Benedetto XVI e il ‘Gran rifiuto’

Tratto dal blog di Giuseppe Casarrubea

Devo essere sincero, ma alla notizia delle dimissioni di Papa Ratzinger sono rimasto come di stucco. Incredulo, come quando sentii alla televisione la notizia che praticamente l’Unione sovietica non c’era più. Abituati da lungo tempo alla verità più vicina alle nostre convinzioni, sapere che dopo un evento di grande portata, dobbiamo rivedere i nostri luoghi comuni e le nostre bussole di riferimento, provoca una qualche agitazione. E così, per quanto nella storia della Chiesa di papi dimissionari ce ne siano stati parecchi, sapere che proprio noi dovevamo essere testimoni dell’ultimo atto della catena dei rinunciatari, ci mette da un lato in una situazione di privilegio, dall’altro non può, il fatto stesso, non interrogarci a prescindere dalla fede che professiamo.

Celestino V si dimise dopo cinque mesi dalla sua elezione, nel 1294, perché ci dice il sommo poeta Dante Alighieri, fece il “gran rifiuto”. Grande, in quanto la scelta di quel pontefice non fu né un fatto legato a vicende personali, né un atto di vigliaccheria. Fu invece una sfida contro Carlo D’Angiò, al quale il vecchio papa, ormai ottantacinquenne e certamente più malandato del nostro Benedetto XVI, mise di fronte, forse senza saperlo, ma probabilmente intuendolo, un papa molto spregiudicato e capace di risolvere a modo suo le soverchierie del potere temporale. E a questo certamente la Chiesa non poteva sottostare. Così si fece strada Bonifacio VIII, il suo antipodo, ma anche il suo rivale che, a preferenza di altri, sapeva come trattare le cose terrene, e conosceva bene lo strapotere delle altre Potenze di quel tempo. Celestino V fu imprigionato e finì i suoi giorni in un carcere vicino Frosinone, nel 1297, alla venerabile età di 87 anni.

Prima di lui avevano abdicato al soglio pontificio Clemente I, che essendo vissuto nel primo secolo dopo Cristo aveva memoria diretta della predicazione degli apostoli e papa Ponziano per il quale invece erano passati un paio di secoli dalla morte di Cristo. Ma erano tempi duri, per Clemente I. Perché le persecuzioni dei cristiani erano all’ordine del giorno e per l’altro per motivi analoghi. Vuole, anzi, la storia della Chiesa che per il primo di questi due Papi il motivo sia eroico e altamente nobile, in quanto l’abdicazione interviene proprio per consentire l’elezione di un nuovo papa, e perché il trono di Pietro non rimanesse vacante visto che Clemente era stato arrestato.

Più tragica fu invece la sorte di Papa Silverio, che nel 537 fu pure lui arrestato, con la falsa accusa di avere tramato con il nemico, e spogliato del suo abito episcopale. Fu quindi vestito come un qualsiasi fraticello ed esiliato in Oriente. Silverio fu vittima di una trama di palazzo in grande stile, e quindi la sua non fu una vera e propria dimissione, bensì un vero e proprio attentato, volto a favorire l’elezione di un papa condiscendente e favorevole alle autorità di palazzo.

Tra tutti i papi, diciamo così, dimissionari, Benedetto IX è il più controverso. Pare che abbia fatto il papa per interesse, o meglio per simonia e che dimettendosi per ben tre volte, abbia raggiunto un primato ineguagliabile. Abdicò l’ultima volta forse per il desiderio di sposarsi, vendendo il suo ufficio a un prete suo padrino per il modico prezzo di 650 chilogrammi d’oro. In ciò dimostrandosi un perfetto scolaretto di Simon Mago che per ricevere i doni dello Spirito Santo offrì denaro agli Apostoli.

Gregorio XII, eletto papa nel conclave del 1405 è l’ultimo, prima di Benedetto XVI, tra i papi venutisi a trovare in condizioni estremamente difficili per la Chiesa. Fu il frutto di una serie di conflitti interni alla Chiesa e per tale situazione fu eletto da un conclave di soli quindi cardinali. Ma siamo al tempo dello Scisma d’Occidente, e della contemporanea presenza in Europa di due papi: uno ad Avignone (Benedetto XIII) e l’altro a Lucca o a Pisa, oltre che a Roma.

Ora non crediamo che, stando ai precedenti storici, ci siano stati papi che si siano dimessi o abbiano abdicato per stanchezza personale. Tutti sono stati messi fuori gioco per cause di forza maggiore. Papa Ratzinger era stanco quanto lo può essere una persona della sua età affaticata da una vita che ha sempre i suoi gravi problemi. A diversi livelli. Nel suo caso essi sono stati resi ancora più pesanti dagli scandali, dalle lotte interne, persino dalle sottrazioni di documenti dalle sue stanze private. Dagli atteggiamenti di troppe facce di bronzo che dalla stanza dei bottoni della Santa Sede, hanno fatto sempre il bello e il cattivo tempo.

In uno Stato, quello Vaticano, che è l’unico al mondo per capacità di penetrazione culturale e religiosa, di mediazione politica e di movimentazione finanziaria. Per il potere di informazione dei suoi Servizi di intelligence, e per la forza di influenza sulla politica e sulla società di moltissimi Stati. Uno Stato, quello Vaticano, in grado di contrapporsi al modello dello sviluppo planetario distorto, e di sviluppare linee strategiche di intervento per una nuova concezione della vita e del mondo.

Ma Ratzinger era in grado di affrontare questo mondo complesso e se, a differenza di tutti i suoi predecessori che hanno interrotto, per vari motivi, il loro pontificato, egli ha deciso di desistere, dobbiamo dire che è l’unico ad averlo fatto, senza che la sua azione possa essere in qualche modo accostabile a quella dei papi di cui abbiamo parlato. In questo ci sono le ragioni della sua scelta, e i motivi, tutti da spiegare, di ciò che tale atto rappresenta per noi e per le generazioni future. Rimane, tuttavia, il segno di una lacerazione, un vuoto dei tempi, una sorta di angoscia esistenziale collettiva. E sullo sfondo, forse, un grande intrigo di Palazzo.

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Foto di prima pagina tratta da televisionando.it


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