Mario Biondo, caso passa alla procura generale «Ripetuto conflitto tra i familiari e i magistrati»

«Nel caso in esame ricorrono tutti i presupposti, di fatto e di diritto, per esercitare il potere di avocazione, al fine di garantire la completezza delle indagini preliminari e l’obbligatorietà dell’azione penale». Questa la conclusione a firma del procuratore generale Roberto Scarpinato e del sostituto Domenico Gozzo, che hanno accolto la richiesta di avocazione presentata il 5 aprile 2017 dai familiari di Mario Biondo, il cameraman palermitano trovato morto nel suo appartamento di Madrid il 30 maggio 2013. Richiesta che si accompagnava a quella di opposizione (31 luglio 2017) nei confronti della richiesta di archiviazione da parte dei pubblici ministeri Calogero Ferrara e Claudio Camilleri, fino a un paio di giorni fa titolari del fascicolo aperto presso la procura per omicidio volontario contro ignoti con l’aggravante della premeditazione. Mentre in Spagna un caso, in realtà, continua a non esistere nemmeno, dal momento che, a poco tempo dal ritrovamento del cadavere del giovane, la vicenda era già stata bollata come suicidio.

Il corpo viene ritrovato appeso alla libreria del salotto, sembra quasi poggiato con le spalle, la testa è infilata dentro a una pashmina di seta, che cinge il collo ma senza stringere, con un nodo debole fissato in alto. Le gambe sono tese e i piedi toccano il pavimento coi talloni. Indosso maglietta e pantalone del pigiama. La richiesta di archiviazione dei pm si basa sostanzialmente su tre fattori: che le indagini condotte dal fronte palermitano è rimasta in stallo, anche e soprattutto per le due richieste di rogatoria inoltrate all’autorità spagnola, che non si è resa collaborativa; l’esito a cui giunge il medico legale di parte, Paolo Procaccianti, che si allinea alle conclusioni cui si è giunti a Madrid; il fatto, infine, che allo stesso viene affidato un supplemento di consulenza sulla posizione del corpo e la scena del crimine, che lo hanno portato sempre alla conclusione del suicidio.

Argomentazioni, queste, che la famiglia ritiene «insussistenti e contraddittorie», in contrasto con le complessive risultanze della lunga istruttoria svolta dalla procura stessa. Risultanze che, però, vanno di pari passo con delle «lacune nelle indagini dell’ufficio della procura», si legge nell’atto ufficiale a firma di Scarpinato e Gozzo, «che non aveva dato sufficiente riscontro alle risultanze delle numerose consulenze di parte della difesa, tutte convergenti nel senso della natura omicidiaria dell’evento occorso a Madrid». Tra queste lacune, molti sarebbero, secondo procura generale e familiari, gli elementi ambigui rimasti non chiariti. A cominciare dalle dichiarazioni contraddittorie della vedova, Raquel Sanchez Silva, rispetto al luogo in cui si trovava la notte della morte di Mario e al momento del ritrovamento del cadavere, nonché sulla natura dei rapporti col marito e i suoi presunti rapporti con degli spacciatori. E ancora le sue contraddizioni in merito agli accessi sul computer di Mario, sulla sua assicurazione sulla vita.

Raquel dichiara ufficialmente di essere partita in auto già il 29 maggio per Plasençia per accompagnare uno zio, il giorno dopo, in ospedale per essere sottoposto a un intervento chirurgico. Lo stesso zio che, però, la smentisce e afferma di averla incontrata solo la mattina del giorno dopo, il 30, chiarendo di essersi sottoposto a una visita, non a un’operazione. Un noto forum spagnolo, inoltre, nello stesso lasso di tempo la colloca proprio a Madrid, in visita presso l’amico Kike Sarasola, come lei noto personaggio pubblico spagnolo, che si è sottratto fino ad ora alle richieste di interrogatorio giunte da Palermo. Sul versante informatico, poi, ecco spariti nel nulla ben 996 gigabyte da uno dei quattro hard-disk di famiglia. E la richiesta di cambio della password dell’account Apple del Macbook di Mario quando Raquel è con la famiglia di lui all’istituto anatomico forense spagnolo – circostanza che lascia presumere la complicità del cugino Enrique Gomez Sanchez, ingegnere informatico, l’unico a  mancare all’appello in quel momento – e l’accesso su whatsapp, quando il marito però, secondo l’autopsia, è già cadavere. A contraddirsi, insieme a lei, è anche la cameriera di casa, Vilma Graciela, che non riesce a collocare con certezza nel tempo la telefonata della Sanchez che la sollecita ad andare nell’appartamento di calle Magdalena per scoprire cosa sia accaduto al marito.

Alle reticenze e contraddizioni della vedova si aggiungono le foto della scena del crimine mai arrivate a Palermo in forma completa, ma solo per metà e a distanza di tre anni. E poi quel solco di otto millimetri sul collo di Mario, troppo spesso rispetto al segno che avrebbe potuto lasciare la pashmina. E il foulard stesso, con un nodo debole e in alto, non dietro la nuca del cadavere. Tra i punti irrisolti rimane da capire come sia possibile, che in preda alle convulsioni e agli spasmi dovuti al soffocamento, tutti i soprammobili della libreria siano rimasti al loro posto senza volare giù o spostarsi.Tutte ragioni. insomma, alla base dell’accoglimento della richiesta di avocazione della procura generale, che nelle carte però tra i motivi elenca anche il verificarsi «ripetutamente di un conflitto tra accusa pubblica e accusa privata», che ne legittimerebbe di fatto l’intervento. «Bisogna combattere con i denti e con le unghie, cercarsela da soli la giustizia, chiedendo, cercando», è il commento della madre di Mario, Santina D’Alessandro, che spiega come la «procura generale, accogliendo l’istanza, ha stabilito anche che vengano nominati dei medici superpartes che analizzino le relazioni dei nostri periti, da Cusimano al professore Milone».


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