Omicidio Falsomiele, parola alla difesa della donna «È stato un processo fatto più di indizi che di prove»

«Carlo Gregoli si trova quel giorno in quel posto per una tragica fatalità, non ha ucciso nessuno. Così come la moglie non ha concorso in alcun modo in qualcosa che non hanno fatto». Dopo la requisitoria del pubblico ministero e l’arringa degli avvocati delle parti civili, questa mattina è toccato ai difensori di Adele Velardo, gli avvocati Paolo Grillo e Marco Clementi, prendere la parola davanti ai giudici della seconda corte d’assise di Palermo. La donna è imputata dell’omicidio di Vincenzo Bontà e Giuseppe Vela, freddati a colpi di pistola il 3 marzo del 2016 in pieno giorno in via Falsomiele. «Quella zona è frequentata sicuramente da soggetti appartenenti alla criminalità e non sappiamo cosa fosse andato a fare esattamente Bontà quel giorno in quel luogo, certo non doveva incontrare Carlo Gregoli. Questa per noi è la storia di un uomo innocente», insiste l’avvocato Clementi. Anche Gregoli, infatti, insieme alla moglie viene indagato a pochi giorni dal delitto. Ma non affronterà mai il processo: muore suicida al Pagliarelli pochi mesi dopo l’arresto.

La difesa non risparmia nulla delle conclusioni delle altre parti, scardinandone ogni punto, ogni passaggio. I due avvocati contestano in toto l’impianto accusatorio montato contro i due coniugi. Dai colpi esplosi alla posizione dei corpi delle vittime, in direzione opposta rispetto al senso di marcia della Fiat 500L su cui erano a bordo, ritrovata chiusa con la marcia inserita e il freno a mano sollevato: «È evidente che quello era l’unico approdo di salvataggio, non valutano nel Suv un elemento di contrasto. Vela scappa in quella direzione, dopo aver assistito all’omicidio di Bontà». E poi c’è il video che immortala le due auto imboccare, a poca distanza l’una dall’altra, la via Falsomiele e un testimone che vede l’omicidio. «Sentito qui in aula ha dichiarato di aver riconosciuto le vittime da alcune foto mostrate dalle forze dell’ordine. Mentre il funzionario, sentito anche lui al processo, ha dichiarato che il testimone non avrebbe visto alcuna fotografia per riconoscere i responsabili del delitto», dice ancora l’avvocato Clementi. Non vuole screditare il teste. A suo dire, alcune discrepanze nel suo racconto di quel giorno ne dimostrerebbero la paura e lo stato di shock per quanto visto. Uno stato di alterazione che suggerirebbe anche la possibilità di essersi sbagliato nel riportare alcuni particolari.

Dopo una breve pausa, a dargli il cambio è il collega Grillo, che parlerà per quasi tre ore. Anche lui scardinando ogni punto della ricostruzione della pubblica accusa. «Dobbiamo immaginare plasticamente la scena, così per come ce l’hanno descritta le parti civili: questi due quella mattina, senza un motivo apparente, stanchi di sparare alle quaglie, hanno deciso di uscire a sparare alle persone. Scegliendo l’arma più adatta da usare così come si sceglie al mattino una cravatta. Escono, camminano con l’auto, vedono questa 500, scendono e sparano. Fosse la trama di uno scadente action movie, non so quanto starebbe in piedi», dice l’avvocato, che dichiara di aver apprezzato maggiormente la versione «più neutra» dell’accusa che, però, «ha elencato e spiegato gli indizi, ma avrebbe dovuto parlare invece di circostanze indizianti». Anche lui, come il collega prima, analizza ogni aspetto emerso e affrontato durante il processo: i gesti immortalati dai frame del video, la perquisizione in casa, il testimone che vede il delitto, il racconto in aula di una delle figlie dei coniugi sulla mattina dell’omicidio, le perizie dei tecnici, le intercettazioni ambientali. Tutte circostanze che secondo la difesa non assumono una chiara e decisa valenza probatoria. Si tratterebbe piuttosto di elementi indiziari, di circostanze interpretabili in molteplici modi, ma che non approdano nel campo dell’oltre ogni ragionevole dubbio.

Smontano persino i dati apparentemente più inattaccabili, come ad esempio quelli relativi alle tracce ritrovate nell’auto di Gregoli: «Riguardo alle particelle di polvere da sparo, il perito ha detto che il fattore tempo non conta quando si tratta di uno spazio piccolo come l’abitacolo di un’auto: possono conservarsi anche per settimane, specie sulle superfici come quella che non sono assorbenti, è una legge scientifica – dice ancora l’avvocato Grillo -. Quelle particelle non posso essere collegate temporalmente al delitto, e la contaminazione innocente, cioè quella spontanea, è altamente probabile. E poi su Adele Velardo non c è nessun elemento che attesti che lei abbia concorso in alcun modo a questo delitto, che noi non attribuiamo neppure al marito». E conclude: «Non c’è concorso morale della mia cliente, men che meno concorso materiale. Chiediamo l’assoluzione per non aver commesso il fatto». La sentenza è attesa per la settimana prossima.


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