Scatta l’anno di Palermo capitale italiana della Cultura Ecco cosa si può insegnare e su cosa c’è da imparare

Pronti via, è già 2018. E con l’anno nuovo ecco per Palermo il primo giorno da Capitale italiana della cultura. Un’onorificenza che negli scorsi mesi Leoluca Orlando e i suoi hanno sfoggiato come un premio, un distintivo da esibire a testimonianza di quanto sia forte, brava e bella la città. Ma adesso ci sarà da mettersi al lavoro per dimostrare di meritare un così grande attestato di stima. Ma Palermo – e i suoi amministratori – saranno veramente in grado di raccogliere questa sfida? Lo abbiamo chiesto a chi con la cultura a Palermo vive a contatto tutti i giorni senza troppa reclame, ma semplicemente col proprio lavoro e le proprie passioni indipendentemente dal fatto che la città ne sia o meno la capitale. 

«Palermo ha già tutto quello che le serve per essere capitale». A dirlo sono tanto il comico Stefano Piazza, fresco del bagno di folla del veglione in piazza Politeama, che la scrittrice e giornalista Alessia Franco. «Dal punto di vista storico non ci manca nulla – continua Piazza – stesso discorso dal punto di vista architettonico, linguistico, culturale, gastronomico, artistico: abbiamo veramente tutto. Semplicemente dobbiamo riuscire a far sì che tutte le cose belle che abbiamo prendano il sopravvento su quelle cose brutte che spesso vengono fatte da poche persone, ma che finiscono per rappresentare tutti gli altri». Secondo l’artista una è la dote che Palermo può insegnare dando l’esempio da buona capitale: «Noi abbiamo una cosa che vince rispetto al resto d’Italia: la leggerezza. La capacità di affrontare la vita con ironia che ci permette di superare qualsiasi cosa. Basti pensare al nostro “Futtitinni“, una delle nostre espressioni più usate, anche nei momenti di massima disperazione».

Per Alessia Franco, invece, le doti che si possono insegnare da palermitani sono equilibrio e pazienza. «Siamo immersi in un ambiente assolutamente magico e peculiare, che è anche culturale. Palermo è una città votata alla cultura e all’integrazione, a un palermitano è difficile che si possa insegnare il razzismo e l’accoglienza non può essere distinta dalla cultura. Questo non vuol dire che viviamo in un contesto perfetto, tutt’altro, però per stare a Palermo bisogna avere moltissimo equilibrio e una grandissima pazienza». E l’augurio che la giornalista fa alla propria – amata – città è quello di «riuscire a condividere di più, su tutti i fronti. Un muro in cui piano piano si sta riuscendo a fare breccia, ma ancora molto c’è da fare. E poi di essere un po’ più ottimista e di cedere sempre di meno all’improvvisazione, nemica giurata della cultura».

Chi guarda più al sodo, non disdegnando però una vena poetica è il pittore Angelo Denaro, che dall’alto dei suoi tanti decenni di esperienza, che lo hanno portato a esporre nelle più importanti città del mondo, che si augura per il 2018 culturale di Palermo «un trionfo del merito. Perché non vada avanti solo chi ha le giuste conoscenze, anche nel campo artistico, lasciando gli altri, magari anche più dotati, nell’ombra». L’artista, infine, auspica anche il ritorno della passione come motore che anima le cose e augura per il 2018 «Un mondo pulito». Non solo dai rifiuti, ma anche dal punto di vista etico e morale. 

E non ci va tanto per il sottile neanche Beniamino Cangemi, che spende buona parte della sua vita extralavorativa come fotografo, tra vecchie macchine analogiche e rullini da stampare nella piccola camera oscura. Il fotografo per la sua città augura di «non farsi ingannare da qualche burocrate che fa passare la cultura solo per Manifesta o perché abbiamo questo o quel museo – dice – Si vantano che Palermo sia la capitale dell’ospitalità ma un cambio culturale dovrebbe portarla a capitale dell’integrazione con un reale impatto sociale. Bisognerebbe lottare alacremente contro il sub-proletariato dato da politiche nazionali (e non solo) a tema del lavoro. Di cose utopistiche – conclude -se ne potrebbero dire, ma concretamente deve farsi altro. Andrea De Marco, Ugo De Grandi, Bazan, per esempio, con la mostra Palermo in blues si sono inventati la scuola palermitana di pittura , una rivoluzione concreta ma non coadiuvata da chi di dovere e anche questo aiuto è quello che manca». 


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