Lo Stil nuovo di Papa Francesco

tratto dal blog di Giuseppe Casarrubea

Sarà che George Mario Bergoglio proviene da un mondo lontano, quello latino-americano, sarà che egli, per sua formazione, rappresenta le istanze della società contemporanea, certo è che questo Papa, da quando ha fatto la sua prima comparsa nella chiesa di Roma e a capo del mondo cattolico, ha introdotto non pochi elementi nuovi e semplici, della sua pastorale futura.

Uso il termine pastorale per definire una precisa linea di condotta, una strategia nelle relazioni di comunità, quella cristiana, che ha al suo centro l’azione di un maestro, di un conduttore. La metafora classica traduce questa realtà umana con i simboli del pastore e del gregge, cioè le figure essenziali della novella del buon pastore che troviamo nel Nuovo Testamento.

Ebbene, questa centralità, mi pare, con papa Francesco, ha una sua collocazione diversa. Non più quella separata di tipo curiale, centrata sullo Stato della Santa Sede e sul potere, ma quell’altra più plateale e di movimento che fa perno sulle nazionalità e sulle comunità. Della prima sono rappresentanti indiscutibili figure come quelle di Pio IX e Pio XII, della seconda Papi come Leone XIII, Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI. E, infine, papa Francesco.

Potremmo, forse, dire, senza tema di sbagliare molto, che la dottrina sociale della Chiesa nasce proprio verso la fine dell’Ottocento, quindi in tempi piuttosto vicini a noi, con l’enciclica di Leone XIII, Rerum Novarum, la previsione dei tempi nuovi che la Chiesa si apprestava ad affrontare in vista dell’avvento del secolo XX. E’ come se da allora e per i successivi cento anni la Chiesa avesse affrontato un lungo cammino nella società contemporanea, chiudendo la propria crisi interna con le dimissioni di Papa Ratzinger e aprendo un nuovo capitolo della sua storia. Se così è, dobbiamo dire che l’azione di Benedetto XVI è stata straordinaria e profetica. Ha anticipato i tempi quando nessuno avrebbe scommesso sul futuro di una Chiesa corrotta dagli scandali e dalla crisi della sua stessa identità.

Dunque, Bergoglio rappresenta l’uomo nuovo, la figura che tanto ha sognato Ratzinger. E gli elementi di novità nella sua azione come nuovo pontefice, pare siano abbastanza solidi.

Prima di tutto il ricorso al linguaggio della quotidianità, l’aggancio diretto, tramite la parola, del popolo dei fedeli. Sembra incredibile ma non era stato mai usuale da parte dei papi del passato salutare i fedeli riuniti a piazza San Pietro con un buongiorno o un buonasera, una “buona notte e un buon riposo”. Una familiarità simile l’avevamo conosciuta in Papa Roncalli nel famoso discorso della luna. Quindi accettare i fedeli come il prossimo che ti sta vicino e vuole sentire la tua vicinanza o averti come interlocutore. Sforzarsi di farsi capire anche con i gesti, lo sguardo, il comportamento. Compiere quelle piccole azioni che rendono vicine le persone nella realtà e non solo in dottrina.

I segnali di questo cambiamento si sono colti subito dopo l’annuncio dell’habemus papam, nel breve discorso che il nuovo pontefice ha voluto fare al popolo presente a piazza San Pietro quando lo ha ringraziato dell’accoglienza, e ha impartito poi la benedizione “Urbi et Orbi”.

Un elemento di novità è la reciprocità solidale. In altre parole, sembra dire Bergoglio, io prego per voi e voi pregate per me. Cioè: dobbiamo intraprendere un cammino, vescovo di Roma e popolo, che – ha precisato – vuole essere “di fratellanza, di amore e di fiducia tra noi”.

In ciò c’è una consapevolezza che non sempre è storicamente trapelata con tanta forza come in questo papa: la Chiesa di Roma ha un compito speciale: “presiedere nella carità a tutte le chiese”. Una funzione che Bergoglio spiega così: “Preghiamo sempre per noi, l’uno per l’altro, preghiamo per tutto il mondo, perché ci sia una grande fratellanza”. Una relazione cioè in nome della quale “prima che il vescovo benedica il popolo” “chiede al popolo di pregare il Signore perché lo benedica”.

