La mostra Il caso Mattei che non piace alla nipote «Ci sono reperti personali che avevamo chiesto noi»

«Non ci siamo sentiti rispettati». Lo dicono quasi all’unisono i coniugi Mattei: la signora Rosangela, che è la nipote del celebre fondatore dell’Eni e il marito, Alessandro Curzi, il quale sostiene insieme a lei la memoria di una delle più celebri figure del dopoguerra. Entrambi protestano per la mostra fotografica Il caso Mattei, che dall’8 settembre al 25 ottobre vede esposti al Centro Internazionale di Fotografia, ai Cantieri Culturali della Zisa, una selezione delle fotografie più significative – alcune tratte dall’archivio Eni, altre agli atti dell’indagine giudiziaria – degli ultimi giorni di Mattei in Sicilia e degli attimi successivi al disastro aereo del 27 ottobre del 1962 nei cieli di Bascapè in cui, oltre all’allora presidente dell’Eni, morirono il pilota Irnerio Bertuzzi e il giornalista statunitense William Mc Hale. Oltre gli scatti che mostrano quei drammatici momenti che sconvolsero l’Italia, con l’aereo a pezzi e il folto numero di istituzioni e giornalisti, investigatori e servizi segreti presenti, è possibile vedere anche alcuni oggetti personali di Mattei come l’anello e l’orologio. E proprio su questi si concentra la polemica dei due coniugi. 

«Sono oggetti di famiglia che io ho ritrovato a Bascapè, sul luogo del disastro, insieme al corpo di mio padre, l’anello e l’orologio regalati da mia nonna potevano risparmiarseli», racconta la signora Rosangela, a quel tempo una ragazzina di 13 anni. La donna, qualche mese fa, li aveva chiesti indietro al tribunale di Pavia, per poterli annoverare nel Museo Mattei, che ha creato insieme agli effetti personali dello zio. Quei reperti, invece, sono esposti a Palermo, come hanno scoperto loro malgrado i coniugi Mattei. In una mostra, a cura della giornalista Sabrina Pisu (autrice con il giudice Vincenzo Calia del libro Il Caso Mattei, edizioni Chiarelettere), che ha l’evidente scopo di diffondere nel capoluogo siciliano la conoscenza di fatti certamente datati ma che hanno segnato il destino del Paese. Solo che, a detta dei coniugi Mattei, sarebbero stati usati due pesi e due misure. «I reperti in mostra sono stati temporaneamente concessi dal tribunale di Pavia al Centro Internazionale di fotografia di Palermo – dice Sabrina Pisu a MeridioNews – che li restituirà alla fine della mostra. La signora Rosangela Mattei dovrebbe, dunque, rivolgersi al tribunale di Pavia».

Un passaggio che i coniugi Mattei hanno già fatto, come ricostruisce Alessandro Curzi. «Qualche mese prima dell’inaugurazione del museo – dice – avevo contattato il tribunale di Pavia. Ma non avevamo avuto più notizie. Per poi venire a scoprire che, nel frattempo, i nostri oggetti di famiglia saranno esposti a Palermo. Dal tribunale ci hanno assicurato che dopo torneranno a noi. Non vogliamo fare polemica – precisa – ma non ci sembra il modo corretto di agire. Quelli sono reperti sotto sequestro giudiziario, noi vorremmo metterli nel Museo Mattei, che penso sia l’unico posto indicato». Il taglio del nastro del museo è avvenuto il 7 aprile scorso, con centinaia di ospiti da tutta Italia: dirigenti dell’Eni, il segretario dell’Anpc (l’associazione dei partigiani cristiani voluta dallo stesso Mattei) Marco Miconi, l’ambasciatore algerino Abdelhamid Senouci Bereksi. E un messaggio dell’allora premier Paolo Gentiloni
. «Per questo avevo chiesto alla procura di Pavia – dice ora Rosangela Mattei – questi oggetti personali che avevo consegnato al pm Vincenzo Calia per far riaprire le indagini sulla morte di mio zio; oggetti che sono rimasti agli atti del processo». Come per esempio il famoso orologio Omega: rimasto intatto al momento dello schianto, immortala l’ora esatta della caduta dell’aereo. Ed è stato fondamentale per accertare l’attentato di cui fu vittima il presidente dell’Eni. La perizia metallografica ha dimostrato, infatti, che l’indicatore triplo era stato sottoposto all’esplosione di una bomba che era stata posizionata dietro il cruscotto, a una distanza di 10-15 centimetri dalla mano sinistra di Enrico Mattei, quella in cui portava l’anello.

