Il ‘cessate il fuoco’ in Medio Oriente: quanto durerà?

Dopo una settimana di silenzio, anche il Consiglio di Sicurezza dell’Onu è riuscito a rendere nota una dichiarazione alla stampa sull’ultimo conflitto israelo palestinese, ma questa è arrivata già a giochi fatti, quando il cessate il fuoco tra Israele e Hamas era stato raggiunto grazie alla mediazione del presidente egiziano Morsi e l’intervento dell’amministrazione Obama.

L’organismo Onu che durante una crisi armata dovrebbe essere il più importante per riportare la pace e la sicurezza internazionale, nel caso del conflitto israelo-palestinese ha mostrato ancora una volta la sua paralisi. Persino la figura del Segretario Generale dell’ONU è apparsa più efficace del Consiglio di Sicurezza, con Ban Ki moon che tra il Cairo, Gerusalemme e Tel Aviv ha partecipato alle trattative per il cessate il fuoco. Poi Ban Ki moon, mercoledì pomeriggio, ha riferito via video al Consiglio la situazione che si era sviluppata tra Gaza e Israele. (a sinista, foto tratta da michaelvittori.it)

Lo stesso ambasciatore indiano, Hardeep Singh Puri, presidente di turno del Consiglio di Sicurezza, la mattina di mercoledì si era presentato davanti ai giornalisti con accanto i colleghi del Sud Africa e del Brasile, affermando che il Consiglio di Sicurezza non aveva ancora emesso alcun documento sulla crisi perché “qualche Paese pensa che bisogna attendere la fine delle trattative perché un documento adesso potrebbe essere controproducente, altri invece pensano che un documento in questo momento potrebbe solo aiutare la trattativa”, facendo ben capire che l’India, il Sud Africa e il Brasile appartenevano a quest’ultimo gruppo.

Quando poi, dopo il raggiunto cessate il fuoco, la sera di mercoledì, l’ambasciatore indiano si è presentato dai giornalisti per leggere il press statement che ringraziava soprattutto il presidente egiziano Morsi per la sua trattativa, noi di Radio Radicale abbiamo ricordato a Puri le sue dichiarazione di poche ore prima, osservando se forse non avessero visto giusto coloro che avevano tenuto fuori il Consiglio di Sicurezza fino al raggiungimento del cessate il fuoco…

Puri ha risposto che alla mattina lui aveva voluto soltanto indicare che bisognava aspettare e lasciare che la trattativa facesse il suo corso, insomma negando quello che invece era apparso a tutti un segnale evidente di contrasto all’interno del Consiglio di Sicurezza.

Ma all’uscita mercoledì sera dal Consiglio più che per il presidente Puri, l’attesa era tutta per l’ambasciatrice americana Susan Rice che per la prima volta parlava daanti ai microfoni dopo gli ultimi attacchi dei repubblicani nei suoi confronti per quelle sue controverse dichiarazioni in tv dopo l’assalto terroristico a Bengasi costato la vita all’ambasciatore Christopher Stevens.

Le domande scagliate addosso alla Rice ovviamente sono state subito sugli attacchi dei repubblicani e sul fatto che ora la sua cadidatura a Segretario di Stato diventava sempre piú problematica. L’ambasciatrice di Obama all’Onu si aspettava le domande e da un foglietto ha letto la risposta dicendo che gli attacchi nei suoi confronti erano “infondati”.

L’ambasciatrice ha ribadito di essersi avvalsa delle informazioni messe a disposizione dall’intelligence quando il 16 settembre scorso, ospite di vari programmi tv, disse che l’attacco al consolato era stato innescato da proteste “spontanee” contro il film anti-islam. “Come ambasciatotore all’Onu, accettai la richiesta della Casa Bianca di partecipare a un programma televisivo per parlare di tutte le questioni di sicurezza nazionale – ha ricordato Rice – quando abbiamo discusso degli attacchi contro le nostre strutture a Bengasi, ho fatto affidamento solo ed esclusivamente sulle informazioni che mi erano state trasmesse dall’intelligence. Dissi che le informazioni erano provvisorie e che dalle indagini in corso sarebbero arrivate risposte certe”.

Quando le è stato chiesto cosa pensasse del senatore repubblicano John McCain, colui che l’accusa di aver ingannato i cittadini americani e ha già minacciato la Casa Bianca di voler bloccare in Senato la ratifica di una sua eventuale nomina a Segretario di Stato, la Rice ha tentato di smorzare le polemiche: “Lasciatemi essere molto chiara. Ho grande rispetto per il senatore McCain e per il servizio che ha reso al nostro Paese. L’ho sempre avuto e lo avrò sempre. Credo che alcune dichiarazioni che ha rilasciato su di me siano infondate, ma spero di avere l’opportunità, al momento opportuno, di discuterne con lui”, ha concluso Rice.

