Quattro Canti, cancellata scritta in arabo su dissuasore L’autore: «Purtroppo questa non è una città che merita»

«Ormai mi sono rassegnato. Attendo la prossima partenza, il 25 aprile. Questa non è una città che merita». C’è tutta la delusione di Rabih Ja’far Bouallegue, in queste parole. Lui è uno studente tunisino di 29 anni, amante della cultura araba e della sua terra, ma più in generale si definisce amante della bellezza. Ha vissuto in giro per l’Europa negli ultimi anni ed è stato anche a Palermo in passato, dove è tornato dopo aver vissuto per un anno e mezzo in Lituania. Qui studia Scienze politiche e relazioni internazionali. Palermo è una città che trovava bella e affascinante, ma negli ultimi mesi pensa sia diversa e cambiata nell’approccio proprio verso gli arabi. E a dare manforte al suo presentimento è, secondo lui, quanto accaduto alcuni giorni fa. Quando ha deciso di fare una scritta in arabo antico su un dissuasore dei Quattro Canti, senza però chiedere alcun tipo di permesso al Comune di Palermo, proprio di fronte Bisso Bistrò. Scritta che però è stata poi coperta, non si sa da chi. Rabih si è sentito profondamente offeso per questo gesto e così ha deciso di abbandonare Palermo e partire alla volta della Norvegia il 25 aprile.

«Ho provato l’odio e la diffidenza di tutti in passato. Cosa che mi ha fatto cadere in una brutta depressione che stava per concludersi tragicamente col suicidio, il novembre scorso – racconta Rabih -. Un giorno però lessi una massima di Maometto citata da un mistico musulmano andaluso: Muhidyin Ibn Arabi, vissuto nell’Andalusia medievale. La massima recitava cosi: Ci sono tante strade che portano a Dio quanto le anime che sono sulla terra”. La massima mi aveva commosso e allo stesso tempo stupito. Conteneva un messaggio antirazzista e universale, visto che secondo Maometto tutti gli esseri viventi attraverso la loro umanità non sono altro che manifestazioni divine, e quindi delle possibili strade verso il mistero di Dio».

Infatti, secondo questa massima, a sentire ancora Rabia, l’universo intero e gli esseri viventi che ci vivono sono un tutt’uno. «Personalmente vorrei spiegare con un’allegoria l’unicità dell’essere – torna a dire -: “Se prendi un granello di sabbia e lo posi su un tavolo risulta insignificante, oltre che invisibile. Ma se lo unisci ad altri miliardi di granelli, la loro unione forma la bellezza del deserto”. Ho deciso quindi di far conoscere a Palermo questo lato sconosciuto di Maometto e dimostrare come l’Islam, quello antico, e non quello attuale politicizzato e strumentalizzato, fosse in realtà una filosofia che accetta la diversità degli esseri viventi, del genere umano e valorizzi la sua bellezza».

Stava preparando altri dipinti in arabo calligrafico, il suo intento era quello di ricordare ai palermitani e a tutti i turisti che Palermo è bella per via della sua ricchezza culturale, per le sue tante influenze, tra cui quella araba. Il prossimo dipinto in arabo calligrafico sarebbe stato sul valore mistico della donna. E anche per questo tema Rabia si rifà a un’altra perla di saggezza del mistico andaluso musulmano Ibn Arabi: «È nella donna che si completa la manifestazione della verità». Avrebbe infine concluso la trilogia con un’ultima massima, appartenuta sempre ad Ibn Arabi : «Il mio cuore me lo dice, e la lingua lo conferma: chi muore innamorato dalle fiamme (dell’Inferno) non verrà bruciato».

«Da un po’ di tempo volevo fare un lavoro del genere con delle scritte in arabo antico – spiega ancora deluso -. Purtroppo a Palermo non abbiamo arabi intellettuali in grado di valorizzare l’anima araba di questa città. Palermo sembra tutto tranne che una città che ha avuto influenze arabe. Inoltre, negli ultimi anni, da quando sono rientrato dalla Lituania, ho notato come l’odio, il disprezzo e la diffidenza verso gli arabi di fede musulmana siano aumentati, cosa che ho provato sulla mia pelle, purtroppo».


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