Festino, i volti dell’appuntamento più atteso di Palermo «Viverlo tutto mostra due città completamente diverse»

Palermo è, tra le tante cose, il suo Festino. Qualcosa che è molto più di un semplice appuntamento, tanto per i palermitani quanto per chi viene apposta da fuori per vederlo coi propri occhi. Perfettamente a metà strada tra fede e paganesimo, tradizione e leggenda, ogni anno il Festino fotografa due volti della città, attraverso chi, in maniera diversa, decide di vivere questa irrinunciabile ricorrenza. «Basta andarci, al Festino, per rendersene immediatamente conto». Per Manuela Mignosi, palermitana doc, muoversi ogni anno attraverso quel fiume umano che per l’occasione si riversa in città è il modo perfetto per notare le differenze. «C’è gente che si sceglie un punto, uno strategico, e lì si piazza con sedia e tavolino al seguito già dalle sei del pomeriggio, e resta in attesa, sbucciando cozze e mangiando babbaluci e meloni, non gliene frega niente di cosa succede mentre la Santuzza parte dalla Cattedrale e arriva fino a dove hanno deciso di piazzarsi, non gliene frega proprio niente».

Se c’è, infatti, chi conosce solo un modo di vivere il Festino del 14 luglio – e cioè sfilando dietro al carro, fermandosi nei punti simbolici in cui si assiste ogni anno a uno spettacolo creato ad hoc per quella edizione, dalla Cattedrale ai Quattro Canti fino al Foro Italico – per qualcun altro non è così. Per qualcuno, dai giovanissimi alle famiglie con figli al seguito, il Festino non è che un’occasione per stare in mezzo alla confusione pulsante della città, in attesa dei tanto attesi giochi di fuoco. Che ci si piazzi sulla sommità di Monte Pellegrino, sul prato della Magione o in spiaggia a Mondello, per molti il Festino sembra essere solo questo, in barba a chi, invece, qualcosa la sente davvero per questa ricorrenza. «Per molti il Festino quello è – torna a dire Manuela -, se lo fai tutto è come vedere due città, due mondi, due popolazione completamente diverse».

Per molti il Festino corrisponde insomma solo ai tanto attesi giochi pirotecnici di chiusura, quest’anno arrivati oltre le due di notte e diluiti nell’arco di una buona mezzora e che in più di un’occasione hanno ingannato le famiglie, sorprese da un ennesimo scoppio di colore quando già erano in cammino per tornare verso casa. «Dal punto di vista antropologico quella è un’altra cosa, è un’altra città. Mentre per me, anzi, per i palermitani, anche se non tutti, è importante – dice -. La storia è semplicemente bellissima, come lo è allo stesso modo vedere ogni anno come viene interpretata, quale stile e quale linguaggio vengono scelti. La storia può essere raccontata in modi diversissimi, in maniera teatrale, avvalendosi della danza o usando scenografie particolari». Ogni volta è diverso, e ogni anno è un appuntamento, per la maggior parte, proprio con questa diversità.

Ma tra chi sente per la ricorrenza una devozione particolare e quasi inspiegabile, spontanea e naturale, e chi aspetta questo appuntamento per piazzarsi con una sediolina di legno davanti alle bancarelle di dolciumi della Cala, ci sono immancabili i soliti critici dell’ultima ora. E il loro è un ritornello ogni anno sempre uguale: «Soldi buttati per un festino pagano e per consentire guadagni alle solite consorterie di tutte le feste patronali – scrive qualcuno all’indomani dell’evento -, io mi astengo e ritorno a Palermo quando la festa è finita». Un argomento che, puntuale come un orologio, si ripresenta anno dopo anno, a prescindere dalla forma del carro, dagli spettacoli organizzati per omaggiare la Santuzza e sbalordire i palermitani, o dalla maestosità e durata dei giochi di fuoco. Una parte stessa, in un certo senso, del Festino. L’altra faccia immancabile che, insieme a devoti immobili o in marcia caratterizza questo appuntamento tutto palermitano.

Ma sembra che quest’anno a vincere sia stato soprattutto il consenso. Non si contano infatti i commenti di apprezzamento dei cittadini e dei turisti. C’è chi, come Giusto Catania, lo definisce addirittura «futuro, dal 1625». E chi non può fare a meno di declinare questo caposaldo della tradizione alle tematiche più stringenti del tempo presente. Non è un caso che uno degli slogan di questa 394esima edizione sia stato «Santa Rosalia aprici i porti». E sembra proprio che il miracolo più richiesto alla Santuzza quest’anno sia stato, a gran voce, uno su tutti: «Santa Rosalia liberaci dal razzismo». Ma anche su questo punto non tutti si sono mostrati d’accordo.


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Per tutti quella con la Santuzza è una ricorrenza imperdibile, ma le ragioni non sono certo le stesse. C’è gente che si piazza in un punto sbucciando cozze e mangiando babbaluci in attesa solo dei fuochi d’artificio e chi invece aspetta di scoprire quale saranno stile e linguaggio per reinterpretare la sua storia

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