Il Castello a Mare saluta la bomba Usa Residenti: «Paura? I problemi sono altri»

«Cu si strigghia ‘u so cavaddu un si po’ chiamari garzuni». Letteralmente: «Chi striglia il proprio cavallo non può essere chiamato garzone». Con questa risposta, un anziano signore della Kalsa, intento a verniciare il proprio cancello, tenta di liquidare un vigile che lo invita ad allontanarsi a causa dell’emergenza bombaLa grande macchina organizzativa messa in piedi dalla prefettura per mettere in sicurezza le zone nei pressi del Castello a Mare, dove è stato trovato un ordigno della seconda guerra mondiale da disinnescare, ha dovuto scontrarsi più volte con il fatalismo innato dei palermitani. 

«Abbiamo tentato in tutti i modi di convincere la gente a uscire di casa – dice Francesco Daita, maggiore dell’esercito – ma non potevamo mica obbligarli con la forza». Così, quella che doveva essere una domenica militarizzata si è trasformata in una giornata come tante, con gli amanti dello sport che non rinunciano alla corsa mattutina al Foro Italico e persino un nutrito gruppo di bambini e genitori dell’Azione cattolica a solcare – con tanto di striscioni e palloncini – le strade nei pressi di via Lincoln. «Ma tanto noi ai botti ci siamo abituati» dice una dei pochi sfollati, ospitati nella scuola Federico II in via Delle Vigne, a un operatore della Croce rossa che la informa delle piccole detonazioni necessarie per neutralizzare le spolette del missile statunitense. 

Delle oltre tremila persone che avrebbero dovuto lasciare le proprie abitazioni, private di acqua, corrente elettrica e gas per ragioni di sicurezza, in poche, giusto una quindicina, hanno usufruito del servizio d’assistenza messo in piedi da prefettura e Comune. Per lo più gente sola o con problemi di salute tali da richiedere l’aiuto delle ambulanze della Croce rossa. Tra queste c’è Cristian, cinquantenne di origine bengalese, che ha deciso di portare tutta la sua famiglia alla Federico II. «Non abbiamo nessuno qui – racconta – Sapevamo cosa sarebbe successo questa mattina, ma non dove andare. E poi il numero sul volantino che ci hanno dato penso fosse sbagliato. Per fortuna abbiamo trovato la navetta dell’Amat e ci hanno portati qui». Il clima è comunque rilassato, le preoccupazioni sembrano essere altre. «Oggi è domenica – dice la moglie di Cristian – mi aspettavano per pulire le case, ho dovuto chiamare per dire che c’era la bomba e non potevo neanche restare nella mia di abitazione». Solo una signora, Rosalia, sembra essere un po’ inquieta. «Paura? No di certo – dice – Solo che uno come fa a non pensarci? Con la testa torno sempre lì, a casa mia».

Nel fossato del Castello a Mare, intanto, i lavori del Quarto genio guastatori proseguono in tutta tranquillità. Il missile statunitense da 600 libre sembra collaborare e si lascia disinnescare docilmente all’interno della camera di espansione – una sorta di struttura costruita appositamente per contenere eventuali problemi con l’ordigno – per poi essere trasferito su un camion. «Non c’è nessun pericolo – spiega con una certa sicurezza uno dei graduati dell’esercito presenti sul posto mentre la bomba, tutta imbragata, viene interrata sul cassone del mezzo – Figuratevi che adesso si farà un bel giro per Palermo alla volta di Piano dell’Occhio, dove verrà fatta brillare in una cava». Ed effettivamente l’addio del missile al sito nel quale è rimasto sepolto per cinquant’anni è sontuoso, con tanto di corteo di auto e moto della polizia, vigili, militari, ambulanze, elicotteri, quasi come fosse un capo di Stato. 


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