Ad una successive domanda sulla questione della presentazione alla Assemblea Generale dell’ONU della risoluzione palestinese per il riconoscimento a Stato non membro osservatore dell’Onu, Rice ha ribadito la posizione Americana contraria alla via scelta dal presidente palestinese Abbas, riaffermando che la soluzione al conflitto e alla pace deve passare prima dalle trattative bilaterali con Israele.

Quando davanti ai microfoni si è presentato l’ambasciatore Riyad H. Mansour, l’osservatore permanente della Palestina all’ONU, il rappresentante del Presidente Abbas ha espresso la grande soddisfazione per l’annuncio del cessate il fuoco e ha ribadito l’appuntamento per il 29 novembre con l’Assemblea Generale per il voto sulla risoluzione per elevare ad osservatore non membro lo stato palestinese. Mansour non é rimasto come al solito a rispondere alle domande dei giornalisti, però noi di Radio Radicale lo abbiamo subito dopo incrociato nel garage dell’Onu e lí gli abbiamo chiesto cosa ne pensasse dei missili che da Gaza erano stati scagliati, per la prima volta, anche contro Gerusalemme, rischiando così di colpire sia la popolazione palestinese della città e del West Bank oltre che i luoghi santi.

In un primo momento Mansour ci ha detto che lui non credeva che quei missili fossero stati scagliati contro Gerulasemme, ma quando abbiamo insistito ricordandogli che qualche ora prima del cessate il fuoco uno era caduto su una zona disabitata del West Bank e avrebbe potuto provocare vittime tra la popolazione palestinese, il diplomatico palestinese ha sorriso amaramente e ci ha replicato: “Purtroppo in guerra non ci sono angeli”.

Ma quello stesso Consiglio di sicurezza che in una settimana di bombardamenti e lanci di missili tra Gaza e Israele non era riuscito a raggiungere un consenso per esprimere una dichiarazione unanime, quando si é trattato della crisi nella Repubblica Democratica del Congo è tornato d’incanto ad essere unito. E infatti il Consiglio ha reagito subito con una risoluzione contro l’avanzamento delle tupppe ribelli M23 nella regione del Kivu, nell’Est Congo.

Il Consiglio di sicurezza dell’Onu martedí notte si era infatti riunito d’urgenza approvando una risoluzione di condanna e con minaccia di sanzioni contro i ribelli del movimento congolese M23, i militari disertori che martedí sono entrati nella cittá di Goma. La risoluzione, proposta dalla Francia, ha chiamato in causa anche i paesi che sostengono l’M23, come il Ruanda e l’Uganda.

La missione dei caschi blu in DR Congo (Monusco) conta piú di 17 mila soldati, praticamente é la piú grande missione di pace dell’ONU. Mercoleì il capo delle missioni di pace Onu, il francese Henré Ladsous, ha parlato davanti ai giornalisti descrivendo la difficile situazione a Goma e mettendo in guardia i ribelli dell’M23 contro ogni violazione dei diritti umani:

“Gli autori di violenze anche sessuali contro donne e bambini dovranno risponderne davanti alla giustizia. La Monusco resta impegnata in DR Congo nel suo mandato di protezione dei civili”, ha affermato Ladsous che ha anche ricordato che seppur l’M23 è entrato a Goma le forze Onu continueranno a pattugliare la cittá per proteggerne i civili. L’aereoporto, ha detto Ladsous, resta sotto la protezione delle forze Onu. Inoltre il capo delle missioni di pace ha detto che oltre a proteggere i civili, le forze Onu nell’est Congo dovrebbero anche appoggiare le forze governative ma che queste sono fuggite all’arrivo dei ribelli e che quindi nei dintorni di Goma non ci sarebbero più forze regolari congolesi. Cioé le forze Onu sarebbero le sole che potrebbero in questo momento fermare una avanzata delle forze ribelli che intanto minacciano di continuare la loro marcia nella regione del Kivu fino alla pur lontana Kinshasa.

Il rappresentante speciale delle Nazioni Unite in DR Congo Roger Meece, intervenendo in video conferenza mercoledí alla riunione del Consiglio di Sicurezza Onu, ha detto che “nella città di Goma ci sono state esecuzioni sommarie”: La situazione al Palazzo di Vetro mercoledí appariva quindi tesissima e resta altissima la possibilitá che le forze dell’Onu della Minusco possano entrare in aperto conflitto armato con i ribelli di M23.