L’intento della mostra
Il caso Mattei, come annunciato più volte dagli organizzatori, è quello di far conoscere le vere circostanze della morte del dirigente pubblico. «Ma guardi che la morte di Mattei l’ho portata io alla conoscenza di tutti – risponde la nipote del presidente Eni – Sono stata io a scrivere un libro cinque anni, intitolato Enrico Mattei, mio zio. E lì ho fatto chiaro e tondo il nome di Eugenio Cefis». Una scelta coraggiosa, visto che Cefis è colui che prese il posto di Enrico Mattei alla guida dell’Eni: una delle figure più controverse della storia d’Italia, accusato di essere “il grande vecchio” (per via del suo coinvolgimento con la P2 e del suo enorme potere economico dopo l’acquisizione della Montedison) nonché di essere il mandante dell’omicidio dello zio. Anche la scelta di portare gli scatti e gli oggetti proprio a Palermo non è casuale: è da qui, infatti, che otto anni dopo l’assassinio dell’esponente più in vista del cane a sei zampe, partirono le indagini del giornalista Mauro De Mauro (su commissione del regista Francesco Rosi) che gli costarono una scomparsa lunga 48 anni (proprio il 16 settembre del 1970), come accertato dalla sentenza della Cassazione in cui si afferma che De Mauro fu ucciso «verosimilmente, anche se non certamente» per aver individuato il ruolo di Cosa nostra in merito all’assassinio di Mattei. «Ma allora lo si dica – osserva Curzi – La mafia ha fatto da manovalanza, sia in quel caso che per Mattei». Un filo rosso sangue – che vedrebbe pure coinvolto l’intellettuale Pier Paolo Pasolini – già tracciato  ad esempio dai giornalisti palermitani Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza nei loro libri Profondo nero e Petrolio e sangue, entrambi pubblicati da Chiarelettere. E Lo Bianco era presente all’inaugurazione della mostra, così come il giornalista di Repubblica Attilio Bolzoni.

«Ma da parte nostra non c’è una contestazione – specificano i coniugi Mattei – noi siamo andati a tutte le presentazioni quando siamo stati invitati, come per esempio all’università di Camerino». La signora Mattei aggiunge che «io sono stata all’aula bunker di Palermo per il processo che vedeva imputato Riina per la scomparsa di Mauro De Mauro, ho pure incontrato la vedova, nella vostra città insomma mi conoscono». Quel che non va giù ai familiari è che a distanza di 56 anni ci si concentri esclusivamente sulla morte, non più misteriosa, di Mattei. «Noi abbiamo fatto il museo – dice il signor Curzi – non tanto per celebrare Mattei come persona, ma per raccontare tutto quello che ha significato dal punto di vista imprenditoriale, sociale e politico. Per fare conoscere tutto ciò ai giovani e rendere note storie significative, come il fatto che per dieci anni Mattei, pur alla guida prima di Agip e poi di Eni, non ha preso uno stipendio. Può insegnare molto ai cosiddetti grandi manager attuali – aggiunge – che intascano 10 milioni l’anno a scapito dei propri dipendenti. Mattei è l’esempio migliore di come lo Stato possa gestire bene la cosa pubblica. E mentre in Nordafrica e in Medioriente ancora lo idolatrano, qui si parla solo della sua morte. Che sia stato ucciso ormai lo sanno tutti, non vorremmo che si parlasse sempre delle stesse cose». 


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