Pizzo a tappeto, pestaggi e intimidazioni Anche il pescivendolo costretto a pagare

Bisognava mettersi a posto. Tutti. L’attività estorsiva non risparmiava nessuno. Neppure un pescivendolo ambulante, costretto a sborsare, tra mille difficoltà, 500 euro. «Abbiamo bisogno per i carcerati» gli avevano spiegato, presentando il conto. I boss di Misilmeri e Belmonte Mezzagno sapevano bene come convincere le loro vittime a pagare. Intimidazioni, pestaggi, incendi, colla nei lucchetti. Messaggi chiari utili a piegare anche i commercianti più ribelli. Lo scorso 8 marzo l’avvertimento aveva raggiunto un macellaio: davanti la saracinesca del suo negozio avevano sistemato un mazzo di crisantemi e un biglietto con su scritto: «Fatti i cazzi tuoi». Al titolare di un noto esercizio commerciale di Bolognetta che voleva ampliare i locali, invece, avevano offerto due possibilità: avvalersi per i lavori di una ditta vicina a Cosa nostra oppure versare nelle casse della famiglia 10mila euro.

A fare luce sulle dinamiche di Cosa nostra all’interno del mandamento di Misilmeri-Belmonte Mezzagno sono stati i carabinieri del Comando provinciale di Palermo, che hanno dato esecuzione a un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di sette persone. Per tutti l’accusa, a vario titolo, è di associazione mafiosa, estorsione, minacce aggravate dal metodo e dalle finalità mafiose, spaccio di sostanze stupefacenti e spendita di banconote contraffatte. I provvedimenti sono stati emessi dal gip del Tribunale di Palermo su disposizione della Direzione distrettuale antimafia.

L’operazione è la prosecuzione del blitz antimafia Jafar, che lo scorso mese di marzo portò in carcere altre sette persone ritenute dagli investigatori a capo delle famiglie mafiose di Belmonte Mezzagno e Bolognetta. Le indagini hanno permesso di aggiungere ricostruire gli assetti e gli interessi criminali di Cosa nostra nell’hinterland palermitano, posto sotto il controllo delle famiglie di Misilmeri, Belmonte Mezzagno e Bolognetta. «Un’area – spiegano gli inquirenti – connotata da difficile penetrabilità investigativa e interessata negli ultimi tempi da numerosi atti intimidatori ai commercianti».

In manette sono finiti: Rosario La Barbera, 57 anni; Gaetano Pravatà, 43 anni; Alessandro Ginelli, 40 anni; Giosuè Cucca, 31 anni, nato in Germania. L’ordinanza di custodia cautelare è stat notificata in carcere, dove si trovavano già detenuti, a Francesco Antonino Ciaramitaro, 47 anni; Pietro Formoso, 66 anni, e Alessandro Ravesi, 38 anni. Quello colpito dal nuovo blitz antimafia è un mandamento che ha visto succedere al suo vertice capi del calibro di Benedetto Spera, strettamente legato a Bernando Provenzano, ma anche Salvatore Sciarabba, Francesco Pastoia, anche lui vicino al padrino corleonese e tratto in arresto nell’operazione Grande Mandamento, Antonino Spera, Francesco Lo Gerfo (arrestato nel blitz Sisma) e Giuseppe Vasta, finito in manette lo scorso marzo nell’ambito dell’operazione Jafar.

«Le indagini – spiegano dal Comando provinciale di Palermo – hanno evidenziato come anche i contesti extracittadini subiscano le stesse incidenze criminali di Cosa nostra». Un controllo capillare dell’economia esercitato in città e in provincia, attraverso un’imposizione a tappeto del pizzo. Richieste di messa a posto precedute nella maggior parte dei casi da intimidazioni e spedizioni punitive per far piegare le vittime. «Il ventaglio dei reati contestati – concludono gli investigatori dell’Arma – comprende anche l’ipotesi di spendita di denaro contraffatto». Banconote da 20 euro acquistate al costo di quattro dalla malavita napoletana. Ma tra gli affari del mandamento c’era anche lo spaccio di droga: la sostanza stupefacente veniva comprata a Palermo e poi immessa nelle piazze di spaccio dei piccoli comuni della provincia.

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