Tratta, la denuncia di chi ha lasciato la strada «Minorenni spesso vendute dalle loro famiglie»

«Più di 15 nigeriane, anche minorenni, in questi mesi sono state sottratte a Palermo alla prostituzione e accompagnate in un percorso di denuncia. Siamo riusciti grazie al lavoro di mediazione svolto da Osas Egbon, nigeriana che si è ribellata e oggi presidente dell’associazione donne di Benin City Palermo che, conoscendo la lingua e i costumi dall’interno, ha permesso di smontare le loro paure. Manca il riconoscimento di un protocollo che permetta a donne come Osas di avvicinarle». Così l’attivista Nino Rocca in un incontro organizzato dal centro Pio La Torre nella chiesa di San Giovanni Decollato, a Palermo, nella giornata europea contro la tratta. Alla conferenza sono intervenuti, tra gli altri, l’assessore comunale Giuseppe Mattina, Vito Lo Monaco, presidente del centro La Torre, Rosaria Maida, dirigente della squadra mobile in rappresentanza del questore, Franco Micela, presidente tribunale minori, e Osas Egbon, presidentessa dell’associazione Donne Benin City Palermo.

La presidentessa è mamma di tre bambini e da maggio vive senza acqua in casa, un elemento questo che sottolinea ulteriormente l’impegno costante nel combattere questi fenomeni all’insegna del puro volontariato: «Nel 2013 sono state 435 le ragazze minorenni arrivate in Europa dopo aver percorso il deserto, la Libia, e il Mediterraneo – ha detto Osas Egbon – nel 2015 il numero è salito a 550. A ottobre 2016 sono state 11.406 le ragazze arrivate in Italia e diventate vittime di tratta».
Un percorso impregnato di povertà e disperazione: «Le minori sono spesso vendute dalle loro famiglie a causa di problemi economici e di un sistema politico corrotto in Nigeria – spiega Osas – per cui prima di lasciare la loro terra sono sottoposte a un rituale vodoo chiamato Juju che le imprigiona in un cerchio di paura: se non pagano il debito alla loro Maman, Juju le ucciderà. Quando arrivano in Italia le ragazze sono portate nei campi profughi. L’80 per cento di loro, che io chiamo bambine, scappano dai campi e contattano le loro Maman, ma da lì sono portare in strada e costrette a prostituirsi. Si calcola ammonti a circa 1500 euro al mese la somma che gli sfruttatori ricavano dal rituale Juju». 

«Sono tantissime le donne che oggi denunciano, rispetto al passato le indagini in corso sono molte di più – ha detto Rosaria Maida che dal 2003 a un anno e mezzo fa ha diretto la sezione criminalità straniera – serve maggiore collaborazione con le associazioni». Tra le varie forme di sostegno e accoglienza al di là della tratta si è parlato anche dei tutori volontari, che al momento a Palermo sono 52, ma altri 29 ne hanno fatto richiesta. «La tratta è una nuova forma di schiavitù ha detto Vito Lo Monaco – cosa nostra appalta alcune azioni criminali ala mafia nigeriana soprattutto nel quartiere Ballarò che in cambio si approvvigiona della droga che i nigeriani riescono a immettere in Sicilia grazie alle loro relazioni con le mafie sudamericane».

Da giugno l’associazione ha attivato uno sportello in via Montevergini che offre assistenza alle donne nigeriane e col quale collaborano diverse Ong. «Se durante le operazioni di sbarco ci troviamo di fronte a operatori che hanno una preparazione specifica – ha detto il presidente del tribunale dei minori, Franco Micela – è nella fase successiva che mancano le professionalità, perché il piano nazionale antitratta non è stato avviato nella Sicilia occidentale per cui mancano comunità specifiche per le vittime». Quello dell’impegno contro la tratta è un tema sul quale l’amministrazione comunale intende spendere tempo e risorse: «Oggi il Comune di Palermo ha la possibilità di programmare molte risorse sull’accoglienza e il contrasto alla povertà – ha detto l’assessore Mattina che si è impegnato a incontrare la prossima settimana le associazioni coinvolte – vogliamo costruire una rete per unire le forze contro ogni abuso. Abbiamo una responsabilità culturale nel convincere gli altri che l’accoglienza è l’unica scelta possibile e riguarda i migranti come l’ultimo cittadino sfrattato». 


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