Con tale formula si esplicita l’idea di comunità che lega vescovi e popolo, non come amministratori e amministrati ma realtà umane appartenenti a una stessa comunità: quella circoscritta dell’Urbe e quella più ampia del mondo. Le popolazioni delle varie nazioni e il genere umano nel suo insieme di cui egli è il capo assoluto. Un capo tuttavia non tanto autosufficiente da poter fare a meno della preghiera del popolo e della benedizione da questi invocata per il suo vescovo.

Credo che una impostazione simile sia del tutto inedita.

Il bisogno di sentire come sente il popolo trova un altro riscontro nel discorso ai cardinali nella sala Clementina, qualche giorno dopo la sua elezione a sommo pontefice. Il Papa interviene rincuorando il suo popolo con una ventata di ottimismo, soprattutto su due punti. Il primo è la lotta contro il pessimismo, contro “l’amarezza che il diavolo ci offre ogni giorno” e lo scoraggiamento. Condizioni che devono essere contrastate dal “coraggio di perseverare e anche di cercare nuovi metodi di evangelizzazione” (“La verità cristiana è attraente e persuasiva perché risponde al bisogno profondo dell’esistenza umana)”.

Il secondo è l’elogio della senescenza: “Cari Fratelli, forza! La metà di noi siamo in età avanzata: la vecchiaia è – mi piace dirlo così – la sede della sapienza della vita. I vecchi hanno la sapienza di avere camminato nella vita, come il vecchio Simeone, la vecchia Anna al Tempio. E proprio quella sapienza ha fatto loro riconoscere Gesù. Doniamo questa sapienza ai giovani: come il buon vino, che con gli anni diventa più buono, doniamo ai giovani la sapienza della vita. Mi viene in mente quello che un poeta tedesco diceva della vecchiaia: ‘Es ist ruhig, das Alter, und fromm’: e’ il tempo della tranquillità e della preghiera. E anche di dare ai giovani questa saggezza.” I giovani, appunto, che con la loro crisi hanno bisogno che sia loro indicata la strada del futuro che essi stessi dovranno costruire.

A nessuno sfugge come in questa visione cristiana s’innestino elementi propri della cultura classica latina e greca. Del Cato maior de senectude di Cicerone, ad esempio. Ma in Bergoglio questa classicità è immediatamente tradotta in nozione popolare, in valore di riferimento. Qui non c’è solo il gregge dei Cardinali ai quali più direttamente il Papa si rivolge, ma c’è il gregge più grande che si riassume nel concetto più materiale di popolo, nel senso più nobile del termine. Che è quello della vita di tutti i giorni, delle famiglie, dei loro bisogni, delle loro sofferenze. Concetto che ridotto all’osso Papa Francesco traduce così: – Il pastore deve avere lo stesso odore delle sue pecore –. Il che è l’esatto opposto del curialismo dei palazzi apostolici e delle preziose stanze della Santa Sede.

In ultimo pare ci siano in questo papa alcuni spunti di innovazione sul sacerdozio femminile. “Le donne hanno un ruolo primario e fondamentale”, ha affermato in un passaggio della catechesi ottenendo un lungo applauso. E ha poi continuato: “E’ bello che le donne siano le prime testimoni della Risurrezione. Gli evangelisti hanno solo raccontato quello che le donne hanno visto. E’ un po’ la missione delle donne dare testimonianza ai loro figli e ai nipotini che Gesù è risorto”.

Il che, letto da un laico come chi scrive, significa che solo le donne sono testimoni dirette dell’unico elemento fondativo del cristianesimo. Cioè la resurrezione di Cristo. E come tali hanno titoli sufficienti ad essere esse stesse sacerdotesse nel mondo cattolico. Con pieni poteri. La loro esclusione dal sacerdozio non potrebbe continuare a giustificarsi.

 

Giuseppe Casarrubea


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