto Gramsci Siciliano). A discuterne saranno più docenti, appartenenti a diverse università: Sara Cabibbo (Università di Roma Tre), Vincenzo Lavenia (Università di Bologna); Giovanna Fiume, curatrice e coautrice del libro, e i coautori Valeria La Motta, Pietro Sorci e Mario Torcivia.


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