Un’altra importante notizia e questa volta positiva dal Palazzo Di Vetro é quella del passaggio lunedí

dalla Terza Commissione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite di una nuova Risoluzione su una moratoria sull’uso della pena di morte, la quarta dal 2007. Un numero record di Paesi ha votato a favore della Risoluzione, e c’è stata una diminuzione nel voto contrario. Il risultato è stato di 110 voti a favore (+2 rispetto alla Risoluzione del 2010), 39 contrari (-2 sempre rispetto al 2010), mentre ci sono state 36 astensioni mentri altri Paesi non erano presenti al voto. Gli Stati membri delle Nazioni Unite sono ora 193, rispetto al 2010 hanno uno stato in più, il Sud Sudan, che ha votato a favore della Risoluzione, nonostante mantenga ancora la pena di morte. La Repubblica Centrafricana, Niger e Tunisia, che si erano astenuti nel 2010, per la prima volta hanno votato a favore. L’Assemblea Generale dovrebbe approvare la Risoluzione nella sessione plenaria di dicembre.

Da notare che gli Stati Uniti, il Giappone, la Cina, l’Iran, l’India, la Corea del Nord, la Siria e lo Zimbabwe sono tra i 39 Paesi che hanno votato contro la Risoluzione nel Comitato diritti umani dell’Assemblea Generale. Israele invece si è unito ai Paesi membri dell’Unione europea, la Norvegia e Australia, Brasile e Sud Africa che sono tra i maggiori sponsor dell’iniziativa.

L’Italia è molto soddisfatta per l’esito del voto in Commissione sul progetto di risoluzione sulla moratoria della pena di morte alle Nazioni Unite. Per il ministro degli Esteri, Giulio Terzi, riferisce la Farnesina in una nota, ‘”l’aumento del numero di Stati che sponsorizzano la risoluzione, l’incremento nei voti favorevoli e la diminuzione dei voti contrari costituiscono segnali molto incoraggianti della crescente consapevolezza, nella comunità internazionale, della necessita’ di promuovere l’abolizione della pena di morte”.

”Si tratta – prosegue Terzi – di un obiettivo di fondamentale importanza per promuovere l’affermazione dei diritti umani nel mondo, che rappresenta per l’Italia un’assoluta priorita’ di politica estera”.

Per il capo della diplomazia italiana ”l’obiettivo immediato è intanto quello di accrescere ulteriormente i consensi alla Risoluzione in vista del voto, entro fine anno a New York, nella sessione plenaria dell’ Assemblea Generale”. Il voto finale per l’adozione della risoluzione in Assemblea Generale e’ previsto come ogni anno entro il mese di dicembre.

Ma proprio mentre passava questa risoluzione nella terza Commissione dell’Assemblea Generale dell’Onu, c’è stato un incremento dell’esecuzione di pene capitali in alcuni paesi, soprattutto in Afghanistan dove sono state eseguite 14 condanne a morte negli ultimi giorni, dopo che in quel paese per piú di un anno non era stata eseguita alcuna condanna.

In conclusione di questa corrispondenza segnaliamo anche un dato fornito dalla riunione dell’Unesco in corso a Vienna dedicata alla difesa della libertá d’espressione nel mondo e alla sicurezza dei giornalisti. E’ stato annunciato che il 2012 entrerà alla storia come l’anno in cui sono stati assassinati piú giornalisti da quando l’Unesco monitorizza questi dati. “Piú di cento giornalisti sono stati uccisi ad oggi, e siamo soltanto a novembre” ha detto la direttrice generale del’Unesco Irina Bokova. 32 giornalisti sono stati uccisi in Siria e 18 in Somalia, ma la maggioranza dei reporter assassinati nel 2012 non si trovava in zone di guerra ma coprivano attivitá illegali nei loro paesi come il traffico di droga.

Il sottosegretario generale per la Comunicazione e la Pubblica informazione dell’Onu, Peter Launsky-Tieffenthal, ha ricordato che “a Gaza e nel Sud d’Israele, abbiamo avuto notizie che giornalisti e i loro uffici sono stati presi di mira durante il conflitto. Noi condanniamo questi attacchi e incitiamo tutte le parti a rispettare lo stato civile dei giornalisti e il loro diritto a poter svolgere i loro doveri professionali”.

 

Questo servizio è stato trasmesso da Radio Radicale

 


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